Opportunità e Sfide

L’IA minaccia o migliora il lavoro? Le (non) risposte degli ultimi studi



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L’intelligenza artificiale è al centro del dibattito su futuro del lavoro. Gli ultimi studi di FMI, OCSE, World Economic Forum e PwC forniscono spunti di riflessione. L’IA generativa potrebbe essere un punto di svolta, ma è fondamentale considerare l’IA come un complemento e non un sostituto dei lavoratori. Spetta insomma a noi umani capire come…

Pubblicato il 30 gen 2024

Stefano da Empoli

presidente dell’Istituto per la Competitività (I-Com)

Maria Rosaria Della Porta

research fellow Istituto per la Competitività, I-Com



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Con l’avanzamento dell’intelligenza artificiale, specie di quella generativa, capace di complementare e in taluni casi sostituire il lavoro in una vasta gamma di compiti cognitivi e non solo di routine o manuali è molto probabile che si assisterà ad una modifica delle modalità lavorative e della natura vera e propria del lavoro in vari settori e professioni.

IA e lavoro: le due narrazioni contrapposte

Il dibattito pubblico circa l’impatto dell’IA sul mondo del lavoro si articola in due narrazioni contrapposte. Una prima narrazione presenta una visione positiva secondo la quale si teorizza che i sistemi di intelligenza artificiale generativa (e quelli in generale) saranno in grado di integrare le mansioni ed i compiti delle persone, incrementandone la produttività, causando una riduzione di posti di lavoro limitata ed un generale miglioramento, ancorché parzialmente traumatico per settori ben specifici, delle economie ed un mutamento dei tessuti produttivi.

Una seconda narrazione, invece a carattere negativo, teorizza una massiva sostituzione di lavoratori i cui compiti, in special modo quelli di natura routinaria e ad alta connotazione intellettuale, saranno progressivamente sostituiti da un massiccio ricorso alla tecnologia, con effetti dirompenti, non verificati, sui livelli occupazionali in seno alle economie più moderne. Per dirimere la questione, o quantomeno fare maggiore chiarezza, è dunque interessante guardare alle analisi e alle previsioni più recenti pubblicate dai dipartimenti di ricerca di organizzazioni internazionali e società di consulenza globali.

Impatto dell’IA sul mondo del lavoro: lo studio del FMI

I potenziali impatti dell’IA sul mercato del lavoro sono stati analizzati da ultimo in uno studio pubblicato a gennaio dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), di cui si è molto parlato durante l’ultima edizione del World Economic Forum tenutasi nelle scorse settimane a Davos.

La metodologia della ricerca si basa sull’elaborazione di un indice che a livello internazionale misura due parametri chiave, da un lato l’esposizione e dall’altro la complementarietà del lavoro umano rispetto all’IA. Un’elevata esposizione riduce la domanda di lavoro mentre un’alta complementarietà la può incrementare in quanto la produttività aumenta, a patto che i lavoratori siano in possesso di competenze adeguate a sfruttarla. In base a come interagiscono i due criteri, esposizione e complementarietà, possiamo avere risultati significativamente diversi. Se l’esposizione è elevata ma lo è anche la complementarietà, in quanto non è possibile prescindere dalla supervisione umana (ma al contempo sussistono comunque guadagni significativi di produttività), l’esito dell’introduzione massiva di IA nei luoghi di lavoro potrà essere positivo.

Viceversa se a un’esposizione elevata fa fronte una complementarietà bassa, i rischi di sostituzione e conseguente perdita di posti di lavoro sono ndecisamente più elevati. Infine, emerge una terza possibilità, quella di una esposizione bassa all’IA in tutte quelle professioni dove (almeno per ora) il ruolo dell’IA è marginale e dunque il potenziale di sostituzione è poco significativo (ma al contempo i guadagni di produttività conseguiti negli altri settori potrebbero comunque portare ad aumenti della domanda di lavoro e dunque dei salari).

Dunque, se lo studio calcola che il 40% circa dei posti di lavoro a livello mondiale presentano un grado elevato di esposizione, percentuale che sale addirittura al 60% nei Paesi più avanzati, è anche vero che quest’ultima percentuale si divide praticamente a metà tra quanti sono caratterizzati anche da complementarietà elevata (il 27% complessivo) e quanti invece sono a più elevato rischio di sostituzione in quanto presentano bassa complementarietà (il 33%).

Grazie ai guadagni di produttività e alla possibilità per la grande maggioranza di lavoratori di poterli sfruttare a proprio beneficio, in particolare donne e giovani, i salari potrebbero aumentare in misura significativa. Più a rischio di esclusione, sotto questo profilo, potrebbero essere i lavoratori più anziani, meno capaci di adattarsi ai cambiamenti epocali del mercato del lavoro che interverranno nei prossimi anni.

Per quanto le conclusioni del FMI risultino intuitive e certamente interessanti, qualche dubbio sul fatto che la complessità del mercato del lavoro possa essere resa da due parametri che vengono tagliati con l’accetta in modalità binaria (con valori alti o bassi in base ad assunzioni inevitabilmente semplicistiche) rappresenta certamente un limite dello studio, che deve essere forse più correttamente interpretato come un primo lodevole passo verso una comprensione più approfondita del fenomeno.

Il rapporto dell’OCSE sull’IA e il lavoro

Anche l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha recentemente studiato gli effetti dell’IA sull’occupazione e se da un lato ha evidenziato i potenziali rischi legati alla perdita di diversi posti di lavoro, dall’altro ha messo in luce anche le potenziali opportunità in termini di creazione di nuovi settori occupazionali e miglioramento complessivo della qualità del lavoro. Anche nel rapporto OCSE, pubblicato nell’estate del 2023 e basato su una survey di oltre duemila imprese e 5.300 lavoratori condotta nel 2022 (che dunque di fatto prescinde dagli impatti dell’IA generativa, allora virtualmente assente sui luoghi di lavoro), si sottolinea che l’impatto netto dell’IA sull’occupazione è ambivalente.

L’IA sostituirà il lavoro di alcuni esseri umani (effetto spostamento), ma potrà anche aumentare la domanda di lavoro a causa della maggiore produttività che comporta (effetto produttività). Inoltre, l’IA potrebbe anche creare nuove attività lavorative, con conseguente creazione di nuovi posti di lavoro (effetto reintegrazione), in particolare per i lavoratori con competenze ad essa complementari.

Un risultato interessante che emerge dalla ricerca condotta dall’OCSE è che, nonostante una diffusa ansia per il futuro del lavoro, quasi i due terzi (63%) dei lavoratori intervistati hanno riferito che l’IA ha aumentato il loro benessere sul lavoro: automatizzando mansioni pericolose o noiose, l’IA permette loro di concentrarsi su compiti più complessi e interessanti.

Tuttavia , se da un lato l’adozione dell’IA potrebbe condurre a un miglioramento della qualità del lavoro, il potenziale di sostituzione rimane significativo. Una quota rilevante di lavoratori intervistati (tre su cinque) teme di perdere completamente il lavoro a causa delle nuove tecnologie nei prossimi dieci anni, in particolare coloro che effettivamente lavorano con l’IA e dunque sono più consapevoli dei potenziali vantaggi ma anche dei potenziai rischi.

Non tenendo conto degli impatti dell’IA generativa, il rapporto OCSE conclude, come tutta la ricerca del decennio precedente alla comparsa di ChatGPT e al suo successo planetario, che i lavori altamente qualificati hanno il rischio più basso di automazione mentre i posti di lavoro poco e mediamente qualificati sono i più a rischio.

In media, tra i Paesi OCSE, le professioni a più alto rischio di automazione rappresentano il 27% dell’occupazione (una percentuale come si può notare non troppo dissimile da quella del FMI, pur reggendosi su una metodologia totalmente differente). L’Italia si colloca al di sopra della media OCSE con oltre il 30% di posti di lavoro a rischio di automazione.

Le previsioni del World Economic Forum

Nonostante le tante posizioni allarmistiche sul numero di posti di lavoro che l’IA potrebbe sottrarre e sebbene la tecnologia continui a porre sfide ai mercati del lavoro e alle economie di tutto il mondo, lo studio “The Future of Jobs Report 2023” del World Economic Forum (WEF) sottolinea come la maggior parte dei datori di lavoro di tutto il mondo si aspetta che gran parte delle innovazioni tecnologiche, compresa l’intelligenza artificiale, contribuisca positivamente alla creazione di occupazione. Ad esempio, i big data sono al primo posto tra le tecnologie destinate a creare posti di lavoro, con il 65% degli intervistati dal WEF che prevede una crescita occupazionale nei ruoli correlati. Inoltre, si prevede che l’occupazione di analisti e scienziati dei dati, specialisti dei big data, specialisti del machine learning  e professionisti della sicurezza informatica crescerà in media del 30% entro il 2027.

In particolare, stando sempre a quanto riportato dal World Economic Forum, l’intelligenza artificiale dovrebbe essere adottata da quasi il 75% delle aziende intervistate e si prevede che porterà a un elevato ricambio, con il 50% delle organizzazioni che si aspetta che ciò creerà una crescita dell’occupazione e il 25% che prevede, invece, che causerà perdite di posti di lavoro.

Secondo le previsioni del WEF, al primo posto tra i profili professionali che nei prossimi cinque anni vedranno la maggiore crescita si collocano gli specialisti in IA e machine learning, seguiti dagli analisti per la sicurezza informatica, specialisti in trasformazione digitale ed ingegneri robotici.

La survey di PwC sulla percezione dell’IA da parte dei CEO

Nella sua ultima “Global CEO survey”, presentata proprio in occasione del recente World Economic Forum, PwC ha messo in luce come i CEO mondiali credano pienamente nelle enormi potenzialità dell’IA generativa nel trasformare i modelli di business e ridefinire i processi di lavoro. In particolare, nel corso del prossimo anno, circa la metà dei CEO si aspetta che l’IA generativa migliori la capacità dell’azienda di creare più solidi rapporti di fiducia con gli stakeholder e circa il 60% prevede che migliori la qualità del prodotto/servizio offerto. Inoltre, entro i prossimi tre anni, quasi sette intervistati su dieci ritengono che l’IA generativa aumenterà la concorrenza, guiderà i cambiamenti nei loro modelli di business e richiederà nuove competenze alla loro forza lavoro.

Nel complesso, i CEO intervistati dagli analisti di PwC prevedono molti impatti positivi dell’IA generativa nel breve termine che si traducono in un aumento dei ricavi, ad esempio grazie ad una migliore qualità del prodotto e una maggiore fiducia dei clienti, nonché in un aumento dell’efficienza complessiva. I risultati della survey sono coerenti con il Global Risk Survey 2023 di PwC, che ha rilevato che il 60% degli intervistati vede l’IA generativa principalmente o completamente come un’opportunità piuttosto che un rischio.

PwC rivela, però, che alcuni di questi vantaggi in termini di efficienza sembrano derivare da una riduzione dell’organico dei dipendenti, almeno nel breve termine, con un quarto dei CEO che prevede di ridurre la forza lavoro di almeno il 5% nel 2024 a causa dell’IA generativa.

Secondo, dunque, il sondaggio condotto da PwC tra i principali CEO a livello mondiale, il settore dei media e intrattenimento, le banche e le assicurazioni, e il settore della logistica sembrano essere quelli più suscettibili a perdite di posti di lavoro a causa dell’IA. Le società di ingegneria e costruzione insieme alle aziende tecnologiche sono, invece, meno propense ad anticipare tagli di personale a causa dell’automazione.

Tuttavia, gli analisti di PwC precisano che le aziende che effettuano inizialmente riduzioni di personale in alcune aree di business per via dell’IA generativa potrebbero compensarle con assunzioni in altre, man mano che le opportunità di crescita e di fatturato diventano più chiare. Ad esempio, sebbene il 14% dei CEO del settore tecnologico preveda di ridurre l’organico nel prossimo anno a causa dell’IA generativa, il 56% di loro prevede anche di assumere nel 2024, a un tasso superiore di quasi 20 punti percentuali rispetto alla media globale riportata nel sondaggio.

Conclusioni

Come ha dichiarato recentemente al Financial Times l’economista del lavoro del MIT David Autor, l’IA generativa potrebbe essere la prima tipologia di automazione in grado di ridurre l’ineguaglianza anziché aumentarla, proprio perché si basa sul linguaggio e dunque è in grado di imitare abilità più elevate rispetto alle precedenti ondate di innovazione. Ma spetta a noi umani capire come utilizzarla al meglio. Se la riteniamo un sostituto dei lavoratori, rischiamo effettivamente una disoccupazione elevata o una compressione dei salari che a quel punto saranno costretti a competere con il costo delle macchine. Se sapremo invece vederla come un complemento in grado di migliorare le prestazioni lavorative, creeremo le premesse per una transizione gestibile, nella quale si faranno cose diverse da prima ma in media con un vantaggio sia per i lavoratori sia per le imprese.

Oltre a contare sul senso etico di manager e imprenditori, per evitare che la ricerca del profitto immediato prevalga su altri fattori, bisognerà mettere i lavoratori nelle migliori condizioni per utilizzare al meglio i nuovi strumenti offerti dall’IA. Dopo l’avvento dell’IA generativa sappiamo che è molto più importante il cosiddetto prompt engineering che il coding. Semplificando: porre all’IA le domande giuste e nella modalità più appropriata, circoscrivendo il campo delle risposte. Ormai sappiamo perfettamente che se chiediamo a un chatbot la stessa cosa più volte otteniamo con ogni probabilità reazioni diverse. Dunque, nella sfida competitiva vincerà chi saprà ottenere le risposte più efficaci (a partire dalle domande più appropriate).

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