Entro il 2025, l’automazione coinvolgerà 85 milioni di posti di lavoro in 15 settori
e 26 economie, e potrebbe cancellare il 15% dei profili esistenti.
Relativamente alle proiezioni sulla perdita di posti di lavoro legati all’intelligenza artificiale, in realtà, non c’è da stupirsi. Già l’economista Joseph Schumpeter parlava di “distruzione creatrice dei mercati”, per spiegare come l’innovazione distruggesse sempre posti di lavoro.
Il tema, dunque, non è se l’innovazione distrugge lavoro – lo sappiamo già, lo fa – ma se il saldo fra i lavori persi e quelli trovati è positivo o meno.
Automazione e lavoro, la ricerca
I dati sono tratti della ricerca presentata il 27 ottobre e realizzata dalla Rome Business School (RBS) durante l’evento “Innovazione, capitale umano, impresa e PA”, organizzato dalla Converger e dall’Internet Governance Forum Italia (IGF), di cui sono presidente, a cui hanno partecipato la deputata Anna Laura Orrico, il ceo di Converger Franco Sanseverino, e Valerio Mancini e il rettore Antonio Ragusa, in rappresentanza della business school ospitante.
Come emerge dalla ricerca RBS, l’innovazione tecnologica porterà anche 97 milioni di nuovi posti di lavoro nell’economia dell’assistenza, nell’ambito dell’intelligenza artificiale e nella creazione di contenuti. Dunque, le Cassandre del “tutto andrà male” sono smentite dalle proiezioni, così come sono smentite dai fatti.
Da secoli, le innovazioni mettono in discussione i posti di lavoro, come dimostra il caso dei luddisti dell’Ottocento che cercavano di distruggere i telai meccanici con i quali prese l’avvio la Rivoluzione Industriale. Il lavoro venuto dopo ha non solo assorbito quello che si perdeva ma, in generale, è sempre stato un lavoro migliore di quello che finiva nel cimitero della Storia. Anche questa volta sarà così.
Di fronte al rischio che la modernità ci pone – non a caso il sociologo Ulrich Beck definisce la nostra società quella del rischio – la risposta non è la “decrescita felice” dei nuovi primitivisti, come la chiama Serge Latouche, ma la crescita. Fatta con intelligenza, senza abdicare al ruolo di governo delle trasformazioni sociali, ma senza cercare di difendere un passato che non potrà più tornare.
L’IA non minaccia il lavoro
L’IA minaccia il nostro lavoro? No, perché l’IA sostituirà le attività routinarie, ma non sostituirà mai il fattore umano. Dunque, l’IA ci affiancherà per rendere il nostro lavoro meno noioso, consentendoci di concentrarci sulle attività più creative. E anche, potenzialmente, facendoci lavorare di meno, come anni fa intuì Gianroberto Casaleggio.
Mentre l’IA farà il lavoro sporco, a noi umani toccherà, invece, allenare l’IA per renderla migliore.
Le competenze necessarie
Sicuramente, i lavoratori avranno più bisogno di formazione permanente, con un focus speciale su innovazione, sostenibilità, multiculturalismo, come evidenziato dalla ricerca presentata durante l’evento Converger e Rome Business School. Ecco alcune delle evidenze raccolte: le competenze digitali più richieste nel 2023 in Italia riguardano l’ambito della sicurezza informatica, l’automazione, l’intelligenza artificiale e il cloud; le 5 top skill per essere competitivi in futuro saranno creatività, pensiero critico e analitico, problem solving, e le abilità legate allo sviluppo e all’utilizzo della tecnologia, tra cui le competenze digitali.
Startup innovative in crescita
Aumentano le start-up innovative in Italia: entro la fine del 2023 saranno ben 16.256 (erano 1.503 nel 2013). Si concentrano nei settori di informazione e comunicazione (50,6%), portando maggior sviluppo per e-commerce e fintech.
Ovvio, dunque, che bisognerà sempre di più investire in innovazione e capitale umano da parte di tutti gli stakeholder – politica, impresa, Università – perché dall’innovazione dipenderà la capacità di vincere la competizione globale. Una sfida anche per le imprese, che dovranno essere brave a trattenere e attirare i talenti migliori.
I rischi di marginalizzazione
Ma è altresì vero che la natura disruptive dell’intelligenza artificiale spaccherà e spacca la società. Fra una parte di lavoratori, “i vincenti della globalizzazione e della transizione”, che diventeranno le teste pensanti insostituibili, e una parte meno pregiata della forza lavoro, che rischierà una sempre maggiore marginalizzazione.
D’altronde, i dati RBS mostrano che cresce l’occupazione del +4.1%, insieme al precariato: sono oltre 3 milioni i precari, soprattutto a causa dell’aumento dei contratti per le assunzioni di stagionali (+113%) e intermittenti (+85%). Aumentano i lavoratori delle startup (o +85.000), ma anche gli svantaggiati: allarmante è il fenomeno dell’abbandono scolastico precoce, che coinvolge il 19,7% degli studenti, pari a 120.000 giovani che lasciano la scuola ogni anno, mentre la media europea è del 15%. Elevato è anche il numero di giovani che non studiano e non lavorano, che supera i 2,2 milioni e rappresenta la percentuale più alta in Europa. Dunque, confermo il mio ottimismo.
Conclusioni
Quella dell’IA è una sfida che possiamo vincere, e il cui saldo sociale sarà sicuramente positivo. Ma sarà necessario preparare la transizione digitale con policy e una governance lungimirante, che bilanci efficacia ed efficienza con equità. I lavoratori messi sotto scacco dall’innovazione andranno accompagnati in un processo di riqualificazione. Le tante Business School private che formano il nostro capitale umano per le tecnologie del domani fanno il loro lavoro e lo fanno bene. Ma servirà ovviamente anche un sistema pubblico che aiuti chi rischia di rimanere indietro. Servirà, infine, un approccio multistakeholder – che è quello che seguiamo in IGF, in conformità con quanto prescrive l’’Onu, sotto la cui egida operiamo -: solo mettendo insieme tutti tutte le risorse potremo vincere questa sfida, senza lasciare nessuno indietro.