Osservatorio disinformazione

Libertà di stampa, Italia sempre più giù: le colpe (anche dei giornalisti) da non sottovalutare

La libertà di stampa è un tema delicato: da un lato il diritto di informare e essere informati, dall’altro l’interesse, anche “pubblico” alla propaganda. Da un lato l’esigenza di limitare l’istigazione all’odio, dall’altro quella di orientare l’opinione pubblica anche con istigazioni feroci, purché dirette dal verso giusto

Pubblicato il 26 Mag 2022

Massimo Borgobello

Avvocato a Udine, co-founder dello Studio Legale Associato BCBLaw, PHD e DPO Certificato 11697:2017

Press-freedom

L’Italia è scesa al 58° posto per la libertà di stampa nella classifica del World Press Freedom Index: pesano le sanzioni penali, la dipendenza economica e la forte polarizzazione dell’opinione pubblica in seguito alla pandemia, che ha determinato, anche, situazioni di aggressioni verbali e fisiche.

Un po’ di buona volontà però devono metterla anche i giornalisti…

La libertà di stampa è minacciata, anche nel digitale

Provo a spiegarmi meglio.

Liste di proscrizione?

Aldo Grasso è stato al centro di fortissime polemiche per un breve pezzo pubblicato il 30 aprile sul corriere.it, che si concludeva così. “Vivere per indossare un cappello, fez o colbacco. Nel frattempo, infatti, lo specchio della Storia sta riflettendo un’altra ondata nostalgica che annoda la Russia di Putin al mai sopito amore per l’Urss.
Il saluto romano è sostituito dall’antiamericanismo, dagli insulti al guerrafondaio Biden e alla Nato, dalla capziosa differenziazione tra armi difensive e offensive, da marce in favore della pace, della neutralità, della diplomazia, della denazificazione dell’Ucraina. In filigrana, dietro all’invasore seriale Putin, appare qualche santo comunista.
Tutti figli di Giulietto Chiesa, pace all’anima sua: Vauro, Santoro, Barenghi, D’Orsi, Pagliarulo, Armeni, Dominijanni e tanti altri putiniani nostrani, compresi alcuni mitomani che alimentano i talk show. Il fondo metafisico della nostalgia ci riporta sempre a un paradiso perduto: nero, rosso o rossobruno”.

Forti reazioni soprattutto da parte degli amici di Ritanna Armeni (l’interessata non appariva particolarmente turbata, almeno sui social).

Libero quotidiano (sempre nella versione online) ha poi riportato lo scivolone di Fabrizio Rondolino: “Ricordatevi questi nomi. Hanno scelto gli assassini, i torturatori, gli stupratori. Non lo dimenticheremo”: con queste parole Fabrizio Rondolino si è riferito ai relatori intervenuti a Roma sul palco del Teatro Ghione durante un evento contro “l’esaltazione delle armi come soluzione”. Tra di loro attori come Elio Germano, Ascanio Celestini, Sabina Guzzanti, Moni Ovadia; artisti come Fiorella Mannoia ma anche giornalisti come il direttore di Avvenire Marco Tarquinio. Tutti si sono espressi contro l’invio delle armi a Kiev. E per questo sono stati accostati a chi ha compiuto crimini di guerra in territorio ucraino.

È inutile lamentarsi dell’editto bulgaro se poi si lanciano anatemi contro chi porta all’attenzione dell’opinione pubblica posizioni diverse da quelle mainstream.

Anche perché poi si rischia di dimenticare qualcuno e di farselo rinfacciare da Maurizio Crozza: è il caso di Papa Francesco, che si era espresso in senso critico nei confronti della gestione Nato della crisi Ucraina.

Morire per resistere o per essere animali da propaganda?

Il Battaglione Azov ha resistito nell’imprendibile bunker antiatomico delle acciaierie di Azovstal (che sono diverse da quelle mostrate da Formigli); le forze della Federazione Russa possono prenderle solo a costo di perdere migliaia di uomini (ma sarebbe più corretto dire “ragazzi” o “ragazzini”).

Ovviamente, una volta evacuati i civili e i militari feriti, la resistenza del Battaglione Azov è stata per la vita e per la morte, senza rivestire, però, alcuna valenza strategica o tattica.

Da qui lo “sfogo” del numero due del Battaglione (Ilia Samoilenko), che ha accusato i politici di aver fallito nella preparazione della difesa di Mariupol e di aver abbandonato i combattenti dell’Azov.

Ha anche aggiunto che nessuno si sarebbe aspettato una simile resistenza e che per loro la resa equivale alla morte e non è un’opzione.

La manifestazione delle mogli dei militari asserragliati nelle acciaierie di Mariupol, nel frattempo, è stata dispersa dalla polizia ucraina, perché violava la legge marziale.

Dato che strategicamente la posizione del Battaglione Azov non era più utile (ai Russi bastavano poche unità per mantenere l’assedio senza perdere troppi uomini), la scelta del Governo di Zelensky di non trattare per farli uscire lasciando la posizione è stata politica: servono di più come martiri per la propaganda.

Le mogli devono farsene una ragione e non devono manifestare.

Stoltenberg e la Crimea: l’hanno detto davvero?

Forti polemiche anche per dichiarazioni, mai rese effettivamente, dal Presidente ucraino Volodymyr Zelensky e dal Segretario generale della Nato Jens Stoltenberg.

Il primo avrebbe – ma non ha – detto che la guerra si potrebbe definire con la cessione definitiva della Crimea alla Russia ed il secondo lo avrebbe “zittito”, affermando che i Paesi nato mai avrebbero riconosciuto la sovranità russa sulla penisola.

Il Fatto Quotidiano aveva addirittura titolato “Nato contro Zelensky”: la Crimea è nostra”, mettendo in copertina la foto del Presidente Usa Joe Biden e del Segretario Stoltenberg nell’atto di imbavagliare lo stesso Zelensky (copertina del 8 magio 2022).

Toni simili (ma meno spazio in copertina) da “Il Giornale” ed altre testate.

Peccato che Zelensky non avesse fatto riferimento diretto o indiretto alla Crimea e che Stoltenberg avesse detto che rispettava le scelte dell’Ucraina, sostenendone l’integrità territoriale.

La dichiarazione di Stoltenberg, in realtà, pare più vicinia allo spirito che le viene attribuito di quanto la pubblicistica del giorno dopo non voglia far sembrare: una posizione troppo netta darebbe l’impressione che in Ucraina la Nato e gli USA stiano combattendo una guerra per procura (proxy war), esattamente come sostiene la Federazione Russa.

Conclusioni

La libertà di stampa è un tema delicato: da un lato il diritto di informare e di essere informati, dall’altro l’interesse, anche “pubblico” alla propaganda.

Da un lato l’esigenza di limitare l’istigazione all’odio, dall’altro la necessità di orientare l’opinione pubblica anche con istigazioni dirette e feroci, purché diretta dalla parte “giusta” e direzionata nei confronti del “mostro”.

Il Grande Fratello, comunque, è tra noi: Alessandro Longo, Direttore responsabile di AgendaDigitale.eu, riporta che Scuola ha fatto il “grande firewall” cinese, onnicomprensivo e sofisticato: permette al Partito Comunista di bloccare quasi tutti i contenuti che non gli piacciono. Altri regimi a volte usano metodi più crudi. Un rapporto pubblicato a metà del 2021 da Freedom House, un watchdog, ha scoperto che 20 dei 70 paesi avevano chiuso internet nell’anno precedente per tenere i loro cittadini all’oscuro, tipicamente durante i periodi di disordini”.

D’altra parte, se è noto che la carta stampata e i media tradizionali hanno un editore cui rispondono, bisogna ricordare che la rete è di qualcuno, ossia di chi possiede i cavi ed i server su cui girano i nostri cloud.

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