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Licenziamenti via Whatsapp, il problema non è il digitale: tutti gli errori delle aziende

Quali sono i limiti della comunicazione digitale? È il digitale il problema della comunicazione, o è il modo in cui esso viene usato? A partire da un episodio accaduto a New York e dagli ultimi casi italiani, riflettiamo su come utilizzare gli strumenti digitali

Pubblicato il 17 Gen 2022

Laura Cavallaro

Partner P4I

Beatrice Medved

Consultant di P4I-Partners4Innovation

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A inizio dicembre 2021 il CEO di un’azienda americana, Better.com, ha licenziato 900 dipendenti con una videocall di due minuti e mezzo su Zoom.

Vishal Garg, l’amministratore delegato, ha annunciato che l’azienda avrebbe lasciato a casa poco prima delle feste di fine anno circa il 9% della sua forza lavoro, e lo ha fatto con una chiamata di gruppo in remoto.

A questo punto sorgono spontanee diverse domande: si può fare? Com’è la situazione in Italia riguardo a questa tipologia di licenziamenti? E soprattutto, il problema in questo caso è solo il canale utilizzato?

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La situazione in Italia

Che sia via WhatsApp o via Teams, in Italia alcuni questi casi sono già successi; basti pensare alla Caterpillar di Jesi o alla Yazaki di Torino.
Lo ha confermato anche il ministro del Lavoro Andrea Orlando, che ha ribadito quanto per lui un licenziamento di questo tipo non sia corretto.

Infatti, la linea del governo a ora è cambiata e l’obiettivo che è stato prefissato è quello di vietare questa modalità di licenziamenti nel nuovo decreto sulle delocalizzazioni. Si richiederà quindi una maggiore responsabilità sociale delle imprese e un maggior coinvolgimento del territorio.

Il problema è veramente il digitale?

Come afferma Mariano Corso, Member of the Scientific Board at Osservatori Digital Innovation Polimi, Scientific Director at P4I, “Vorrei sottolineare che il problema non è la distanza né il media in sé. Bensì la modalità o l’approccio adottati. Meglio una video conferenza di una raccomandata di licenziamento classico: c’è uno scambio tra datore e dipendente, possibilità di spiegare e fare domande. Metterci la faccia più importante, meglio ancora forse sarebbe farlo in presenza, ma la distanza non aliena la correttezza dei rapporti”.

Allo stesso tempo, è importante stimolare un ragionamento ulteriore: è davvero il digitale il problema centrale della questione? O è l’utilizzo che ne viene fatto? La modalità con cui si comunica?
Il digitale può essere un grande facilitatore, ma anche causa di problematiche più ampie.

Ogni problema nelle organizzazioni è di per sé un problema di comunicazione, e i problemi comunicativi intermediati da strumenti digitali possono avere conseguenze ancora peggiori.
Comunicazione è empatia (o dovrebbe esserlo): anche nel mondo fisico non sempre accade che si ponga la giusta attenzione al tono della comunicazione e all’intenzione ad esso collegata.
Quando la stessa situazione avviene nel mondo digitale, il problema diventa esponenzialmente più grande e la colpa ricade sul mezzo utilizzato.

Ci sono alcuni storici e filosofi che hanno riflettuto su come le tecnologie aiutano anche a eliminare la normale empatia umana e quindi favorire la ricerca del profitto capitalistica e perfino la guerra.
Ma forse non sono la tecnologia, la digitalizzazione e il progresso in generale la “causa di tutti i mali”.

L’importanza di una corretta comunicazione aziendale

Questo dibattito ha quindi un merito: quello di sollevare il tema dell’importanza di una corretta comunicazione aziendale, troppo a lungo sottovalutata. E non solo: in un momento storico in cui il bisogno di digitalizzazione sta diventando sempre più centrale per le organizzazioni, la comunicazione aziendale deve essere migliorata, potenziata e adattata agli strumenti che favoriscono la collaborazione.

La riflessione che sicuramente scaturisce da questo episodio è la seguente: forse questo è il momento per differenziarci dalla tecnologia, usare a nostro vantaggio ciò che in primis ci distingue dagli strumenti digitali: il linguaggio e l’empatia.
Non è necessaria la demonizzazione del canale digitale, bensì è necessario un ripensamento della comunicazione, dei processi, dei messaggi e del communication journey aziendale.

Le organizzazioni possono risolvere questo gap tra comunicazione empatica e comunicazione digitale in diversi modi.
Prima di tutto, dovrebbero ragionare sui singoli messaggi. Le considerazioni in questo caso dovrebbero riguardare:

  • il canale più adeguato a seconda del contenuto del messaggio: esistono diversi canali anche tra gli strumenti digitali e bisogna individuare quelli più adatti;
  • il tono e lo stile del messaggio: a ogni contenuto corrisponde un tono e uno stile specifico;
  • il target del messaggio: a seconda che la mia comunicazione sia rivolta a tutta la popolazione aziendale, ad un gruppo o a una singola persona, il messaggio cambierà;
  • lo scopo del messaggio: lo scopo può essere informativo, ingaggiante, istituzionale a seconda della comunicazione specifica;
  • l’importanza dei valori aziendali: ogni organizzazione presenta nella propria vision anche dei valori che la contraddistinguono. Se questi valori non trovano una corrispondenza nelle comunicazioni, si verifica una dissonanza tra l’obiettivo e l’azione concreta.

Inoltre, le organizzazioni dovrebbero ripensare alle azioni concrete da mettere in campo per superare le lacune empatiche del digitale.
Oltre alle classiche attività di engagement, come attività di team building e caffè virtuali, dei percorsi di mentoring e di coaching svolti dai leader aziendali, ad esempio, possono essere uno stimolo e rappresentare un avvicinamento emotivo e personale: questo tipo di attività infatti non risponde soltanto alle necessità di adattamento all’evoluzione dell’azienda, bensì anche all’esigenza individuale, accentuata dalla pandemia, di un contatto umano, di conversazioni e di una spinta alla motivazione e alla crescita.

Conclusioni

Ricordiamoci che il digitale ci deve potenziare e non limitare: questo valeva nella vita privata con lo sviluppo di social network e piattaforme per ampliare le nostre conoscenze, ma vale anche ora nel mondo professionale.
Le organizzazioni non devono soltanto investire nel digitale soltanto in termini di produttività, ma anche di capitale umano, di employee experience e di retention.
La parola d’ordine è: creare relazioni.

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