lavoro e digitale

Licenziamento via whatsapp, sms o email: quando è legittimo?



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L’avvento delle nuove tecnologie ha rivoluzionato anche le modalità di comunicazione del licenziamento. Per essere legittimi, i mezzi “alternativi” devono garantire la forma scritta, la provenienza inequivocabile dal datore e la conoscibilità del contenuto da parte del lavoratore. Analizziamo insieme le condizioni e le pronunce giurisprudenziali

Pubblicato il 28 ago 2024

Wanda Falco

dipartimento R&D di Toffoletto De Luca Tamajo



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L’avvento delle nuove tecnologie ha cambiato e sta continuando a cambiare profondamente il mondo del lavoro, incidendo anche sulle modalità di intimazione del licenziamento che – come risulta da un numero non modesto di pronunce – può avvenire anche mediante l’uso di canali come le e-mail, gli sms e i messaggi WhatsApp.

Licenziamento per vie “alternative”: a quali condizioni è lecito?

A quali condizioni è legittimo il ricorso a modalità di comunicazione “alternative” rispetto a quelle tradizionali?

Per rispondere a questa domanda bisogna valutare se:

  • le comunicazioni fatte su un supporto diverso da quello tradizionale, ovvero il cartaceo, siano idonee a garantire la forma scritta del licenziamento, quale elemento essenziale e imprescindibile previsto dall’art. 2 L. 604/66 a pena di nullità;
  • i mezzi citati consentano al dipendente di venire a conoscenza del licenziamento (quale atto unilaterale recettizio) e al datore di lavoro di dimostrare l’avvenuta ricezione della comunicazione.

Ripercorriamo insieme l’iter seguito dalla giurisprudenza.

I mezzi di comunicazione “tradizionali” del licenziamento nella giurisprudenza

Secondo l’art. 2 della L. 604/1966 «Il datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro. La comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato. Il licenziamento intimato senza l’osservanza delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 è inefficace».

Il legislatore, dunque, nulla specifica circa le modalità di comunicazione del licenziamento; a fronte del silenzio legislativo, la giurisprudenza ha ritenuto che si debbano considerare valide tutte quelle modalità che comportino la «trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua materialità e che diano, dunque, certezza del fatto che esso sia venuto a conoscenza del lavoratore e del momento di tale conoscenza, in quanto il licenziamento è un atto unilaterale recettizio che produce i suoi effetti una volta giunto a conoscenza del destinatario» (Cass. 23061/2007).

Poiché il licenziamento è un atto unilaterale recettizio, trova applicazione l’art. 1335 c.c. secondo cui «la proposta, l’accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia».

Si tratta di una presunzione legale di conoscenza fondata sulla prova che la comunicazione sia entrata nella sfera di conoscibilità del destinatario essendo pervenuta al suo indirizzo, presunzione che può essere superata soltanto fornendo la prova contraria dell’impossibilità del lavoratore di averne notizia senza sua colpa (Cass. 15397/2023). 

Le modalità “tradizionali” considerate idonee a dimostrare l’invio della comunicazione di licenziamento

Quali modalità, dunque, sono state tradizionalmente considerate idonee a dimostrare l’invio della comunicazione all’indirizzo del lavoratore?

Sicuramente la consegna a mani tramite persona incaricata dal datore di lavoro, controfirmata per ricevimento dal lavoratore, è un mezzo che consente al datore di dimostrare l’avvenuta ricezione della comunicazione di licenziamento.

Analogamente la raccomandata, il telegramma e la posta elettronica certificata consentono al datore di adempiere e provare sia il rispetto della prescrizione della forma scritta che l’effettivo invio e ricezione della comunicazione indirizzata al lavoratore.

Secondo consolidata giurisprudenza, peraltro, la produzione in giudizio della lettera raccomandata (così come di un telegramma) con la relativa ricevuta di spedizione dall’ufficio postale costituisce – anche in mancanza dell’avviso di ricevimento – prova certa della spedizione e da essa consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale, di arrivo dell’atto al destinatario e della sua conoscenza a norma dell’art. 1335 c.c. (Cass. 9427/2023; Cass. 11116/2019).

Il licenziamento via mail, sms o WhatsApp

Esaminiamo alcune pronunce sul tema.

Licenziamento tramite eMail

Con una sentenza del 2017, la Suprema Corte ha affrontato il caso di un licenziamento intimato tramite e-mail partendo dalla premessa – consolidata in giurisprudenza – che il requisito della comunicazione per iscritto del licenziamento debba ritenersi assolto, in assenza della previsione di modalità specifiche, «con qualunque modalità che comporti la trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua materialità», quindi anche con una e-mail.

È chiaramente importante verificare l’operatività della presunzione di conoscenza ex art. 1335 c.c. affinché il datore di lavoro possa avere la certezza della ricezione della comunicazione da parte del lavoratore.

Tale certezza può derivare, ad esempio, dalla risposta alla mail da parte del soggetto licenziato o dall’impugnazione del licenziamento stesso che intrinsecamente richiede la conoscenza dell’atto.

Infatti, se scopo della forma scritta è quello di far conoscere al dipendente il licenziamento, quest’ultimo non potrebbe impugnare il provvedimento ricevuto via mail senza inevitabilmente ammettere di averlo ricevuto. In sostanza, la forma scritta – anche se con modalità informatiche – ha raggiunto il suo scopo ed è, dunque, valida.

Nel caso esaminato dalla sentenza citata, invece, la certezza della ricezione della comunicazione è stata desunta dalla circostanza che il dipendente – successivamente alla comunicazione del datore – aveva inviato una serie di mail ai colleghi di lavoro nelle quali raccontava dell’interruzione del suo rapporto di lavoro per volontà datoriale. Pertanto, nel caso affrontato era stato effettivamente raggiunto lo scopo dell’atto scritto di portare a conoscenza del destinatario la volontà del datore di lavoro (Cass. 29753/2017).

Licenziamento tramite WhatsApp

Discorso analogo è stato fatto in caso di licenziamento intimato a mezzo WhatsApp. Il giudice di merito ha ribadito quanto già espresso in passato dalla Cassazione ovvero che per comunicare il licenziamento non sono necessarie formule sacramentali, ma è sufficiente che la volontà di licenziare sia comunicata in maniera chiara e che il lavoratore sia venuto a conoscenza di tale comunicazione (Cass. 17652/2007; Cass. 6553/2009).

Nel caso esaminato il messaggio WhatsApp inviato è stato ritenuto dal giudice un documento informatico imputato con certezza al datore di lavoro e dal quale discendeva l’inequivoca volontà di licenziare comunicata efficacemente al dipendente, circostanze dimostrate dal fatto che il lavoratore aveva provveduto tempestivamente a formulare l’impugnazione stragiudiziale (Trib. di Catania, ordinanza del 27/06/2017).

Quanto alla circostanza che il licenziamento non sarebbe stato inviato dal datore di lavoro, ma da soggetto terzo privo del potere di rappresentanza (nella specie, il direttore tecnico), è stato rilevato come la società abbia confermato la volontà di recedere dal rapporto.

La pronuncia ha, infatti, richiamato il principio secondo cui «La disciplina dettata dall’art. 1399 c.c. – che prevede la possibilità di ratifica con effetto retroattivo, ma con salvezza dei diritti dei terzi, del contratto concluso dal soggetto privo del potere di rappresentanza – è applicabile, in virtù dell’art. 1324 c.c., anche a negozi unilaterali come il licenziamento». Pertanto, la dichiarazione di recesso proveniente da un organo della società datrice di lavoro sfornito del potere di rappresentanza della medesima può essere efficacemente ratificata dall’organo rappresentativo della società anche in sede di costituzione in giudizio per resistere all’impugnativa del licenziamento proposta dal lavoratore che deduca il detto difetto di rappresentanza (Cass. 17999/2019; Cass. 6067/2016).

Licenziamento tramite sms

Anche il licenziamento inviato tramite sms soddisfa il requisito della forma scritta se idoneo a dare certezza circa la provenienza da parte del datore di lavoro/mittente e a garantire l’intellegibilità dei contenuti della comunicazione, caratterizzati da una chiara volontà rescissoria nonostante la modalità informatica.

Nei casi esaminati dai giudici di merito l’sms – definito come documento informatico sottoscritto con firma elettronica “leggera” – è stato inteso dai destinatari come l’effettiva comunicazione di un licenziamento proveniente da un’utenza telefonica aziendale, al punto che i dipendenti avevano subito provveduto alla relativa impugnazione stragiudiziale (Trib. di Milano sentenza del 27/11/2018; Corte d’Appello di Firenze sentenza del 05/07/2016, n. 629).

Conclusioni

Come evidenziato dalla giurisprudenza esaminata, affinché sia legittimo il licenziamento comunicato con strumenti non tradizionali è necessario che emerga in maniera inequivoca la volontà datoriale di licenziare, non ci siano dubbi sulla provenienza della comunicazione da parte del datore e il relativo contenuto sia pervenuto a conoscenza del lavoratore.

Le pronunce che sono state esaminate, oltre ad affrontare una questione di particolare attualità, sono di indiscussa rilevanza soprattutto per le imprese di minori dimensioni dove è più frequente l’intimazione del recesso con modalità di comunicazione diverse dalla tradizionale lettera raccomandata.

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