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Licenziare con WhatsApp è legittimo: ecco le norme e la giurisprudenza in materia

L’utilizzo di Whatsapp in sostituzione della raccomandata e come atto in forma scritta nei rapporti di lavoro e nei procedimenti disciplinari è legittimo. Cosa dice la giurisprudenza

Pubblicato il 05 Nov 2019

Roberto Maraglino

Data Protection & Information Security Manager

whatsapp spunte

Recenti fatti di cronaca riaccendono i riflettori sui licenziamento via Whatsapp: per quanto possa sembrare scorretto o arbitrario, però, già una ordinanza del 27 giugno 2017 del Tribunale di Catania ha ritenuto legittimo il licenziamento intimato tramite questo strumento di comunicazione sul presupposto che può pienamente assolvere l’onere della forma scritta.

Licenziamento, norme e giurisprudenza

Il licenziamento è la modalità di recesso unilaterale che viene formulato dal datore di lavoro nei riguardi del lavoratore e deve essere necessariamente intimato (ai sensi dell’art. 2 L. 604/1966) per iscritto.

La norma non prescrive una particolare modalità di comunicazione, essendo sufficiente che l’atto di recesso, purché redatto in forma scritta, sia portato a conoscenza del lavoratore (Sen. Cass. 24 settembre 20106/2014, Sent. Cass., n. 12499/2012).

La Corte di Catania, dal canto suo ha ritenuto che il messaggio Whatsapp può essere assimilato ad un documento informatico in grado di identificare il mittente (il datore di lavoro) ed il destinatario (il lavoratore). E’ in grado di fornire una prova inconfutabile, al pari di una PEC, dell’invio e della ricezione del messaggio e anche della lettura dello stesso. Le “doppie spunte grigie” indicano l’effettiva ricezione del messaggio, e le “doppie spunte blu” indicano l’effettiva lettura dello stesso.

Il messaggio consente inoltre di individuare con precisione data ed orario di invio, ricezione e lettura, come se fosse una raccomandata, una PEC o un telegramma.

Le conferme di lettura possono tuttavia essere disattivate accendendo alle impostazioni dell’APP (Impostazioni>Account>Privacy); in tal caso mancherebbero i presupposti per “certificare” l’effettiva lettura del messaggio.

Nel caso specifico della sentenza di Catania il lavoratore ha impugnato il licenziamento ritenendolo illegittimo e ratificando, dunque, l’intimazione avvenuta in via “informale”. Una sorta di comportamento concludente del dipendente che in sostanza ha ammesso di averlo ricevuto. La conferma si avrebbe altresì se il lavoratore, dopo aver ricevuto il messaggio, lo inoltrasse a tutti i suoi colleghi scrivendo “guardate cosa ho ricevuto oggi!”.

Sul valore della doppia spunta si era in realtà già espresso un altro tribunale (Tribunale di Roma, sentenza del 30 ottobre 2017 n. 8802/2017 ) affermando che il suo invio può essere addirittura più efficiente di una raccomandata a/r perché la “doppia spunta” grigia e blu dà informazioni immediate su data e ora di consegna e lettura.

Una comunicazione più veloce e efficace

Cambiano i tempi e cambiano i mezzi. Si aprono nuovi scenari. La cara vecchia raccomandata, spesso inoltrata per la contestazione disciplinare precedente all’atto di licenziamento, potrà essere sostituita da un mezzo di comunicazione più celere e con efficacia immediata. Il datore di lavoro non dovrà più attendere i tempi di inoltro della raccomandata a/r, né tanto meno, in caso di mancata consegna, dovrà attendere i tempi di giacenza di una raccomandata (30 giorni) decorsi i quali la comunicazione si presume conosciuta.

Oggi qualora il lavoratore non sia presente a casa il postino lascia, nella buca delle lettere, una comunicazione con cui lo informa della giacenza della busta presso l’ufficio postale e la possibilità del ritiro della stessa entro 30 giorni.

Se la raccomandata non viene ritirata dall’ufficio postale, viene restituita al mittente con la dizione “compiuta giacenza” e, indipendentemente dal fatto che sia stata o meno ritirata, la comunicazione si presume conosciuta.

Per la legge è sufficiente che sia portata a conoscenza del lavoratore (Cass. n. 22295/2017): “la comunicazione di licenziamento si presume conosciuta quando è giunta all’indirizzo del lavoratore”.

Il lavoratore avrà poi 60 giorni di tempo per impugnare il licenziamento.

Per gli stessi motivi Whatsapp può e deve essere considerato un valido strumento del lavoratore per comunicare con il datore di lavoro. Nel procedimento disciplinare non vi è l’obbligo di presentare giustificazioni scritte al datore di lavoro tuttavia il lavoratore ha il pieno diritto di scegliere se esporre le proprie controdeduzioni in forma scritta ed in tal caso utilizzare Whatsapp.

Il messaggio Whatsapp come prova in un processo

Per poter far entrare il messaggio come prova in un processo occorre acquisire i relativi screenshot del display del cellulare, stamparli o allegarli con una usb al fascicolo. Potrebbe anche essere utile inoltrare per email (per esempio all’indirizzo di dipartimento), in allegato, la stampa in pdf dello screenshot del display.

Se non viene contestata dalla controparte sarà considerata una prova.

In caso di contestazione sull’autenticità, il datore di lavoro potrà sempre richiedere al giudice una CTU (consulenza tecnica d’ufficio). Il giudice nominerà un perito che, dopo le opportune verifiche, provvederà a riportare il testo del messaggio su un documento che diventerà una prova vera e propria nel processo.

L’ideale sarebbe pertanto l’acquisizione del device sul quale è presente la comunicazione. La Corte di Cassazione (sentenza n. 49016 del 2017) ha infatti stabilito che le conversazioni di Whatsapp hanno valore di prova legale in giudizio ma per la loro utilizzabilità è necessaria l’acquisizione del supporto telematico.

Altro metodo potrebbe quello di far leggere le conversazioni ad un terzo che poi sia disposto a testimoniare in giudizio, sotto giuramento, con le conseguenze penali che ne derivano in caso di falsa dichiarazione.

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