lo studio

L’impatto del digitale sul cervello in via di sviluppo: cosa ci dicono le neuroscienze



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Allarme e frustrazione sono le sensazioni di chi deve affrontare quotidianamente il malessere degli adolescenti. Un malessere in crescita. Ma può essere associato all’abuso di tecnologie? È troppo presto per dirlo, e la verità è che la rivoluzione digitale ha corso troppo più velocemente dei progressi nelle neuroscienze

Pubblicato il 25 lug 2023

Mauro Ferrara

Neuropsichiatra Infantile

Fabiola Panvino

Dipartimento di Neuroscienze Umane, “Sapienza” Roma



sn-brain

Lo stato d’animo di chi si confronta quotidianamente con l’incremento del malessere adolescenziale espresso in sintomi clinici, confermato dall’andamento in crescita di tutti gli indicatori possibili (prevalenza di disturbi diagnosticabili nella fascia d’età; accessi nei pronto soccorso per problemi emotivi e comportamentali, e conseguente aumento di ricoveri; prescrizione in crescita di psicofarmaci…) è contrassegnato da un senso di allarme e da un altrettanto pervasivo senso di frustrazione (1).

Giovani e social, allarme e frustrazione dei medici

Allarme: che succede, da almeno 10 anni a questa parte, da prima del fatidico 2020 pandemico? Siamo di fronte a un’epidemia?

La connessione – cronologicamente evidente, controversa sul piano della relazione causa-effetto – tra crisi della salute mentale in adolescenza e rivoluzione digitale, in particolare nel rapporto con la diffusione capillare dei social media, non è più l’elefante nella stanza: è materia quotidiana di intervento per opinionisti e policymakers sotto pressione.

Frustrazione: professionale e deontologica. Gli strumenti della cura non funzionano, o funzionano molto meno rispetto ai “casi” e alle diagnosi tradizionali. Ma anche frustrazione scientifica. Il cervello adolescente si sviluppa seguendo un cronoprogramma differenziato per strutture e funzioni; schematicamente lo immaginiamo come un sistema in disequilibrio variabile, un “cantiere”, utile dal punto di vista evoluzionistico: più esposto ai rischi ma anche più adattabile, plastico di fronte alle modifiche ambientali.

Il possibile impatto strutturale dell’abuso di social sul cervello

Per alcuni fattori ambientali le neuroscienze (che, in questo settore, si avvalgono soprattutto degli strumenti non invasivi per visualizzare il cervello) hanno detto che l’impatto strutturale e funzionale c’è: dimostrabile per l’uso precoce di alcool e per l’uso precoce di sostanze d’abuso. Si può dire lo stesso per l’abuso di social media (SM) e in genere di tecnologia digitale?

Il progetto ABCD

Il progetto ABCD (Adolescent Brain and Cognitive Development Study) è lo studio di neuroimaging sullo sviluppo cerebrale attualmente più rilevante, per numerosità del campione (oltre 10000 soggetti, tra 9 e 19 anni) e per varietà di fattori presi in considerazione (cognitivi, comportamentali, abitudini di vita), potenzialmente correlabili a variazioni misurabili delle strutture cerebrali. Le aree studiate sono molte, corticali e sottocorticali; gli indici di sviluppo principali sono quantitativi (spessore della corteccia, volume della sostanza grigia nelle singole aree, volume della sostanza bianca ecc.).

L’approccio dello studio

L’approccio si basa sull’evidenza che al passaggio dall’infanzia alla post-pubertà le strutture sottocorticali e quelle corticali siano a un punto molto diverso della loro parabola maturativa – come sappiamo ormai da molti anni – e che le strutture che supportano funzioni analoghe cooperando tra loro variano nel corso dell’adolescenza in modo coordinato, plasmate da specifici comportamenti.

Dalle prime conclusioni dello studio i comportamenti che possiamo semplificare come “abuso o dipendenza da SM” hanno un impatto strutturale sul cervello in evoluzione: ma il malfunzionamento solo di alcune delle aree coinvolte è associato a conseguenze comportamentali, o francamente psicopatologiche.

L’iperstimolazione da SM

E riguardo all’iperstimolazione da SM: alcune delle aree interessate sembrano associarsi a peggiori performance nell’apprendimento e, in generale, cognitive; per altre, sembra vero il contrario (2). Le informazioni sullo sviluppo del cervello ci arrivano scaglionate: solo gli studi prolungati ci dicono se ciò che si osserva in un momento dato si mantiene nel tempo; e solo gli studi longitudinali ci diranno se, per il problema “Uso della tecnologia digitale e salute mentale in età evolutiva”, constateremo che i danni sono associati non al quanto si usa la tecnologia digitale, ma soprattutto al quando, e per quanto tempo.

Ovvero, se anche per questo specifico incontro tra un fattore ambientale rilevante e il nostro cervello in corso d’opera esistono delle finestre temporali di vulnerabilità, all’interno di una fase relativamente breve del ciclo vitale; e se esiste una vulnerabilità differenziale brain related tra i sessi (un rischio maggiore per le adolescenti rispetto ai coetanei maschi lo constatiamo clinicamente, e ne conosciamo il mediatore psicosociale più palese: nelle ragazze è maggiore la vulnerabilità al giudizio e alla valutazione da parte dei pari. Con molti interrogativi sul piano antropologico: ma è un altro discorso).

Conclusioni

L’allarme, vissuto e rilanciato da neuropsichiatri infantili e psichiatri, è più che giustificato. Non potrebbe essere altrimenti, visti i numeri. Dal 2012 al 2019 gli accessi nei dipartimenti di emergenza di adolescenti con un problema mentale sono quadruplicati; dati statunitensi, ma coerenti con quelli rilevabili nei nostri affollati pronto soccorso. La risposta non può essere soltanto a livello delle strutture sanitarie e psichiatriche, che comunque avrebbero urgente necessità di robusti interventi mirati al problema. L’allarme che ci porta a immaginare con terrore un futuro distopico in cui saremo assaliti da orde di adolescenti che si proclamano depressi e potenzialmente suicidi, fissando lo smartphone, dobbiamo tenerlo sotto controllo, e portarlo dento un dibattito allargato alle scienze sociali, alle istituzioni, all’industria che promuove tecnologie. Non ha senso spingere verso un’impossibile marcia indietro nello sviluppo tecnologico, passando solo per provvedimenti di carattere sanitario/preventivo, verosimilmente destinati al fallimento.

La frustrazione di fronte al ritardo delle neuroscienze nel fornire dati e modelli sperimentali che contribuiscano a orientare le politiche sanitarie e sociali: quella ce la dobbiamo tenere (purché si investa, e presto, sulla ricerca in questo campo). La verità è che la rivoluzione digitale ha corso troppo più velocemente dei progressi nelle neuroscienze, che all’inizio del millennio sembravano in gran forma. Ma se è vero che “…there is no such thing as a free lunch in evolution, be it biological, social, or technological (“…non esiste un pranzo gratis nell’evoluzione, sia essa biologica, sociale o tecnologica…”), (3) il prezzo da pagare non lo conosciamo ancora. Aspettiamo a dire che sarà esoso.

Bibliografia

  1. “How social media affects teen mental health: a missing link “. A. Orbe, S. Blakemore. Nature, vol 614, February 2023.
  2. “Screen Media Activity and Brain Structure in Youth: Evidence for Diverse Structural Correlation Networks from the ABCD Study “. M. Paulus et al. Neuroimage, January 2019.
  3. “The worst mistake 2.0? The digital revolution and the consequences of innovation”. M. O’Lemmon. AI& Society, November 2022.

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