È ormai sempre più evidente che parlare dell’uso dell’intelligenza artificiale nel design non rappresenti solo un hype di comunicazione dovuto alla novità e con il quale dobbiamo fare i conti in termini di contenimento e ridefinizione; certo, lo è ancora per molti versi, ma la prepotenza con cui l’IA si sta imponendo nel mondo della produzione creativa non è priva di conseguenze nel ripensamento della stessa idea che abbiamo oggi del Design. Pertanto non può essere ignorata.
Consultando la letteratura più recente in merito, i fronti su cui mi sembra che si stiano orientando i cambiamenti, possono essere così riassunti:
- l’idea di creatività, che muta nei parametri della sua stessa valutazione;
- i principi metodologici della generazione dell’idea creativa nel design (Design Thinking);
- il superamento della concezione del Design come human centered per diventare augmented;
- l’accentuazione, da parte del Design, dell’aspetto legato alla definizione del problema, che supera la ricerca di soluzioni a problemi dati.
Provo ad individuare le linee principali di orientamento di ognuno di questi punti.
L’AI e l’evoluzione della creatività nel Design
Ogni prodotto che può essere definito di design viene pensato, idealmente plasmato e prodotto, seguendo una metodologia di ricerca della soluzione del problema di carattere abduttivo1. Per questo motivo, la creatività è, da sempre, alla base della sua stessa definizione.
Perché al contrario di un approccio deduttivo o induttivo, l’approccio abduttivo, la sperimentazione e il test sulle idee maturate non è di tipo analitico, ma meramente ipotetico (principio alla base del brainstorming). Se ad occuparsi delle proposte risolutive e quindi della formulazione delle ipotesi, non è un essere umano che si confronta con altri esseri umani (in presenza o attraverso delle ricerche basate su metodologie di indagine sociale), ma l’IA che si basa sull’archivio di dati a sua disposizione, la domanda sull’apporto di creatività al prodotto assume una valenza duplice: di carattere ideativo (la soluzione proposta è davvero innovativa? risolve il problema in modo nuovo?) e di tipo valutativo (in base a quali criteri valutare il grado di creatività proposta?).
Se il primo quesito non è nuovo e riguarda il rapporto tra nuove tecnologie ed arte da diversi decenni, il secondo mi sembra più interessante e ancora poco indagato. Sì, perché se anche la proposta di soluzione arriva da una macchina, a valutarne l’efficacia e la messa in prototipo è sempre l’uomo.
E la macchina sconvolge due dei parametri maggiormente utilizzati per la valutazione della creatività: il grado di empatia con il pubblico che dovrebbe adottare la soluzione in questione, lo sforzo (effort) nel raggiungimento dell’idea.
Uno studio condotto da F.Magni, J.Park e M.M.Chao nel 2023 su 4 casi studio2 dimostra che, sebbene l’essere umano sia portato a sviluppare dei bias cognitivi in merito all’assegnazione di valore della creatività generata da IA (non prova empatia, arriva al risultato senza sforzo) e quindi l’esito della valutazione risulta contaminato, questo non vale per tutte le tipologie di prodotto. Si tende cioè ad essere più “indulgenti” nei confronti della creatività della macchina se il campo di applicazione è quello destinato alle grandi masse: pubblicità, marketing, piuttosto che al prodotto. Sono, cioè, considerate più creative quelle soluzioni che riguardano servizi o aspetti relativi alla comunicazione, rispetto a quelle che riguardano la persona in quanto tale. Dovremo aspettarci una concentrazione di uso dell’IA di tipo settoriale?
Il ruolo del design thinking nell’era dell’intelligenza artificiale
L’approccio del Design Thinking è, ad oggi, sicuramente l’approccio più utilizzato nel Design per favorire la generazione di idee creative. Brown lo definisce nel 2009: “a discipline that uses the designer’s sensibilità and methods to match people’s needs with what is technologically feasible and what a viable business strategy can convert into customer value and market opportunity”. Un processo di innovazione human-centered che enfatizza il processo di osservazione, collaborazione, visualizzazione di idee, prototipazione e business analysys. Potenzialmente, l’IA viene può essere implementata in tutte le fasi del DT3: team building and task assignment; sensing and empathizing; Ideation and conception; prototyping and learning. Questo implica diverse osservazioni:
- il processo non è e non sarà più human centered, cosa che apre a considerazioni legate al superamento della stessa definizione classica del design (dall’uomo per l’uomo);
- i gruppi di lavoro adatti alla gestione del processo di ricerca ed ideazione del prodotto possono essere studiati in modo più efficace: “AI reinforces the collaborative and collettive view of creatività by providing the right conditions to kick-start the process as an interdipendente activity where different contributions bringing different angles tend to guarantee view for a design problem”4;
- l’IA può esaminare i comportamenti degli individui nel contesto di applicazione, cosa che elimina la necessità di osservatori esterni per il monitoraggio e l’attivazione di bias nell’interpretazione;
- l’IA contribuisce ad accelerare l’analisi di dati risultanti da indagini di mercato.
Arriveremo ad una rosa di idee da applicare in modo più rapido ed efficace? Potremo ampliare il nostro orizzonte creativo?
Verso un design “aumentato”: la simbiosi tra uomo e macchina
La simbiosi uomo-macchina (tipica della nostra era postumana) accentuata e resa imprescindibile dall’inserimento sempre più invasivo dell’IA nell’automatizzazione dei processi e nella generazione di prodotti e servizi, espande lo stesso campo di competenze richieste per l’approccio al design. La nascita di un augmented design, un design ibrido, implica la necessità di esplorare nuove possibilità etiche ed estetiche, ma soprattutto lo studio di nuovi paradigmi (prima che tecnici concettuali) capaci di integrare all’interno di uno stesso sistema trasformativo-generativo variabili relative, oltre che al singolo prodotto e/o servizio, al contesto d’uso.
Grazie all’IA, infatti, la fase di osservazione dei comportamenti e di monitoraggio del serivizio/prodotto può essere effettuata contemporaneamente alla fruizione degli stessi, cosa che necessita di piattaforme di lavoro che integrino variabili trasformazionali al proprio interno, che siano in grado di valutare le variabili di contesto in termini di esperienza (cosa che non pertiene all’IA). Dei paradigmi concettuali in grado di far interagire l’automatizzazione della macchina, con l’interpretazione del contesto e il coinvolgimento fisico.
Potremo riconsiderare l’applicazione del paradigma della Testologia Semiotica 5nata negli anni ’90 del secolo scorso proprio con questo scopo? Con i debiti interventi?
Sensemaking nel design: l’importanza di identificare il problema giusto
È nella natura stessa del design quella di cercare problemi (problem finding) e offrire delle soluzioni per risolverli (problem solving). Sono di solito dei committenti che trovano i problemi e i designer le persone designate a risolverli. Una delle conseguenze probabilmente più impattanti dell’integrazione dell’IA nel processo creativo e produttivo del design è quella di spostare sempre di più il focus di attenzione dei designer sulla ricerca del problema piuttosto che sulla sua soluzione. L’IA è, infatti, in grado di proporre soluzioni variegate allo stesso brief, quello che non riesce a fare è valutare il problema stesso. Il fatto che esso sia degno di essere affrontato, per esempio, sia etico, opportuno, o semplicemente utile nei termini di una evoluzione costruttiva di un sistema. Quando possiamo considerare come sistema la stessa sopravvivenza, per esempio, del nostro Pianeta. Si tratta dell’attribuzione di senso (sensemaking) che assumerà un ruolo sempre più di primo piano quale fattore che permetterà di individuare di cosa occuparsi e perché. Un processo che si baserà sulla valutazione del presente in vista della previsione di un futuro pilotato e influenzato da ciò che sarà più utile non solo per l’essere umano, ma per tutto ciò che, vivente e non vivente, popola il nostro mondo.
Futuro del design: integrazione delle discipline umanistiche e tecnologiche
Discipline quali la semiotica, l’antropologia, la filosofia in tutte i suoi settori applicativi, la psicologia, ecc, (forse dovremmo dire le discipline umanistiche in generale) diventeranno sempre più centrali nella formazione dei designer ma soprattutto nell’occupazione dei luoghi di potere, predisposti al decision making in questo settore?