futuro del lavoro

Intelligenza artificiale, l’impatto su occupazione e salari: luci e ombre

Gli effetti dell’IA sul lavoro saranno simili a quelli delle precedenti innovazioni digitali o qualcosa di profondamente diverso con potenziali opportunità ma anche maggiori rischi? Servono più dati per capirlo, ma anche nuove regole in grado di adattarsi rapidamente a un contesto in continuo mutamento

Pubblicato il 28 Apr 2021

Stefano Scarpetta

Directorate for Employment, Labour and Social Affairs, Oecd (Ocse)

intelligenza artificiale pregiudizio

Solo qualche anno fa, era il 2016, Stephen Hawking affermava con il suo solito acume e preveggenza che l’intelligenza artificiale (AI) sarà “la cosa migliore o peggiore” per l’umanità.[1] In effetti, mentre l’IA può aiutare ad affrontare le sfide globali e fornire notevoli vantaggi, crea anche nuove domande negli ambiti privacy, governance, ricerca e lavoro.

Nei pochi anni dall’osservazione di Hawking, l’intelligenza artificiale ha fatto rapidi progressi alimentando ulteriormente aspettative e timori rispetto al rischio di perdite di posti di lavoro su ampia scala, derivante dalla sua capacità di automatizzare una serie di attività in rapida espansione (tra cui compiti cognitivi non di routine) e il suo potenziale di influenzare ogni settore dell’economia.

Intelligenza artificiale e lavoro: i temi sul tavolo

Stuart Elliot, dell’Accademia Nazionale delle Scienze, Ingegneria e Medicina degli Stati Uniti, ha dipinto un quadro particolarmente preoccupante. Lavorando con un gruppo di esperti di intelligenza artificiale, ha stimato la misura in cui le attuali tecnologie possono rispondere alle domande di alfabetizzazione e matematica dell’inchiesta OCSE sulle competenze degli adulti (Programme for the International Assessment of Adult Competences). Sebbene vi siano attività che l’IA non può ancora fare, Stuart ha sottolineato che nemmeno molte persone possono farle. In effetti, la sua ricerca suggerisce che solo l’11% degli adulti è attualmente al di sopra del livello di abilità che l’IA è vicina a riprodurre.

Intelligenza artificiale, è davvero la fine del lavoro? La sfida è sul filo delle competenze

Inoltre, ci sono preoccupazioni per il benessere dei lavoratori dato che l’IA potrebbe presto diventare pervasiva sul posto di lavoro con impatti potenzialmente deleteri sulle relazioni tra lavoratori e manager. Allo stesso tempo, però, occorre ricordare che l’intelligenza artificiale ha anche il potenziale per integrare e aumentare le capacità umane, portando a una maggiore produttività, maggiore domanda di manodopera e miglioramento della qualità del lavoro.

In teoria, il nesso tra IA, occupazione e salari è ambiguo e dipende fortemente dal tipo di intelligenza artificiale che viene sviluppata, da come viene utilizzata, fattori questi che a loro volta dipendono da politiche e regolamentazioni così come dalle scelte delle imprese. Per produrre risultati positivi per le imprese e i lavoratori, l’intelligenza artificiale deve creare nuove attività ad alta produttività che sostituiscano quelle automatizzate, così da aumentare la domanda dei consumatori e di lavoro per gli esseri umani in attività complementari.

Impatto dell’IA sul mercato del lavoro: luci e ombre

L’evidenza empirica dell’impatto dell’intelligenza artificiale adottata negli ultimi 10 anni non supporta l’idea di un effetto negativo sull’occupazione e dei salari nelle professioni esposte all’IA.[2] Alcuni studi suggeriscono un impatto positivo dell’IA sulla crescita dei salari. Ma il grande cambiamento di prospettiva rispetto agli studi precedenti sull’impatto della rivoluzione digitale sul mercato del lavoro è che questi ultimi avevano indicato i colletti blu, nelle attività più ripetitive, come quelli più a rischio,[3] mentre gli studi che si concentrano sull’IA sottolineano che le professioni giudicate più esposte comprendono quelle altamente qualificate con compiti cognitivi non di routine, come tecnici di laboratorio, ingegneri, analisti finanziari e avvocati. Il 4 aprile il Financial Times¸ha riportato che la Morningstar sta utilizzando l’automazione dei processi tramite robots (Robotic Process Automation, RPA) per preparare rapporti di investimento. Il testo generato dalla macchina spiega la logica alla base dei dati sul rating dei fondi del gruppo. Gli analisti finanziari sentono probabilmente il fiato sul collo, come sottolinea il Financial Times. In realtà il quotidiano ci ricorda che l’utilizzo di RPA è in forte ascesa e la pandemia ne ha accelerato ulteriormente l’utilizzo. Quest’anno, il reddito generato dalla vendita di RPA potrebbe raggiungere 1.89 miliardi di dollari, con un aumento di quasi il 20% rispetto al 2020, con una grossa fetta delle vendite nel settore della finanza, manifattura e servizi tecnici e professionali.

Mala innovazione: se bisogna fermarsi per salvare l’umano

Tuttavia, un’elevata esposizione all’IA non significa necessariamente che i posti di lavoro o le professioni ad essi legati siano destinati a sparire. Sebbene le capacità dell’IA si siano notevolmente ampliate, la loro adozione crea ancora molti problemi e non vi è dubbio che molte mansioni legate a questi lavori richiedano oggi, e in un futuro prossimo, l’intervento di lavoratori. Quindi, molto dell’impatto dell’IA sul lavoro prenderà probabilmente la forma di una riorganizzazione delle mansioni all’interno di varie professioni, con alcuni lavoratori coadiuvati nel loro lavoro dall’intelligenza artificiale, piuttosto che sostituiti dall’algoritmo.

Mentre alcune professioni altamente qualificate sono tra quelle più esposte per AI, l’evidenza ci dice che lavoratori a più alte remunerazioni e/o con un livello di istruzione più elevato possano sperimentare una crescita salariale più elevata legata all’intelligenza artificiale, indicando un elevato grado di complementarità. Ciò al contempo suggerisce però che l’IA potrebbe aumentare le diseguaglianze tra lavoratori, già in aumento negli ultimi decenni. Allo stesso modo, alcune aziende potrebbero essere in una posizione migliore di altre per sviluppare e/o implementare l’IA. Inoltre, se i guadagni dell’IA vanno a vantaggio di un piccolo numero di innovatori altamente qualificati e di aziende con un potere di mercato eccessivo, questo potrebbe creare una divisione tra innovatori e lavoratori, rafforzando ulteriormente l’impatto potenzialmente negativo dell’IA sulle disuguaglianze.[4]

È probabile che l’intelligenza artificiale ridisegni l’ambiente di lavoro di molte persone, modificando il contenuto e il modo in cui i lavoratori interagiscono tra loro e con le macchine. L’IA ha mostrato un potenziale considerevole, ad esempio nella gestione delle risorse umane. L’IA può ad esempio aiutare le aziende a progettare programmi di apprendimento degli adulti più efficaci e partecipativi, valutando le lacune di competenze, fornendo una valutazione continua dei progressi di uno studente o fornendo una formazione più coinvolgente. Il programma dell’IBM su predictive attrition, ad esempio, indica la probabilità che un dipendente lasci l’azienda e informa i manager in modo che possano intraprendere un’azione strategica. Esistono anche programmi software che utilizzano il riconoscimento facciale e filtri di scelta del lavoro per analizzare i colloqui di assunzione registrati per rendere il processo più efficiente.[5]

L’impatto dell’IA su qualità dei posti di lavoro e ambiente di lavoro

Allo stesso tempo, ci sono preoccupazioni per il più ampio impatto che l’automazione e l’intelligenza artificiale possono avere sulla qualità dei posti di lavoro e sull’ambiente di lavoro. Alcune delle stesse funzionalità che rendono gli algoritmi di intelligenza artificiale così potenti possono anche comportare rischi per la qualità dell’ambiente di lavoro. Uno degli elementi principali è legato ai biases che gli algoritmi possono direttamente o indirettamente contribuire a promuovere. Nei processi di reclutamento del personale l’IA può rendere i processi più veloci, più economici e più approfonditi.[6] L’IA viene anche presentata come uno strumento per aiutare i professionisti e i manager delle risorse umane a superare i loro pregiudizi individuali e utilizzare metriche più obiettive e neutre nel prendere decisioni. Tuttavia, i dati utilizzati dagli algoritmi di selezione del personale possono includere scelte biased fatte nel passato. Inoltre, possono esserci pregiudizi inconsci tra gli sviluppatori degli algoritmi stessi che ne influenzano la progettazione. Ad esempio, sono stati segnalati casi di sistemi di reclutamento basati sull’intelligenza artificiale che discriminavano candidate donne perché basati sui curricula e sulle decisioni di assunzione negli ultimi 10 anni, che implicitamente includevano un bias di genere e che avevano portato prevalentemente ad assunzioni di uomini.

In secondo luogo, ci sono preoccupazioni su come i dati raccolti dall’IA vengono utilizzati e interpretati dai datori di lavoro. I dati raccolti per monitorare le prestazioni dei lavoratori di un’impresa possono contenere informazioni personali sensibili, come informazioni sullo stato di salute di un lavoratore o sul suo benessere mentale, e portare a violazioni della privacy. Non è tra l’altro ovvio quali siano i diritti dei lavoratori sui dati raccolti dai datori di lavoro e in che modo queste informazioni siano protette, specialmente con i sistemi di intelligenza artificiale.[7]

Prendiamo l’esempio di diversi tipi di software che registrano l’attività sui computer dei lavoratori che lavorano in remoto. Alcune forme di questo tipo di software acquisiscono schermate di computer a intervalli regolari e le utilizzano per monitorare le prestazioni, utilizzando non solo l’immagine stessa ma i metadati dietro di essa, e talvolta senza informarne i lavoratori.

Un altro tipo di rischio è legato al fatto che l’utilizzo dell’IA possa comportare un aumento del carico di lavoro dei dipendenti. Esistono, ad esempio progetti brevettati per un braccialetto in grado di tracciare con precisione dove i dipendenti del magazzino stanno mettendo le mani e utilizzare le vibrazioni per spingerli in una direzione diversa mentre svolgono il loro lavoro. Se questi strumenti vengono portati all’estremo possono portare ad un carico eccessivo di lavoro ma soprattutto ad una perdita di autonomia e controllo sulle emozioni e benessere dei lavoratori, generando stress ma anche una possibile perdita di creatività e impegno.

Infine, l’uso dell’IA può anche sollevare preoccupazioni in merito alla trasparenza, alla spiegazione ai lavoratori di decisioni e alla responsabilità degli uni e degli altri. Vi è, ad esempio, spesso incertezza su quale parte specifica del set di informazioni utilizzato da un sistema di intelligenza artificiale guida una previsione. Sul posto di lavoro questo può rendere molto difficile o addirittura impossibile ottenere una spiegazione e determinare la responsabilità di decisioni importanti sui dipendenti. Le questioni di pregiudizio, privacy, monitoraggio e trasparenza non riguardano solo l’IA e nemmeno solo le tecnologie digitali. Ma il grado di dettaglio e l’ampiezza delle informazioni elaborate dall’IA e il suo potenziale per automatizzare le decisioni rendono questi rischi più significativi.

Conclusioni

Rimangono molte domande legate allo sviluppo ma soprattutto all’utilizzo dell’intelligenza artificiale nei luoghi di lavoro. Ulteriori analisi empiriche aiuteranno a stabilire in che misura l’impatto dell’IA assomiglia a quello delle precedenti innovazioni digitali o se, come ammoniva Stephen Hawking l’IA è qualcosa di profondamente diverso con potenziali opportunità ma anche maggiori rischi. Occorre sicuramente ottenere dati e informazioni dettagliate sullo sviluppo di nuovi algoritmi utilizzati nei luoghi di lavoro e monitorarne il loro uso, anche attraverso una cooperazione rafforzata con i datori di lavoro e le parti sociali. Ma occorre anche un nuovo quadro regolamentare che tenga conto del rapido sviluppo di queste tecnologie e quindi della necessità di avere norme che possano adattarsi rapidamente ad un contesto in continuo mutamento. Paradossalmente l’automazione e l’IA richiedono un maggior intervento pubblico fatto di smart regulations per accompagnare il processo e garantire che tutti possano trarne beneficio.

_____________________________________________________Note

  1. https://www.theguardian.com/science/2016/oct/19/stephen-hawking-ai-best-or-worst-thing-for-humanity-cambridge.
  2. Si veda rapporto della MIT Task Force on the Future of Work “The work of the future: building better jobs in an age of intelligent machines”, 2020 https://workofthefuture.mit.edu/wp-content/uploads/2021/01/2020-Final-Report4.pdf ; OECD “The impact of Artificial Intelligence on the labour market: What do we know so far?”, 2021 https://www.oecd-ilibrary.org/docserver/7c895724-en.pdf?expires=1617359137&id=id&accname=ocid84004878&checksum=C26705AE945DD17B77275A9F06BB7060 .
  3. Nedelkoska, L. and G. Quintini (2018), Automation, skills use and training, OECD Social, Employment and Migration Working Papers, No. 202, OECD Publishing, Paris. 
  4. Korinek, A. and J. Stiglitz (2017), “Artificial Intelligence and Its Implications for Income Distribution and Unemployment”, NBER Working Paper Series, No. 24174, NBER, https://www.nber.org/system/files/working_papers/w24174/w24174.pdf.
  5. Se veda OECD (2021) The impact of Artificial Intelligence on the labour market: What do we know so far? https://www.oecd-ilibrary.org/docserver/7c895724-en.pdf?expires=1617359137&id=id&accname=ocid84004878&checksum=C26705AE945DD17B77275A9F06BB7060 .
  6. Un recente studio Un rapporto di PWC suggerisce che il 40% delle funzioni di gestione delle risorse umane nelle società internazionali (principalmente con sede negli Stati Uniti) utilizzano applicazioni IA, principalmente per il processo di reclutamento e assunzione; PWC (2018), Artificial Intelligence in HR: a No-brainer, https://www.pwc.nl/nl/assets/documents/artificial-intelligence-in-hr-a-no-brainer.pdf.
  7. Si veda, tra gli altri, Moore, P., M. Upchurch and X. Whittaker (eds.) (2018), Digitalisation of Work and Resistance, Palgrave Macmillan.

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