l'analisi

L’impresa come sistema cognitivo dinamico: la tecnologia non basta per innovare

Nello scenario tecno-economico attuale la natura dell’impresa cambia radicalmente e diviene un insieme di componenti interattive sia all’interno che verso una molteplicità di entità esterne. Una riflessione sul nuovo modello di impresa e sull’evoluzione della funzione imprenditoriale

Pubblicato il 28 Ott 2019

Mauro Lombardi

Scienze per l’Economia e l’Impresa, Università di Firenze

formazione

Si moltiplicano senza sosta le enunciazioni di linee strategiche relative agli effetti della dinamica tecnico-scientifica sui sistemi economici a livello nazionale internazionale. L’auspicio è che dalle indicazioni di principio e di metodo si passi a progetti operativi, il che purtroppo non sta sempre accadendo. In qualche caso, poi, tra regolamenti, statuti, architetture con nodi e macro-nodi, articolazioni e responsabilità (operative, strategiche, ecc.) sembra che si pensi più alla tecnologia come “black box” in generale da prendere e impiegare, senza aprirla per impegnarsi in una progettazione seria, approfondita, sistematica (si veda Rosenberg, 1982).

Lo scopo di questo contributo è quello di proporre alcune riflessioni sia sulla natura e sul modello di impresa, sia sull’evoluzione della funzione imprenditoriale nell’odierno contesto ad elevata intensità di cambiamento (D’Aveni et al. 1995; D’Aveni et al., 2010).

Come definire prodotti e processi nel periodo attuale

Il punto di partenza della riflessione è un interrogativo di fondo: cosa sono i prodotti e i processi.

Prodotti e processi

Iansiti e Lakhani (2014) Porter e Heppelmann (2015), Baldwin e Clark (1997) hanno illustrato molto bene come essi siano smart e connessi: contengono ed elaborano informazioni, interagiscono tra di loro in contesti multi-scala (dell’immediato intorno al livello globale). Beni e prestazioni si configurano sempre più come l’esito di un insieme variabile di attività, che possono essere scomposte e aggregate sulla base di un progetto di output, di un’idea e di un modello di business, a loro volta suscettibili di essere modificati con relativa frequenza nel corso dell’implementazione. Pensiamo ai mutamenti in quasi tutti i comparti merceologici: dall’agricoltura al servizio di trasporto a scala locale e globale, dal monitoraggio delle infrastrutture di ogni tipo all’erogazione dei pasti. Ultimo esempio, in quest’ultimo caso, è la creazione di Uber eats da parte di uno dei fondatori di Uber, dopo la sua uscita da Uber stessa nel 2017, a causa di vicende di varia natura. Ubear eats fa una sorta di smart working per la cucina: affitta spazi per cucinare e quindi fare le consegne.

Mettiamo in luce alcuni aspetti non sempre messi a fuoco nella letteratura e nei processi di formazione in tema di digital transformation. Innanzitutto i prodotti divengono “insiemi di funzionalità” solo in parte definibili a priori. Questa espressione definisce un risultato molto importante: tradizionalmente un prodotto serviva per una o più funzioni ben definite in sede di progettazione; l’introduzione all’interno di un output di un sistema di algoritmi, che evolvono sulla base di informazioni, può potenzialmente trasformarlo in tutto o in parte, rendendolo quindi variabile e multi-funzionale, a seconda dei contesti e dei flussi informativi. Le funzioni di qualsiasi output possono pertanto cambiare in ogni momento, aggiungendo o togliendo micro-componenti fisiche materiali e immateriali, in relazione a contesti interattivi.

Il fatto che l’insieme variabile di funzionalità sia inserito in un sistema indeterminato di potenzialità interattive (Internet delle Cose) può dare origine all’emergere di nuove azioni da intraprendere in sfere di attività tradizionalmente ritenute lontane. Due esempi elementari in proposito. Una motozappa robotizzata può svolgere contemporaneamente funzioni di analisi biochimica del terreno, indagine meteorologica per valutare le condizioni dell’aria e del tempo, controllo per una distribuzione razionale delle sementi e dei processi evolutivi di una molteplicità di sistemi complessi come le piante. Analogamente, la micro-mobilità urbana (flussi pedonali, biciclette) può diventare fonte di energia e strumento di monitoraggio ambientale, da cui poi derivare in tempi rapidi suggerimenti per interventi di emergenza e per cambiamenti sistemici (si vedano i progetti sviluppati in tal senso a Copenaghen).

In sostanza, l’aver dato per così dire un “linguaggio” a dispositivi tendenzialmente presenti ovunque (Ubiquitous computing) significa che si è aperto uno spazio teoricamente infinito di possibilità inventive, dovute appunto a quella che Zittrain (The Future of Internet and How to stop it,2008, p. 71) chiama “generatività”:Generativity is a system’s capacity to produce unanticipated change through unfiltered contributions from broad and varied audiences”. La possibilità di dialogare su basi algoritmiche dà così origine a sistemi generativi, che sono “set of tools and practices that develop among large group of people” (p. 74).

Per questa via lo spazio delle interazioni tra differenti ambiti socio-economici e gruppi/centri impegnati in attività di ricerca, diviene uno spazio combinatoriale della conoscenza, perché i prodotti sono il risultato di flussi informativi non determinabili a priori e provenienti da un insieme aperto di domini conoscitivi. Tali flussi possono intersecarsi, sovrapporsi, entrare in conflitto e quindi generare nuove conoscenze come “unanticipated changes”, che poi richiedono cambiamenti di prospettiva, azioni e funzionalità innovative.

In estrema sintesi, i prodotti vanno intesi come insiemi variabili di funzionalità, in quanto derivano dalle combinazioni mutevoli di campi conoscitivi eterogenei e in continua evoluzione. Meccanica, chimica, elettronica, biochimica, informatica, progettazione economico-produttiva non sono più separati domini di conoscenze, bensì componenti dinamiche di sistemi generativi di “unanticipated change” Alla luce di questa analisi si comprende come cambino profondamente le competenze per qualsiasi agente umano e non interagisca con un prodotto e le sue componenti: dal progettista al consumatore, che non è solo il target beneficiario di qualche performance, bensì elemento fondamentale come tutti gli altri nel valutare e spingere per funzionalità aggiuntive. E’ superfluo riprendere a tale proposito gli esempi prima riportati.

Come è destinata a cambiare la natura dell’impresa

Le implicazioni delle riflessioni appena sviluppate sono molteplici e di grande importanza ai fini della consapevolezza di come è destinata a cambiare la natura dell’impresa. Riprendiamo a questo fine il tema del cambiamento dei processi economico-produttivi. Gli output in termini di beni e servizi sono il punto di arrivo temporaneo di sequenze di compiti e funzioni che possono essere tra loro molto differenti e la cui diversità è prodotta incessantemente proprio dall’evoluzione dei vari domini conoscitivi. E’ chiaro, infatti, che un prodotto o un servizio sono l’esito di interdipendenze tra processi e ambiti informativi con molteplici protagonisti, perché ciascuna entità unica può pensare di possedere tutte le conoscenze necessarie per ottenere un output complesso e variabile. La diversità dei soggetti da coinvolgere nel progettare e realizzare qualcosa comporta un profondo mutamento di visione: se si realizzano le condizioni che vedremo tra breve, l’eterogeneità è fonte di valore cognitivo ed economico.

E’ importante sottolineare tre aspetti:

  • Dai concetti di insiemi variabili di funzionalità e di spazio combinatoriale dei domini conoscitivi deriva che il punto di partenza della progettazione diviene sempre più un set provvisorio di funzioni da soddisfare, cioè di una serie non ben definita di problemi da risolvere con l’ausilio di una molteplicità di input e infrastrutture materiali e immateriali da far convergere su soluzioni soddisfacenti, se non temporaneamente ottimali. Si tratta quindi di individuare e aggregare competenze per finalità funzionali all’inizio non definite in modo esatto e completo.
  • Per ottenere un risultato quantomeno soddisfacente occorre allora sviluppare un mix variabile di attività di exploration and exploitation, così definite da un autorevole teorico dell’organizzazione (March, 1991): la prima consiste in “ricerca, variazione, assunzione di rischio, sperimentazione, flessibilità, scoperta innovazione”, la seconda racchiude invece i concetti di “affinamento delle conoscenze, scelte, efficienza, selezione, implementazione, esecuzione”. In breve, bisogna da un lato puntare a migliorare continuamente le conoscenze possedute, nel tentativo di sfruttare al massimo le potenzialità implicite e non ancora messe in evidenza, e dall’altro esplorare, attingere a sfere conoscitive ignote o note solo molto parzialmente, sia mediante ampliamenti del “portafoglio delle competenze”, sia interagendo con entità attive in altri domini da individuare e intercettare. Lo scenario descritto comporta che si realizzino ciò che con un’espressione oramai abusata si può definire un eco-sistema innovativo, che è in realtà differente da quelli naturali, in quanto si tratta di una pluralità di agenti di varia natura che da coordinare con dinamiche bottom-up e top-down, secondo una “progettazione intelligente e adattativa”, come vedremo tra poco.
  • Tutto ciò implica la necessità di un decentramento decisionale, dal momento che il divario tra potenziale informativo e capacità di controllo e information processing non può essere mai colmato, anzi si rigenera continuamente. Nel contesto appena definito nelle coordinate generali, infatti, le sequenze di attività e funzioni necessarie per produrre un output non possono essere definite in modo univoco e dall’alto, ma è necessario perseguire la congruenza tra dinamiche e processi intrinsecamente non suscettibili di centralizzazione cognitiva. Si impone allora una nuova visione dell’impresa e della funzione imprenditoriale.

Natura dell’impresa e funzione imprenditoriale

Prodotti come insiemi variabili di funzionalità e processi come sequenze non predeterminabili di attività e funzioni, ecosistemi cognitivi, funzionali all’ottenimento di un output implicano una nuova concezione dell’impresa, che tende evidentemente ad essere un sistema cognitivo dinamico. Cosa indica questa espressione?

Lo scenario odierno di computazione ubiquitaria e iperconnettività globale genera continuamente flussi informativi, pertanto nel produrre un bene o un servizio occorre perseguire simultaneamente molteplici linee di attività:

  • monitorare costantemente la frontiera delle conoscenze tecnico-scientifiche.
  • Mettere bene a fuoco i problemi risolti e quelli da risolvere, funzioni da svolgere e performance da ottenere.
  •  Analizzare le interdipendenze sistemiche tra le molteplici componenti delle varie sequenze di attività e funzioni da scegliere.
  • Selezionare attentamente le tecnologie appropriate per i temi emersi nei precedenti passaggi.

Dai quattro punti si deduce logicamente una peculiare concezione dell’impresa come unità economica e punto di congruenza tra insiemi di flussi fisici, informativi ed energetici, tra i quali realizzare un matching dinamico in relazione ad un ambiente in continua evoluzione. In sostanza è necessario perseguire la congruenza dinamica tra comportamenti/variabili tecno-economiche del prodotto/processo e variabili ambientali (evoluzione e cambiamenti dei paradigmi tecno-economici).

A questo fine è importante che l’impresa così concepita acquisisca alcuni requisiti fondamentali:

  • capacità di percepire e interpretare i segnali provenienti dall’ambiente.
  • Flessibilità operativa e capacità di adattarsi ad un ambiente evolutivo.
  • Adozione di modelli cognitivi idonei ad acquisire e generare nuove conoscenze.

Ecco perché l’impresa diviene unità economica in grado di effettuare attività di exploration and exploitation di domini conoscitivi, sia al proprio interno che attraverso interazioni con altre entità di varia natura (tecnico-scientifiche, economiche, sociali), realizzando quindi una serie di processi inferenziali, i cui esiti devono avere una validazione tecnico-economica. L’impresa come sistema aperto che elabora informazioni mediante interscambi costanti sia tra sotto-sistemi interni che con sistemi esterni elaboratori di informazioni diventa un sistema cognitivo dinamico, incentrato su organizzazione adattativa e apprendimento.

I processi inferenziali sono intrinsecamente gerarchici, perché le interazioni cognitive all’interno dell’ecosistema precedentemente indicato devono essere coordinate al fine di ottenere un output con determinate proprietà, frutto degli scambi informativi-conoscitivi. Affinché questi ultimi siano congruenti e non portino a soluzioni instabili e caotiche sono necessarie alcune proprietà fondamentali:

  • adattabilità e flessibilità tecnico-economica, in modo da rapportarsi validamente all’evoluzione strutturale causata dalle interazioni tra le varie entità coinvolte.
  • Stretta connessione tra creatività sistematica e governo del sistema-impresa in situazioni di limitata controllabilità delle variabili informative.

Come cambia la funzione imprenditoriale

Nelle comunità umane, a differenza di quanto avviene nella società delle formiche (Holldobler e Wilson, 1997) e delle api (Von Frisch, 1976) il perseguimento di attività funzionali richiede processi decisionali (individuali e collettivi) e conseguenti assunzioni di responsabilità. Di conseguenza, nello scenario odierno, cambia anche la funzione imprenditoriale, in stretta connessione con le peculiarità della visione dell’impresa in termini di unità economica densa di processi formativi gerarchici, interni ed esterni.

In questo orizzonte diviene fondamentale l’esercizio di funzioni di coordinamento strategico, che richiede un insieme di capacità:

  • propensione all’estrarre input da processi inferenziali in domini conoscitivi non controllati direttamente, mediante obiettivi di performance funzionali e business da definire meglio sulla base di strutture interattive interne ed esterne.
  • Attitudine a promuovere e favorire strutture interattive multiscala in molti campi tecnico-economici.
  • Tendenza ad adottare una modello sistemico aperto, incentrato su una pluralità di sotto-sistemi, in parte indipendenti ma connessi su temi progettuali e strategici, e in parte sotto-sistemi interni che interagiscono continuamente.
  • Cultura manageriale open-minded con elevata attitudine a catalizzare energie materiali e immateriali di matrice eterogenea, in vista di obiettivi non ben definiti a priori, ma talvolta la funzione catalizzatrice è un’opera -per così dire- di ingegneria inversa: il punto di partenza è una visione quasi irrealizzabile, che induce particolari individualità a ricercare le competenze idonee per avviare processi di ricerca esplorativa verso l’ignoto (Lombardi e Macchi, 2016).

In definitiva, quindi, si tratta di un’attività imprenditoriale svolta da un agente (individuale o micro-collettivo) in possesso di informazioni/intuizioni rilevanti, come base per l’organizzazione di strutture interattive a vari livelli. Tale agente deve al tempo stesso essere dotato di capabilities per l’esercizio di leardership strategico-progettuale. Non un secondo Leonardo da Vinci, forse non irriproducibile nel contesto tecnico-scientifico attuale, bensì una leadership con precise caratteristiche psicologiche: fermezza nella visione, apertura mentale, visione sistemica e adattativa, discovery-oriented nell’individuare opportunità di mercato e potenzialità tecnologiche, confronto incessante con la frontiera.

La sintesi finale delle riflessioni svolte può essere così espressa. Nello scenario tecno-economico attuale cambia la natura dell’impresa, che diviene un insieme di componenti interattive sia all’interno che verso una molteplicità di entità esterne. Essa allora tende a configurarsi come un sistema cognitivo aperto, adattativo e dinamico con un nucleo interno ad elevata intensità interattiva e strategica, che attua scambi informativi stabili, oppure connessi a progetti specifici. Condizione essenziale perché tutto questo possa realizzarsi l’impresa deve assumere una configurazione a rete di team, come abbiamo già indicato in un precedente contributo su Agendadigitale.eu, per coniugare agilità strategia e duttilità operativa. In breve, un sistema combinatoriale, dove il meccanismo propulsore è il sistema cognitivo dinamico: set di regole di funzionamento, team interattivi interni/esterni con entità attivate sulla base degli input elaborati in sede di coordinamento strategico (segnali di mercato, funzionalità intuite, esigenze da soddisfare, ecc.).

Per usare una metafora forse abusata, quella del cervello, dovremmo pensare a circuiti neuronali specializzati e gradi di attivazione variabili, con meccanismi di trasmissione informativa a seconda degli scambi con un ambiente esterno multi-dimensionale, mentre l’agente strategico opera nel lobo pre-frontale (programmazione delle azioni) in stretta connessione con l’amigdala (sotto-sistema limbico di controllo-elaborazione dei processi emotivi). Fuor di metafora, un sistema cognitivo dinamico, con funzioni di coordinamento strategico di una sorta di eco-sistema variabile di agenti discovery-oriented.

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Riferimenti

C.Y. Baldwin, K.B. Clark, 1997, Managing in the an Age of Modularity, Harvard Business Review, September-October

B. Holldobler, E.O Wilson, 1997, Formiche. Storia di un’esplorazione scientifica, Adelphi

R.A. D’Aveni, J. M. Canger, J.J. Doyle, 1995, Coping with Hypercompetition: Utilizing the New 7S’s Framework, The Academy of Management Executive, Vol. 9, No. 3;

R.A D’Aveni, G.B. Dagnino, Ken J. Smith, 2010, The Age of temporary advantage, Strategic Management Journal, 31: 1371–1385

M. Iansiti, K. R, Lakhani, 2014, Digital Ubiquity, Harvard Business Review, November

M. Lombardi, M. Macchi, 2016, I processi decisionali. Ricerca e innovazione per l’esplorazione dell’ignoto, Nerbini

J. March, 1991, Exploration and Exploitation in Oganizational Learning, Organization Science, Vol. 2, N. 1

M. Porter, J.E. Heppelmann, 2015, How smart, connected products are transforming companies, Harvard Business Review, October

N. Rosenberg, Dentro la scatola nera, Il Mulino, 1982

K. Von Frisch, Il Linguaggio delle api, Boringhieri, 1976

J.L. Zittrain, 2008, The Future of Internet and How to Stop it, Yale University Press

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