Come esseri umani immersi nella società digitale, siamo ormai tutti consapevoli di essere nel mezzo di una rivoluzione per l’umanità intera. Una rivoluzione resa possibile dalla tecnologia dei computer, spiegata e alimentata dalle conquiste scientifiche dell’informatica, che ha permesso di realizzare per la prima volta nella storia dell’umanità sistemi automatici capaci di trasformare – manipolando simboli di cui ignorano il significato secondo istruzioni di cui ignorano il significato – dati che hanno significato per l’uomo.
ChatGPT, perché ora l’intelligenza artificiale ci stupisce e spaventa
L’impatto sociale dell’informatica
Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. Basti pensare alla sfera dei media e della comunicazione, dove lettere, articoli e libri si sono ormai completamente smaterializzati (tweet, e-mail, post) oppure alla sfera delle relazioni sociali, dove i sistemi digitali di comunicazione e interazione sostituiscono in misura sempre maggiore quelli che un tempo erano riunioni in presenza e incontri diretti. Un impatto ancora maggiore è atteso (e in parte si sta già sperimentando) con la diffusione delle tecniche della cosiddetta intelligenza artificiale (artificial intelligence), tra le quali hanno particolare rilievo e importanza quelle di apprendimento automatico (machine learning), che promettono di fornire assistenti digitali in grado di rendere il lavoro più efficace e più efficiente, e non solo. Si pensi al dibattito che sta suscitando il chatbot di OpenAI, il ChatGPT, con i pro e i contro che inevitabilmente qualsiasi avanzamento tecnologico comporta.
Pochi però si soffermano a considerare come questo “reame” di sistemi digitali sia governato da leggi scientifiche, esattamente come quello dei sistemi fisici, così come pochi sono consapevoli del fatto che queste leggi costituiscono la scienza detta “informatica”. La simulazione di fenomeni e scenari che, attraverso programmi informatici, rende concreti ed eseguibili modelli astratti, è diventato un terzo paradigma della scienza, talvolta l’unico possibile quando la teoria è ingestibile e l’esperimento irrealizzabile. In ogni settore scientifico, al fianco dei teorici e degli sperimentali vi sono i “computazionali”, tutti accomunati dalla ricerca della comprensione delle leggi della natura. L’informatica è il loro linguaggio di base, così come la matematica lo è per i teorici. In alcuni settori è condizione imprescindibile per lo sviluppo: senza informatica non ci sarebbero viaggi nello spazio, robot, comunicazioni mobili, e così via.
Le trasformazioni che la tecnologia dell’informatica ha apportato in tutti i settori fanno sì che ogni professione e ogni disciplina ne sia in qualche modo influenzata. Esse costituiscono uno dei fattori fondamentali dello sviluppo economico degli ultimi 50 anni. L’impatto sociale dell’informatica è evidente nell’ubiquità del World Wide Web e della sua estensione in corso all’Internet delle Cose (Internet of Things). La sua rilevanza scientifica è sostanziata dalla pubblicazione, nei suoi quasi 70 anni di vita come materia autonoma, di circa 2 milioni di articoli scientifici, a fronte di una stima di un totale di 70 milioni per tutte le discipline.
Il punto chiave è che la comprensione dei princìpi fondamentali di questa scienza è essenziale per consentire ad ogni persona di avere quella conoscenza di base necessaria per gestire in modo efficace strumenti e scenari digitali, e contribuire a una crescita armoniosa di una società digitale giusta, equa e sicura. Inoltre, dal momento che una porzione sempre più rilevante dell’economia mondiale è influenzata dai sistemi digitali, la preparazione di tutti i cittadini, in generale, e dei lavoratori, in particolare, sarà sempre più necessaria per assicurare prosperità economica e sociale.
Perché parliamo di “rivoluzione” informatica
Considerati i progressi odierni in ambito informatico e gli impatti a livello economico e sociale, oggi non solo appare quanto mai attinente parlare di “rivoluzione informatica”, ma è necessario aggiungere anche l’espressione “rivoluzione dei rapporti di potere”, perché per la prima volta nella storia dell’umanità funzioni cognitive tipicamente associate agli individui vengono svolte da macchine.
Io la definisco come la “terza rivoluzione dei rapporti di potere” perché le prime due sono state quella della stampa a caratteri mobili e quella industriale.
Dapprima la rivoluzione della stampa aveva dato una marcia in più all’umanità sul piano immateriale dell’informazione, provocando una prima rivoluzione nei rapporti di potere perché da quel momento in poi l’autorità non era più legata alla parola, al dover essere in un certo luogo in un certo momento per poter sapere e apprendere dalla viva voce del maestro.
Poi la rivoluzione industriale si è focalizzata sulla sfera materiale, dal momento che la disponibilità di macchine ha reso replicabile il lavoro fisico delle persone. Veniva così alterato il rapporto di potere tra uomo e natura: l’umanità assoggetta la natura e ne supera i limiti.
Infine, questa terza rivoluzione, ancora più travolgente, “rompe” (o tenta di rompere) il potere dell’intelligenza umana, realizzando artefatti che possono meccanicamente replicare azioni cognitive caratteristiche dell’uomo.
La società digitale è infatti pervasa da macchine cognitive, che realizzano cioè operazioni di natura cognitiva. È importante sottolineare che con tale termine non sto assegnando a queste macchine una capacità intrinseca di acquisire conoscenza come accade per gli esseri umani, ma solo che le funzioni che esse meccanicamente svolgono sono analoghe a quelle di elaborazione puramente logico-razionale che svolgono le persone. È però opportuno sottolineare che negli individui, avvenendo tali elaborazioni in una mente incarnata in un corpo fisico, è difficile, se non impossibile in certe situazioni, farle accadere su un piano esclusivamente logico-razionale.
Una intelligenza artificiale “simile” a quella umana? La promessa dei modelli “multimodali”
Dalla conoscenza statica dei libri a quella dinamica dei programmi informatici
Anche se queste macchine immateriali richiedono un supporto fisico per poter operare, non sono più artefatti fisici, sono artefatti cognitivi dinamici, azione congelata che viene sbloccata dalla sua esecuzione in un computer e genera conoscenza come risultato di tale esecuzione. La conoscenza statica dei libri diventa conoscenza dinamica nei programmi, in grado di produrre automaticamente, senza l’intervento umano, nuova conoscenza. È questo aspetto che mi ha spinto a definirle macchine cognitive. Esse sono amplificatori delle funzioni cognitive delle persone, vale a dire dispositivi che potenziano le capacità di quell’organo la cui funzione costituisce il tratto distintivo dell’essere umano. È importante riflettere che questo rafforzamento, come sempre nella storia dell’umanità, vale sia nel bene (p.es., la scoperta di nuovi farmaci) che nel male (p.es., la messa a punto di nuove armi).
Il potere che viene scardinato, in questo caso, è quello dell’intelligenza umana. L’umanità è sempre stata, in tutta la sua storia, signora e padrona delle sue macchine. Per la prima volta questa supremazia rischia di essere messa in crisi: abbiamo delle macchine che esibiscono comportamenti che, quando vengono attuati dagli esseri umani, sono considerati manifestazioni di intelligenza.
L’umanità ha perso il dominio esclusivo su certe attività cognitive
Attività cognitive che fino a poco tempo fa solo le persone potevano compiere sono adesso alla portata di queste potenti macchine. Abbiamo iniziato con cose semplici, come mettere in ordine delle liste di nomi, ma adesso possiamo riconoscere se un frutto è maturo o se un tessuto presenta difetti. Certe attività cognitive non sono più dominio esclusivo dell’umanità: lo vediamo in vari giochi da scacchiera (dama, scacchi, go, …), un tempo unità di misura per l’intelligenza, nei quali ormai il computer batte regolarmente i campioni del mondo. Lo vediamo in tutta una serie di attività lavorative, un tempo appannaggio esclusivo delle persone, nelle quali sono ormai abitualmente utilizzati i cosiddetti bot, sofisticati sistemi informatici appositamente progettati anche mediante tecniche di apprendimento automatico.
I limiti e i rischi della tecnologia
La capacità di queste macchine cognitive stimola da più parti l’idea di delegare ad esse processi decisionali fino ad oggi detenuti dall’individuo. Indipendentemente da come la si pensi, la vera domanda da porsi è: chi può dire quale sia il modo migliore di prendere le decisioni? Dal mio punto di vista, però, ritengo che chi pensa fermamente che mediante tali macchine si possa governare la società umana nel modo migliore per tutti non ha ben compreso i limiti ed i rischi di tale tecnologia e la complessità della natura umana (o ha interessi nascosti). E’ vero, come obietterà qualcuno, che le persone sbagliano, ma sono anche le uniche in grado di arrivare a soluzioni creative e a comprendere cosa voglia dire essere persone. L’unica intelligenza che può prendere decisioni appropriate in questo contesto è l’intelligenza incarnata delle persone, non quella artificiale delle macchine cognitive.
Questo non implica che non ci sia un ruolo per tali macchine. Il loro uso dovrebbe rimanere confinato a quello di potenti assistenti personali, che ci alleviano la pesantezza del lavoro intellettuale di routine, aiutandoci a non fare errori a causa della fatica o di sviste. Ma le persone devono sempre avere il controllo e le decisioni finali, soprattutto quelle che – direttamente o indirettamente – hanno conseguenze rilevanti per altre persone, devono sempre essere prese da esseri umani.
Le macchine cognitive sono sicuramente utili al progresso della società umana e, data la velocità con cui l’innovazione sta procedendo, è ragionevole aspettarsi che su un piano cognitivo puramente razionale le loro capacità analitico-deduttive saranno presto insuperate. Tuttavia, ciò non vuol dire che la cosiddetta “singolarità tecnologica” verrà presto raggiunta, ovvero che la macchina cognitiva diventerà più intelligente di un essere umano, prefigurando quindi la sottomissione della nostra specie.
Intelligenza umana e intelligenza delle macchine
La realtà è ben diversa. L’intelligenza delle macchine e l’intelligenza umana sono due cose piuttosto differenti, anche se hanno una qualche sovrapposizione. Il problema è che usando il termine intelligenza, che per tutta la storia dell’umanità ha sempre indicato quella umana, accoppiato all’aggettivo artificiale, tendiamo a evocare l’idea che si tratti di intelligenza umana artificialmente realizzata mediante automi. Invece, come detto, si tratta solo dell’aspetto legato alle capacità analitico-deduttive puramente razionali, ovvero alla possibilità di calcolare nuovi dati logicamente implicati dai dati sotto esame. In quest’ambito, come abbiamo già avuto prova nel campo dei giochi da tavolo, le macchine cognitive sono superiori alle capacità umane, così come le macchine industriali hanno superato l’uomo per quanto riguarda le capacità fisiche.
Conclusioni
Resta il fatto che le macchine cognitive, e in modo particolare quelle che utilizzano le tecniche dell’intelligenza artificiale, si diffonderanno sempre di più, per la loro indubbia utilità, mentre le persone cambieranno il tipo di lavoro che fanno. D’altro canto, si pensi a cosa è accaduto in passato: nell’Ottocento più del 90% della forza-lavoro era impiegata nell’agricoltura, adesso è meno del 10% nei paesi più industrializzati. Pertanto è della massima importanza che ogni persona sia appropriatamente istruita e formata sulle basi concettuali della disciplina scientifica che rende possibile la loro costruzione, l’informatica.
Questo è il motivo per cui è necessario insegnare l’informatica come disciplina scientifica nelle scuole e a tutti i cittadini, perché solo in questo modo ognuno sarà in grado di capire la differenza tra ciò che tali macchine possono fare e ciò che non devono fare.
Si tratta di una conoscenza essenziale affinché l’umanità possa continuare a dirigere e governare il proprio futuro.
Per approfondire:
Enrico Nardelli
La rivoluzione informatica: conoscenza, consapevolezza e potere nella società digitale, Edizioni Themis