La correlazione tra aumento della produttività e diffusione dell’intelligenza artificiale è al centro di un intenso dibattito politico-accademico. L’esplorazione si sviluppa lungo due assi tra loro convergenti, quello del rapporto tecnologia – jobs (l’impatto dell’IA su salari, domanda di lavoro, creazione di nuovi mestieri), e quello su tecnologia – work (implicazioni dell’IA per autonomia e qualità del lavoro).
In questa breve panoramica, rendiamo conto di alcune ricerche che hanno provato a rispondere, spesso con orientamenti divergenti, a queste domande: l’IA è in grado di aumentare la produttività? Se sì, chi ne beneficia? L’aumento della produttività può coincidere con una compressione della domanda di lavoro e con una riduzione dei salari? Infine, ha senso la valutazione delle performance sul piano della produttività al di fuori dei settori manifatturieri, in particolare nel terziario e nel lavoro cognitivo?
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Intelligenza artificiale: integrati contro apocalittici
La celebre distinzione tra sostenitori della cultura di massa (integrati) e suoi critici spietati (apocalittici) formulata da Umberto Eco torna utile per raccogliere in un continuum le principali posizioni, efficacemente sintetizzate da Lane e Saint Martin (2021) per OECD in una recentissima overview.
Gli integrati
Tra gli integrati, figurano anzitutto le società di consulenza internazionale come McKinsey (2018), Accenture (2017) e PWC (2018). Nei loro rapporti di ricerca, l’IA è vista come una forza rivoluzionaria, che può incrementare la produttività, generare nuovi consumi e migliorare la diffusione delle innovazioni. McKinsey stima che l’IA sarà responsabile di un aumento del PIL mondiale del 1,2% annuo, il triplo di quanto prodotto dalla robotizzazione duranti gli anni 90’ e il doppio raggiunto grazie alla diffusione dell’informatica negli anni 2000. La produttività, secondo Accenture, salirà del 38% (nei paesi più avanzati dal punto di vista tecnologico, tra cui non c’è l’Italia) entro il 2035, previsione confermata anche da PWC, secondo cui il valore aggiunto prodotto dall’IA entro quell’anno sarà pari a 15,6 trilioni di USD. Tuttavia, gli studi delle società di consulenza hanno una funzione più politica che scientifica. Inoltre, in tutti i casi citati, gli effetti dell’IA sono considerati in termini proiettivi, come scenari probabili o possibili tra 10-15 anni, e pertanto, difficili da sottoporre nel presente a confutazioni (Cappelli 2020).
Gli apocalittici
Una posizione radicalmente opposta è quella di Gordon (2018) che comparando i dati sulla produttività nel settore manifatturiero tra i paesi OCSE, sostiene che l’IA confermi in pieno il paradosso della produttività: a dispetto delle aspettative e di quanto successo in passato, l’IA non avrebbe la capacità di incidere in maniera significativa sulla produttività. Lo dimostrerebbe il fatto che nell’ultimo decennio considerato nello studio (2006-2016) la produttività, e cioè il valore aggiunto prodotto per lavoratore, sarebbe complessivamente stata inferiore nel settore manifatturiero rispetto a quello precedente. L’Intelligenza artificiale, secondo questa prospettiva, avrebbe già “dato” il possibile e le applicazioni credibilmente attuabili nel futuro (ricerca medica, veicoli senza conducente) potranno portare a miglioramenti marginali di produttività, almeno nel medio periodo.
Speculare a questa prospettiva “riduzionista”, vi è quella che ritiene molto più tangibili gli effetti dell’IA sulla compressione di domanda e retribuzione del lavoro (Acemoglu e Restrepo 2018). L’IA, in quanto tecnologia di automazione, espande l’insieme dei compiti all’interno del processo di produzione che può essere eseguito dal capitale anziché dal lavoro. Questo produrrebbe un progressivo effetto sostituzione non più sul lavoro manuale ma anche su quote importanti di quello cognitivo legato a mansioni ripetitive.
L’effetto sostituzione attiverebbe una spirale di riduzione dell’offerta di lavoro e di abbassamento dei salari, a cui seguirebbe – in assenza di politiche tese a governare questo effetto strutturale – anche una crisi nell’accesso ai consumi. L’aumento di produttività coinciderebbe, pertanto, con un disaccoppiamento tra accumulazione di capitale e aumento della redditività del lavoro. Anche in questo caso, si tratta comunque di previsioni: Frey (2013:2020) valuta, entro il 2050, l’effetto sostituzione dell’IA fino al 40% dell’attuale forza lavoro, mentre stime più prudenti, ma anche più ufficiali come quelle di OCSE, calcolano il potenziale di sostituzione dell’automazione indotta da IA nel 14% nei prossimi dieci anni.
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I punti deboli delle previsioni sul futuro di IA e produttività
I punti deboli di queste analisi sono piuttosto evidenti. Il paradosso della produttività mostra un aspetto indubbiamente importante, e cioè che i discorsi sull’IA, come su tante altre next big thing tecnologiche, sono avvolti da una pesante coltre di determinismo e soluzionismo tecnologico. Tuttavia, la produttività non è semplicemente il risultato dell’interazione tra fattori produttivi, ma è fortemente legata a variabili di contesto. Una di queste è, per esempio, la diseguaglianza. Nel valutare la produttività, spesso si guarda a interi comparti economici.
Tuttavia, la capacità di utilizzare l’IA appartiene ancora a pochi, e non è escluso che sia proprio una scarsa redistribuzione della tecnologia (Schwellnsu et al 2018), correlata a modelli di finanziamento dell’innovazione venture con dinamica “chi vince prende il massimo”, a produrre accelerazioni eccessive, posizioni anticoncorrenziali, mismatch di competenze. Inoltre, dare per scontato che l’IA sia arrivata già al suo hype implementativo è un azzardo: la performatività del deep learning ad apprendimento auto-revisionato è nella sua fase incipiente, specie se rapportato alle opportunità offerte dalle NGN (Brynjolfsson, Rock e Syverson, 2017). Anche le teorie sull’effetto sostituzione tendono forse a dare per scontati troppi passaggi: che l’IA, ad esempio, sia così efficiente da riuscire a sostituire in maniera completa il lavoratore umano, o ancora, che l’IA sia essenzialmente una tecnologia di automazione, quando invece i suoi più recenti sviluppi la dirigono verso altre qualità (Naudé 2019), ad esempio il riconoscimento, la traduzione, il movimento.
Gli studi che hanno portato ad alcune evidenze empiriche si sono concentrati prevalentemente nel settore manifatturiero (e quindi su IA come tecnologia di automazione) e nel contesto produttivo statunitense (McElheran 2018; Felten et al 2019). Questi studi non supportano l’idea di un impatto significativo dell’IA per la riduzione della domanda di lavoro o per la crescita dei salari, mettendo anzi in evidenza la presenza di una tendenza alla crescita delle retribuzioni a partire dai lavori più qualificati. Altri studi, come quello di Fossen e Sorgner (2019) che hanno osservato il potenziale effetto sostituzione a livello individuale tramite survey rivolta a imprenditori e lavoratori, hanno rilevato che l’esposizione ai progressi dell’IA sarebbe associata ad una maggiore stabilità del lavoro e ad una crescita dei salari, prospettando, almeno fino ad adesso, un uso dell’IA che va a integrare, più che a sostituire, il lavoro umano. Ad una evidenza parzialmente diversa arrivano Acemoglu et al (2020) esaminando i cambiamenti negli annunci di lavoro negli USA tra il 2010 e 2018 nei settori con maggiore esposizione all’IA si riscontrerebbe una (lieve) maggiore domanda di lavori meno soggetti ad automazione, e contestuale riduzione di quelli più facilmente affidabili a macchine intelligenti. Tuttavia, i numeri di questi studi sono ancora troppo bassi per autorizzare altro se non delle ipotesi di ricerca.
Cosa vuol dire produttività?
Un’ultima (meta) riflessione in merito ai rapporti tra IA e produttività riguarda la congruenza stessa della domanda di ricerca iniziale. Cosa vuol dire produttività? Se si va fuori dal lavoro manifatturiero, la valutazione di questa proprietà del processo produttivo diviene difficilmente operazionalizzabile. Diverso è, infatti, il ruolo del tempo, la natura dell’output, la possibilità di riconoscere valore aggiunto sul singolo lavoratore anziché sulla rete (che spesso poi, è al di fuori di contesti organizzativi omogenei come una singola azienda o distretto). Eppure l’IA le sue maggiori possibilità le esprime proprio sull’economia della conoscenza, e sulla possibilità di utilizzare le macchine per attività cognitive (non necessariamente ripetitive). In che modo misurare la qualità del lavoro immateriale? Come isolare la variabile IA sulla creazione di servizi, più che beni, di qualità?
Conclusioni
Una strada potrebbe essere quella di diversificare lo sguardo sui fattori produttivi, inserendo anche quelli riproduttivi, a partire dal tempo di vita. In che modo l’IA può aiutarci a liberarci dal lavoro? Quali processi politici e sociali possono determinare una maggiore redistribuzione di tali fattori? Emerge con forza il bisogno di uno sguardo interdisciplinare, capace di cogliere tutte le sfaccettature di un fenomeno complesso e di una ripoliticizzazione del “potere sovrano”, inteso come nuovo protagonismo delle istituzioni politiche nel dirigere, anziché assecondare, i mutamenti tecnologici.
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Bibliografia
Accenture (2017), How AI boosts industry profits and innovation, Accenture, https://www.accenture.com/fr-fr/_acnmedia/36DC7F76EAB444CAB6A7F44017CC3997.pdf
Acemoglu, D. et al. (2020), AI and Jobs: Evidence from Online Vacancies, https://conference.nber.org/conf_papers/f143876.pdf
Acemoglu, D. and P. Restrepo (2018), Artificial Intelligence, Automation and Work, NBER, http://www.nber.org/papers/w24196
Brynjolfsson, E., D. Rock and C. Syverson (2017), “Artificial Intelligence and the Modern Productivity Paradox: A Clash of Expectations and Statistics”, NBER Working Paper Series, No. 24001, NBER, http://www.nber.org/papers/w24001
Cappelli, P. (2020), “The consequences of AI-based technologies for jobs”, R&I Paper Series, No. 4, European Commission, http://dx.doi.org/10.2777/348580
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Gordon, R. (2018), “Why has Economic Growth Slowed When Innovation Appears to be Accelerating?”, NBER Working Paper Series, No. 24554, NBER, http://www.nber.org/papers/w24554
Lane M, Saint Martin A. (2021). The impact of Artificial Intelligence on the labour market: What do we know so far? In OECD Social, Employment and Migration Working Papers No. 256. https://dx.doi.org/10.1787/7c895724-enù
McElheran, K. (2018), “Economic Measurement of AI”, NBER Conference Paper, http://conference.nber.org/conf_papers/f114642.pdf.
McKinsey (2019), Survey: AI adoption proves its worth, but few scale impact, https://www.mckinsey.com/featured-insights/artificial-intelligence/global-ai-survey-ai-proves-itsworth-but-few-scale-impact.
Naudé, W. (2019), The Race against the Robots and the Fallacy of the Giant Cheesecake: Immediate and Imagined Impacts of Artificial Intelligence, https://www.iza.org/publications/dp/12218/the-raceagainst-the-robots-and-the-fallacy-of-the-giant-cheesecake-immediate-and-imagined-impacts-ofartificial-intelligence
PWC (2018), Artificial Intelligence in HR: a No-brainer, https://www.pwc.nl/nl/assets/documents/artificial-intelligence-in-hr-a-no-brainer.pdf
Schwellnus, C. et al. (2018), “Labour share developments over the past two decades: The role of technological progress, globalisation andwinner-takes-most” dynamics”, OECD Economics Department Working Papers, No. 1503, OECD Publishing, Paris, https://doi.org/10.1787/3eb9f9ed-en