il nuovo potere

L’internet delle proteste: di nuovo Davide contro Golia, ma un hashtag non ci salverà

Le molte forme di protesta contro il potere che si sviluppano in rete – ultima quella legata al Black Lives Matter – sono il segno di una nuova mentalità che si afferma nel mondo. Che però si manifesta in modi troppo frammentati per scalfire il potere dei nuovi oligopoli, che, anzi, sul divide et impera stanno prosperando

Pubblicato il 22 Set 2020

Lelio Demichelis

Docente di Sociologia economica Dipartimento di Economia- Università degli Studi dell’Insubria

protesta

Mass media, new media, social media, individual media. Il nuovo che avanza o il vecchio che ritorna?

Le nuove forme e i nuovi modi di informazione, di comunicazione, di coinvolgimento e di partecipazione politica e sociale via internet – già battezzati in America come “The internet of protest” – sono forse (e questa volta per davvero) come il giovane pastore Davide che, armato di una semplice fionda, uccide il gigante Golia, scagliandogli un sasso in fronte e facendolo stramazzare a terra? Davide quindi sfilandogli la spada dal fianco e uccidendolo tagliandogli la testa, portata poi in trionfo a Gerusalemme? Se allora il più forte, come spiegava sant’Agostino, era stato l’apparentemente debole pastorello, così accadrà anche con la rete, noi tutti come tanti Davide con la fionda?

Davide contro Golia

L’immagine – Davide che sconfigge Golia – è usata e abusata (lo stiamo facendo anche noi, adesso): se ne scriveva infatti anche ai tempi delle primavere arabe e delle rivoluzioni via Facebook (e quanta retorica ingenua e surreale venne prodotta allora dai media e dai politici occidentali); e prima ancora era la promessa di tutti coloro che volevano farci credere a una rete libera e democratica e magari anche un poco libertaria, se non anarchica. Ma sappiamo (dovremmo sapere, la realtà essendo sotto i nostri occhi) come è andata a finire: per la rete (diventata sostanzialmente un oligopolio privato e insieme un Grande Fratello per il “capitalismo della sorveglianza”, che certo non è democratico ma che anzi è un potere ancora più verticalizzato e verticalizzante di ieri pur offrendosi come perfettamente orizzontale); e per le primavere arabe e per Hong Kong, mentre le prossime elezioni americane saranno una guerra all’ultimo colpo di fake e di haker, mentre un Trump sempre più populista e razzista minaccia di mandare gli sceriffi ai seggi per controllare il voto e invita i repubblicani a votare due volte, per posta e ai seggi). Da questi esiti dobbiamo dunque rassegnarci al fatto che vince sempre il Golia-Trump, il Golia-Gafam, il Golia tecno-capitalismo (un Golia oggi super-corazzato ma soprattutto capace anch’egli di usare la fionda contro i tanti Davide che poi siamo noi, incapaci persino di usare la fionda per difendere la nostra privacy, facendoci anzi liberamente asserviti a Golia); oppure – e reiteriamo la domanda, pieni di ottimismo della volontà – i nuovi social/individual media nati dalle ultime proteste negli Usa contro le violenze sistematiche della polizia verso gli afroamericani, saranno davvero e finalmente il Davide che sconfigge Golia?

Partiamo da un fatto, apparentemente antico.

Vecchi e nuovi media. Ma quale informazione?

Nei giorni scorsi, sul sito punto.it di un importante quotidiano è comparsa la notizia di un video messaggio postato sul suo profilo Twitter da Papa Francesco: “Stiamo spremendo i beni del pianeta. Spremendoli, come se si trattasse di un’arancia. Paesi e imprese del Nord si sono arricchite sfruttando doni naturali del Sud generando un debito ecologico. Chi pagherà questo debito?” E poi: “Oggi, non domani dobbiamo prenderci cura del Creato con responsabilità. Preghiamo affinché le risorse del pianeta non siano saccheggiate, ma condivise in modo equo e rispettoso”. Notizia messa sulla parte sinistra del sito. Non troppo in grande, visibilità tutto sommato modesta nonostante l’importanza del messaggio.

Stesso sito punto.it e notizia sui nuovi “più ricchi di sempre” (Bezos, Musk, Zuckerberg, insomma: i soliti noti), classificati secondo l’IndiceBloomberg Billionaires” – e sempre più ricchi “grazie alla loro capacità di fare innovazione”. Un Indice dove il visionario Musk avrebbe superato il più povero Zuckerberg. In questo caso, notizia centrale e spazio quattro volte maggiore di quello dedicato al messaggio del Papa. Due giorni ancora e questa notizia si è triplicata (quella del Papa restava invece singola e scendeva sempre più in basso): un primo spazio, piccolo ma sempre centrale; a seguire, poco più sotto la notizia in grande dei giorni precedenti, sempre centrale e ben visibile con tanto di foto, sempre esplicitando il riferimento all’innovazione (tecnologica, ovviamente) come via maestra per diventare ricchi; infine una ulteriore ripresa del tema, più in basso, a sinistra del sito, giusto come marcatore psicologico prima che l’utente esca dal sito.

Visionari-conservatori o visionari-visionari?

Cosa dire? Che l’informazione (i siti come la carta stampata) è anche e di nuovo un reparto produttivo della fabbrica del consenso e insieme della socializzazione di ciascuno al ruolo e alla funzione che deve avere e svolgere nel sistema: quella di produrre, consumare e oggi soprattutto di innovare. Non importa quale innovazione: importante è innovare a prescindere dalla sua utilità sociale, il sistema offrendo il sogno di diventare imprenditori di sé stessi, creare una start-up e così poter essere come i super-ricchi. Ovvero: come sito nuovo-vecchio non posso non citare il Papa, ma la notizia dei “nuovi ricchi sempre più ricchi” deve essere ben visibile affinché sia valutata dal pubblico come molto più importante del messaggio critico del Papa, e così, in questo modo, legittimare e riprodurre il sistema nella sua essenza, attivando incessantemente ciascuno a fare capitalisticamente sempre di più. Notizia e soprattutto messaggio pedagogico che deve essere ribadito e ripetuto (la ripetizione è una vecchia/sempre nuova tecnica del marketing), perché sia ben introiettato da ciascuno. Perché importante – per il sistema – è magnificare sé stesso come super-brand globale; perché è un modello auto-referenziale e auto-celebrativo abilissimo nel far apprendere da chiunque il proprio schema di ingegneria comportamentale per il quale non ci sono alternative e Golia vuole vincere sempre.

Un sistema dove, ad essere considerati visionari dai vecchi/nuovi media (ma anche da chi insegna marketing e management) sono Musk e Zuckerberg e Buffet, come ieri lo era Steve Jobs. Ma visionari solo in termini di innovazione tecnica e capitalistico-finanziaria e mai in termini di umanesimo, responsabilità, diritti dell’uomo, riconversione ecologica del sistema.

E quindi, non deve essere considerato visionario (visionario/utopista è chi è capace di immaginazione, di visione del futuro, condividendo questa visione/visionarietà con gli altri), Papa Francesco o, ieri, Martin Luther King o Aurelio Peccei – e certo non lo è più Karl Marx, che pure sognava un mondo dove “il libero sviluppo di ciascuno fosse la condizione del libero sviluppo di tutti”; dove “ognuno dà secondo le sue capacità, ognuno ricevendo secondo i suoi bisogni”); e certo non lo è mai stato Immanuel Kant, che sognava una società di individui autonomi e liberi grazie alla conoscenza (“sapere aude!”) e non più eteronomi; immaginando perfino la pace perpetua nel mondo.

The internet of protest

Cambio di scena: i nuovi media accennati all’inizio e le nuove opportunità di comunicazione nate dalle proteste antirazziste negli Usa. Come la one-page website creata da un sedicenne texano e denominata “Justice for Jacob Blake”, l’uomo ferito dalla polizia a Kenosha, nel Wisconsin. Pubblicando “context, templates for contacting officials, mental-health resources and donation link”. Usando Carrd (nato nel 2016 per semplificare i processi di creazione di pagine web, ma altri ne sono nati e ne stanno nascendo), un tool facile che permetterebbe appunto a ciascuno di costruire un sito in pochi minuti, potendo esso diventare anche un luogo di espressione della protesta e di cittadinanza attiva “for people who want to share resources and information quickly, safely and creatively”, in più garantendo il massimo della privacy e dell’anonimato. Una evoluzione che evidenzierebbe anche “a fundamental change in how Gen Z consumes news and uses social media”, soprattutto per scopi di informazione e di espressione delle proteste.

Tutto bello e nuovo, dunque? In realtà sono gli stessi concetti/promesse e quasi le stesse frasi (e le stesse retoriche sul nuovo) usate e sempre reiterate negli ultimi trent’anni per magnificare ogni volta le opportunità di democrazia e di partecipazione offerte dalla rete/web (a contrario, consigliamo caldamente di rileggere ad esempio il fondamentale libro del Gruppo Ippolita, “La Rete è libera e democratica. Falso!” – Laterza, 2014).

Perché non è nella sua essenza tecnica, l’essere democratica; perché non è mai accaduto che la rete/web permettesse poi più democrazia e più partecipazione, semmai ha prodotto soprattutto meno democrazia e più antipolitica, il ritorno dell’autoritarismo, ha favorito la diffusione virale dell’idiozia umana e del qualunquismo, ha ucciso il rispetto per gli altri e il dialogo con gli altri e favorito invece il solipsismo e l’auto-centramento individualistico, e poi il sovranismo e il terrapiattismo e il negazionismo/fascismo e i trolls, e i cookies e le fake news.

Il nuovo potere?

Quanto sopra ci porta ad un libro di recente traduzione in italiano: “New Power. L’arte del potere nel XXI secolo” (Einaudi Stile libero), scritto da Jeremy Heimans e da Henry Timms. Riprendendo un pensiero del filosofo Bertrand Russel (1872-1970) – “il potere è la capacità di realizzare desideri” – gli autori sostengono – ma è una promessa, aggiungiamo, che appunto ci segue da trent’anni, mai davvero realizzata perché impossibile da realizzare – che questa capacità “è ormai interamente nelle nostre mani”. Per sostenere questa tesi, gli autori portano molti esempi favorevoli e positivi (ma giustamente, anche molti fallimenti, essendo consapevoli che opportunità e pericoli sono sempre presenti): a partire dal #MeToo, che ha permesso a moltissime donne di usare il proprio potere, fin ad allora ancora inespresso, di denunciare i maschi molestatori e violenti. Ovvero, grazie alla rete nelle sue diverse forme, il potere dal basso-Davide sarebbe capace di far stramazzare a terra il potere che viene dall’alto-Golia. Secondo Heimans e Timms, questa dinamica starebbe mutando i caratteri della nostra epoca – e non è solo una questione di tecnologie e di uso delle piattaforme sociali – generando una nuova mentalità che si starebbe affermando nel mondo.

Divide et impera e nuove tecnologie

Con un però, che aggiungiamo subito. Questa nuova mentalità – che si esprime in forme di contro-potere o di contro-condotte rispetto al potere (qualcosa che in realtà da sempre appartiene alla storia umana) – si manifesta in modi solo frammentati e isolati (contro i maschi, contro la polizia, contro il razzismo, contro qualcosa di specifico). Giustamente, certo. Ma non si coagula/ricompone in qualcosa di generale e di visionario capace di rovesciare il potere nella sua interezza, di cui potere maschile, polizia e razzismo sono solo alcuni degli epifenomeni.

Anzi – e questo proprio perché grazie alle nuove tecnologie il divide et impera diventa enne volte più facile rispetto al passato – il potere-Golia gode massimamente di doversi confrontare con un contro-potere e con contro-condotte totalmente frammentate e individualizzate/separate e autoreferenziali, che scalfiscono appena il suo potere, ma non lo cambiano davvero e meno che meno lo fanno stramazzare a terra. Come sostiene anche Henry Timms, “il caos aiuta gli uomini forti, di fronte ad esso la gente vuole ordine. Ed è nata una nuova genìa di leader autoritari che usano le piattaforme sociali”, per contrastare il caos generato da un tecno-capitalismo in sé e per sé de-socializzante e anti-politico/de-democratizzante.

Il giovane texano che usa Carrd per informare e mobilitare e lo stesso #MeToo sono proteste assolutamente legittime e benvenute, ma restano frammenti di protesta, spesso a vita breve, dove molti sono connessi e mobilitati grazie a un social/individual media e a un hashtag, ma disconnessi da altre forme di protesta e soprattutto privi di una visione complessiva dei problemi (e per definizione, un hashtag è un aggregatore tematico, che ha la funzione di rendere più facile per gli utenti condividere un tema o contenuto specifico; specifico, appunto, cioè parziale, chiuso in sé stesso, separato e non inter-comunicante – quindi non generale, non collettivo: ovvero è incapace, per la sua struttura, di generare una visionarietà sociale e sul lungo termine).

Manca allora quella che Marx chiamerebbe una coscienza di classe contro la classe dominante del potere-Golia. Manca soprattutto una contro-visionarietà capace di demolire una visionarietà invece solo tecnologica e capitalistica – una visionarietà per di più totalmente e totalitariamente nichilistica (e non è un paradosso, ma è appunto l’essenza del sistema) – che crea tecno-dipendenza e che a sua volta ingabbia ciascuno nella sua rete.

Perché – lo aveva già capito Herbert Marcuse più di mezzo secolo fa – “entro il medium costituito dalla tecnologia, la cultura, la politica e l’economia si fondono in un sistema onnipresente che assorbe e respinge tutte le alternative”. Cioè le assorbe, le svuota, le frammenta, le isola, le depotenzia. O le respinge e reprime, con “legge e ordine”. Sempre più spesso usa entrambe le strategie. Per questo un hashtag o un social/individual media può forse essere utile; ma la storia recente ci dice che non basta.

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