In questi giorni mi sono chiesto che fine avessero fatto le “Carte dei diritti dell’Internet” (non una, ma due!) approvate il 3 novembre 2015 dal Parlamento italiano, purtroppo entrambe rivelatesi, sino a oggi, totalmente inutili. Infatti, la riforma costituzionale (pur contenendo innumerevoli modifiche al nostro più importante testo normativo) le ha entrambe ignorate, confermando i timori di chi, come me, sosteneva che si trattasse solo del solito, inutile (e a volte pericoloso) storytelling.
E intanto, in modo piuttosto indisturbato, la nostra Agenda Digitale rischia di essere senza bussola e di andare alla deriva miseramente:
– lo stato di SPID è imbarazzante. A ormai più di un anno dal “lancio ufficiale” il numero delle identità rilasciate (poco più di 140.000) è a dir poco esiguo. Addirittura inferiore al colossale flop della CEC PAC(-co). È vero che, seguendo il groviglio di norme di attuazione, l’obbligo per le PA risulterebbe scattare (probabilmente!) entro novembre, ma oggi è ormai entrata in vigore la riforma del Codice dell’amministrazione digitale e per l’obbligatorietà di SPID inserita negli articoli 64 e 65 del Codice non è previsto alcun periodo transitorio: lex posterior derogat priori… le PA lo sanno? E i cittadini conoscono SPID e le sue innumerevoli potenzialità?
– L’ANPR (Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente) data per dispersa. Eppure era uno dei pilastri dell’azione governativa sviluppata e portata avanti in questi anni. “Entro il 2016, prenderà il posto delle oltre 8.000 anagrafi dei comuni italiani, costituendo un riferimento unico per la Pubblica Amministrazione, le società partecipate e i gestori di servizi pubblici”, si legge sul sito di AGID. Tutto pronto, quindi? Da quel che mi risulta ci sono resistenze e non si sono fatti i conti con lo stato di informatizzazione dei comuni italiani… e già c’è chi dice che si stava meglio quando si stava peggio!
– Qualche importante Comune in questi ultimi giorni annuncia rivoluzioni partendo dalla CIE (Carta d’Identità Elettronica), ma la CIE nel “nuovo” CAD è ridotta a eventualità. Basta leggere con attenzione i già citati articoli 64 e 65 post-riforma. Eppure non ha oggettivamente molto senso puntare tutto su SPID, quando, seppur a macchia di leopardo, nel nostro Paese sono state diffuse (e finanziate) anche CNS (Carta Nazionale dei Servizi) e CIE. O no?
– La governance è divisa in due staff che credo fatichino a dialogare. Mi riferisco ovviamente allo staff costituendo del nostro Commissario Straordinario e quanto è oggi invece a disposizione di AgID. AgID è uscita rafforzata dalla riforma del CAD (ed è fatto positivo), ma risulta (come tutte le PA italiane) commissariata. E la sostanza è che si abbia la netta e spiacevole sensazione che sia tutto fermo.
– Anche la benedizione della fatturazione B2B non credo che sia la panacea di tutti i mali e non è detto che i numeri siano così esaltanti come si sta provando a dire in questi giorni. Spero comunque di essere contraddetto dai dati che arriveranno.
– Anche il caos generato dalla sospensione degli accreditamenti dei conservatori non costituisce un segnale rassicurante per lo stato di digitalizzazione reale del nostro Paese. E a leggere con attenzione i dati viene oggettivamente da piangere in ogni settore, pur con tutti i tentativi di storytelling per fare vedere il bicchiere “mezzo pieno” (ma mi sa che l’acqua è terminata da tempo). E già c’è chi propone per la gestione e conservazione dei documenti degli enti pubblici una bella piattaforma informatica nazionale, riducendo la complessità archivistica, organizzativa, informatica dei progetti di conservazione a una barzelletta istituzionale.
Non credo che ci possiamo permettere tutto questo e non credo nemmeno che il nostro Paese lo meriti. Io sono a disagio. Alterno forme di rabbia a uno stato di desolazione. Le strategie di digitalizzazione hanno disperato bisogno di un approccio multidisciplinare, di una definizione, quindi, di competenze e di una strategia a lungo termine che non sia contraddetta ogni anno da nuove normative e da “intuizioni” rivoluzionarie poi smentite nel giro di qualche mese.
A me sembra che non ci sia più un barlume di strategia. Inoltre mi pongo un’ultima questione: è passato un mese e mezzo dalla riforma del CAD e in essa (art. 61 del D. Lgs. 179/2016) si prevedono 4 mesi di tempo per riscrivere e uniformare le regole tecniche. Qualcuno ci sta pensando? Io non ho notizie! Intanto ho letto che qualcuno già propone una nuova riforma del CAD. Ma ci rendiamo conto che l’innovazione non si può realizzare a colpi di modifiche legislative? Il diritto ha bisogno di sedimentarsi. Il nostro Paese ha invece bisogno di un approccio serio e di qualità, che parta da un presupposto: la digitalizzazione non la si costruisce con lo strumento informatico (che è solo un mezzo) ma con professionalità capaci di ridisegnare totalmente i procedimenti amministrativi, semplificandoli con un approccio digital oriented. E per farlo ci vuole coraggio e responsabilità.
Diego Piacentini spero che ne sia consapevole e voglia seguire questa strada. È l’unica via per invertire questa tendenza che rischia di incancrenirsi. E spero davvero che l’Italia non sia ormai in uno stato troppo avanzato di malattia.