Come in ogni incubo che si rispetti, Little Nightmares 2 non prevede dialoghi, lo spazio e il tempo sembrano effettivamente distorti, nessun viso ha chiaro segno distintivo, non c’è identità, la logica segue a volte un senso analogico e ogni desiderio e aberrazione diventano azioni in-game.
La fuga è spesso una faccenda difficile, da calibrare al dettaglio, in caso contrario i mostri e le frequenti trappole interromperanno immancabilmente il nostro viaggio. Si muore tante volte nel gioco e la frustrazione rischia di costringere il giocatore a uscire con rabbia dal game play, in modo assai simile a quando ci si sveglia di soprassalto, scossi dal contenuto latente dei nostri sogni. Per fortuna ci sono frequenti checkpoints che ci consentono di riprovare da una stanza appena precedente.
Little Nightmares 2 coniuga loop temporali, distopie da cui emerge una chiara critica sociale e il doppio junghiano, il tutto reso attraverso una grafica di rara bellezza.
Le novità di Little Nightmares 2
A discapito del vecchio capitolo, Little Nightmares 2 permette una maggiore interattività con gli oggetti e si dà più rilevanza ai puzzle, più marginali nel vecchio gioco. A ogni modo, spesso, per risolvere la situazione dobbiamo fare più affidamento al caso che alla logica, in modalità prove-ed-errori, ma quanto meno la dinamica stealth, il posizionamento e la rapida fuga dai mostri che via-via si incontrano non sono più così centrali. Un altro aiuto per risolvere gli enigmi ce lo offre proprio la nostra compagna di viaggio, Six, che in questo capitolo è mossa dall‘Intelligenza Artificiale. Se si osserva come si posiziona nella scena, la piccola bimba in impermeabile giallo ci facilita la soluzione di alcune impasse, senza comunque trasformare il game play in una passeggiata. Anzi, la vicenda è sei ore di cardiopalma.
Insomma, questo secondo Piccolo Incubo l’ho trovato effettivamente più divertente rispetto al precedente videogioco e con una grafica ancora migliore, se possibile. Non è un caso che Little Nightmares sia diventato anche un fumetto digitale, per Android e IOS, così da aumentare ulteriormente l’engagement dei fan e dare ancora più spazio a storia e disegni, che per questo videogioco la fanno effettivamente da padroni.
Innanzitutto è bene precisare che non si tratta del classico horror game, pieno di jump scare. Qui non si urla, qui è l’atmosfera a dare al gamer la sensazione di trovarsi in un vero e proprio incubo. L’emozione dominante è l’angoscia, cioè il terrore dell’ignoto, quello che spesso ci fa fuggire dall’incontro a tu per tu con noi stessi. Insomma, Tarsier Studios si confermano anche questa volta maestri di ansia, un’ansia meno facile da risolvere rispetto al primo capitolo di quella che sembra ormai una saga.
Nel gioco si incontrano i luoghi che tipicamente usiamo come materiale di costruzione dei sogni. In effetti non di rado sembra di rivivere (questa volta a occhi aperti, direi sbarrati) gli spazi che ci angustiano anche di notte: ospedali, scuole, appartamenti dall’aria minacciosa e disturbante…
La critica sociale
Oltre alla trama da gioco suspenseadventure è chiaro leggervi una forte critica sociale, come già era per Little Nightmares 1. Il capitolo del 2017 roteava attorno a un terribile resort in cui i clienti erano tutti signori benestanti, presi da una fame irrefrenabile. Il proprietario era uno strano essere, una Matrona, che faceva rapire i bambini per darli in pasto a quest’orda di clienti disposti a tutto pur di sfogare una vera e propria dipendenza. A beneficiare era però la Signora, che in realtà si nutriva dell’energia dei clienti, ridotti a vere e proprie larve per la sete di potere dell’aliena. È la critica del Primo Mondo, abitato da mostri obesi, che, pur di mantenere tutti i vizi acquisiti, divorerebbero qualunque cosa, senza badare a nessuna conseguenza, presi da una frenesia meccanica, priva di coscienza e dunque di umanità. In questo secondo capitolo, invece, il Male controlla la città dalla televisione. Il medium rende i cittadini deformi e schiavi di uno strano essere, ormai padrone della Città Pallida e della sua energia vitale.
È la classica critica allo stile di vita dell’Uomo-bestia di marxiana memoria. Un soggetto alienato, fuori da sé, che vive, o, meglio, reagisce solo per soddisfare i bisogni più bassi, rinunciando alla creatività e alla libertà tipiche dell’essere umano. Tutto il nostro soffio vitale, tutto ciò che la psyché di buono offre, viene assorbito da dipendenze di vario tipo e da programmi televisivi volti a trasformare la popolazione in un allevamento finalizzato a mantenere il potere di pochi.
La trama
In Little Nightmares la distopia si unisce sempre alla fantascienza e all’horror, per cui i mostri che si nutrono della linfa vitale umana diventano alieni dall’aspetto minaccioso, in grado, ad esempio, di teletrasportarsi da un televisore all’altro e piegare le logiche della fisica. Al termine del racconto un loop temporale, generato dal risentimento del protagonista, arrovellerà il pensiero di tutti coloro che, una volta concluso il gioco, cercheranno di razionalizzare e figurarsi la circolarità che si viene a innescare tra i due capitoli della saga.
In Little Nightmares 2 impersoniamo Mono, un ragazzino con il volto coperto da un cestino di carta. Dopo uno strano sogno si ritrova in una foresta misteriosa e qui inizia il viaggio nel terrore.
La trama si svolge in una città, chiaramente soggiogata da una strana malìa. L’incantesimo sembra provenire da una torre centrale, capace di distorcere le prospettive delle case, gli aspetti e i comportamenti degli abitanti. Nella foresta troviamo un primo nemico mostruoso: si tratta di un Cacciatore, che, complice la lontananza dal centro radioattivo, si comporta diversamente rispetto agli altri umani che incontreremo da qui a poco. Certo, non si può dire si tratti di una persona normale, né nel comportamento, né nell’aspetto. Nella sua abitazione ci sono ancora i familiari, dal volto completamente deturpato, seduti alla tavola, probabilmente impagliati dal mostro. Prigioniera del Cacciatore incontriamo anche la protagonista del capitolo precedente, Six, la ragazzina famelica vestita dell’enigmatico impermeabile giallo. In effetti il gioco risulta un prequel: al termine della storia riusciamo a dare un vago senso all’intera trama che collega i due capitoli. Vago perché è pur sempre un “piccolo incubo” e come tale non si può che interpretare rinunciando alla Verità. La versione mobile, Very little nightmarers, è addirittura il prequel del prequel: qui viene chiarito da dove viene Six, come era stata rapita.
Mono e Six riescono a fuggire dal mostro a bordo di una zattera, raggiungendo così la città maledetta. Da qui entriamo in una scuola. Al posto dei ragazzi ci sono solo fantocci dalla testa di ceramica. La maestra che tiene a bada i “bulli”, rendendo tutti quanti più remissivi, è in realtà un mostro dal collo allungabile. Si intravede la prima chiara critica sociale del game play: una diseducazione e il non-pensiero a cui sono costretti gli studenti, per nutrire un intero sistema di cui per adesso si conoscono ben poco i contorni.
Ciò che subito salta agli occhi è la ferocia che contraddistingue Six: una sete di vendetta e un sadismo inaspettati da una bambina. Oltre a essere una critica sociale, la trama ripropone il Doppio di Jung. È l’Ombra che, prendendo il sopravvento sul Sè, condiziona le vicende di un individuo che si sente quindi estraneo, manovrato da una forza che pare non appartenergli. L’Alter-Ego malvagio che ci guida non è qualcosa di altro-da-noi, ma è invero una fetta della nostra personalità, una volontà inconscia di cui non vogliamo sentirci responsabili, perché poi dovremmo confrontarci con il peso della colpa, ma così facendo diamo libertà a un’istanza capace di tutto. È un tema, questo, ricorrente nei miti e nella letteratura. Uno degli archetipi principali descritti da Jung.
Tra trappole, enigmi, nascondigli, balzi e corse raggiungiamo un ospedale, a metà strada tra un manicomio, una prigione, un obitorio per strani esperimenti. Percorriamo corridoi bui pieni di insidie, sfuggiamo da mani di plastica che cercano di acciuffarci e infine, usciti da questo contesto, incontriamo il Boss della storia: l’uomo magro, il Thin Man, colui che, grazie a poteri psichici ottenuti con le anime che assorbe, controlla la città, servendosi delle trasmissioni televisive, da cui nessuno dei cittadini riesce più a staccarsi, diventando bovini da latte per alimentare il loop che qui si viene a definire.
Freud trasformò il sogno in un oggetto da studiare in modo rigoroso, dando a ciò che apparteneva al non-detto, all’irrazionale, un’importanza inedita, non solo, fu grazie a lui che l’arte ebbe nuovo materiale, nuove possibilità espressive ispirate dalla psicanalisi. La chiave interpretativa dei sogni segue motivi propri, certo, ma ciò non significa che non sia possibile raggiungere un significato di ciò che si agita al di sotto della superficie. Anzi, ne va del benessere individuale raggiungere il senso di ciò che in apparenza non lo ha.
Nel Novecento artisti come Dalì, Svevo, Woolf, Hictchcock hanno poi dato all’Es e all’istanza inconscia un ruolo centrale nei dipinti, in pellicole cinematografiche e nel flusso della narrazione, Little Nightmares, allo stesso modo, sfrutta le dinamiche dell’incubo e le regole amorali e arazionali dell’inconscio per strutturare il game play. I personaggi che popolano la storia sono maschere atte a celare il senso di distruzione di due bambini, che, ormai fuori controllo, ha preso il sopravvento nella loro personalità e quindi nelle vicende, trasformando il realevirtuale del gioco in un vero e proprio incubo da cui non potranno più uscire. Chissà, allora, i prossimi capitoli della serie in quali lavori onirici, per nulla riposanti, ci proietteranno.