La recente e rapida diffusione del virus Covid-19 (coronavirus) ha risvegliato il dibattito sullo smart working (SW) nelle pa e nelle aziende e sulle modalità di lavoro che evitano la necessità di recarsi fisicamente in ufficio con associata la flessibilità lavorativa a beneficio dell’equilibrio tra vita privata e lavorativa. L’effetto valanga che si è creato in rete e il proliferare di articoli sui blog ma anche sulla stampa cartacea ha tuttavia generato un’informazione spesso semplicistica o non in linea con la realtà scientifica di riferimento, in particolare per lo smart working.
Cos’è e cosa non è lo smart working
Nel seguito viene presentata una sintesi degli aspetti principali dello smart working, con attenzione alle modalità di lavoro che non lo sono e ai requisiti organizzativi affinché lo SW possa essere applicato anche nella PA con efficacia, efficienza ed economicità e contemporanea soddisfazione del lavoratore.
La Direttiva n.1/2020 della Ministra per la pubblica amministrazione Fabiana Dadone ha ulteriormente esaltato il dibattito sui temi appena indicati, rilanciando la normativa sul cosiddetto lavoro agile. Risulta quindi attuale verificare in che modo la PA possa operare in modalità SW.
Lo smart working non è un lavorare “senza ufficio”, telelavoro o comunque lavorare da casa. È rivolto a chi opera in una organizzazione come un’azienda e ovviamente nella PA. Un libero professionista che prepara una presentazione in viaggio sul treno ha, da sempre, l’obiettivo professionale di soddisfare i requisiti stabiliti per l’attività, quindi non sta lavorando in modo smart o remoto, ma sta lavorando nel modo a lui tradizionale.
Lo “svolgimento della prestazione lavorativa, basata su flessibilità di orari e di sede e caratterizzata, principalmente, da una maggiore utilizzazione degli strumenti informatici e telematici, nonché dell’assenza di una postazione fissa durante i periodi di lavoro svolti anche al di fuori dei locali aziendali” è quanto definisce sul tema la normativa (Legge 81/2017 sul lavoro Agile).
Lo smart working non è l’evoluzione del telelavoro
Come primo concetto basilare, comunque, si deve considerare che lo SW non è la specifica evoluzione del telelavoro dove, stabilite le specifiche condizioni contrattuali, si lavora a casa, in montagna, in un parco e tendenzialmente in mobilità utilizzando la Rete e il digitale.
Certamente lo SW richiede una specifica relazione tra dirigenza intesa come organizzazione del lavoro e controllo che diventa da “fisica” a fiduciaria. Pochi mesi fa si è legiferato sul controllo fisico dei pubblici dipendenti che dovevano attestare la loro presenza in ufficio tramite l’impronta digitale; in questa fase si consente di operare in modalità fiduciaria, il dipendente sa cosa deve fare e lo farà sulla base degli obiettivi assegnati.
Non è difficile comprendere che fare SW richiede la messa in opera di sistemi a tecnologia collaborativa e deve evitare l’interazione tra le fasi del processo basata su meccanismi ispirati al cartaceo o comunque rigidi.
Considerato che si dovrà operare su strumenti informatici, PC, tablet, smartphone, la postazione di lavoro deve evolvere in modo virtuale tramite applicativi integrati, gestione della transazione digitale, webcam e sempre adeguata banda di trasmissione.
Il lavoratore esce dagli schemi tradizionali e diventa proprietario della sua attività con la possibilità di gestire e sviluppare l’equilibrio tra vita professionale e personale.
Lo stato dell’arte dello smart working in Italia
Nel privato nazionale sono numerose le iniziative di SW. La ricerca 2019 dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano intitolata “Smart working davvero: la flessibilità non basta” mostra dati interessanti sulla diffusione dello SW in aziende private con circa 570.000 lavoratori, un forte incremento rispetto al 2018 e un grado di soddisfazione professionale elevato (elaborazione su un campione di 1.000 lavoratori).
Diversa è la situazione nella PA dove solo il 16% ha introdotto iniziative strutturate (contro il 58% delle aziende) e oltre il 60% non ha agito in materia.
La PMI non sta certo meglio visto che il 51% è disinteressato al tema.
Smart working nella PA: criticità e ostacoli
Focalizzando l’attenzione sulla PA vediamo quali sono le criticità percepite e gli ostacoli verso lo SW. La ricerca sopra citata evidenzia che il 43% del campione ritiene che questa modalità operativa non sia applicabile alla propria realtà. Il procedimento amministrativo cartaceo e la gestione tramite faldoni e fascicoli non consente lo SW. Il 27% del campione non riesce a percepire i benefici ottenibili e il 21% esprime chiaramente il problema delle procedure poco digitalizzate o la disponibilità di adeguata tecnologia, per esempio di banda di rete di comunicazione.
Questa analisi della Ricerca conferma ancora una volta che alla base di ogni tipologia di innovazione della PA e conseguente digitalizzazione ci deve essere la reingegnerizzazione del procedimento amministrativo che non può essere più l’uso dell’informatica nel procedimento cartaceo. Alcuni punti del vigente Piano Triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione 2019-2021 possono aiutare lo sviluppo dello SW.
L’elemento più importante è l’applicazione del principio del cloud first. Il procedimento amministrativo opera su una base organizzativa e operativa comune. Lavorare fuori dall’ufficio non comporta nessuna differenza perché con strumenti tecnologici adeguati si dispone sempre di un “cruscotto” operativo comune.
L’introduzione successiva di servizi basati sul Digital Transaction Management consente di ottenere equilibrio tra gli strumenti di lavoro, il rapporto fiduciario con l’ufficio e la misurazione degli obiettivi. Naturalmente queste attività non si improvvisano e devono essere avviate secondo i principi normativi di riferimento per la parte contrattuale e di organizzazione del lavoro ma anche di cambiamento nella modalità di lavoro.
Lo sportello può diventare chat, video, teleconferenza. Il personale sanitario può operare in telemedicina utilizzando strumentazione domiciliare che trasmette dati che vengono elaborati e presentati al personale medesimo per le azioni necessarie.
La gestione di una pratica può essere “a distanza” e interattiva.
Il positivo impatto ambientale è facile da individuare e la circostanza che ci sono meno automobili in giro non può che aiutare il clima.
La sicurezza informatica e il progetto VeLA
L’elemento cruciale dello SW in quanto attività innovativa e digitale è la sicurezza informatica. I sistemi cloud ma anche i data center devono avere livelli di sicurezza adeguata. Il personale che opera da remoto deve essere identificato e autenticato in un’ottica di elevata protezione dei dati personali.
Per non partire da zero si può prendere in considerazione il “kit di riuso” del Progetto VeLA.
Per accedere al “kit di riuso” si può consultare la pagina.
Il Progetto è conforme alla normativa sul lavoro agile e fornisce le base metodologiche, organizzative e formative per procedere con lo SW.
Partendo in modo efficace possiamo concludere che lo SW è un modo di operare che parte da un cambio di mentalità, di organizzazione e di specifiche scelte tecnologiche. Non è aspetto da trascurare che le basi organizzative informatiche sono pienamente in linea con il Piano Triennale e i Responsabili per la Transizione al Digitale hanno un altro importante compito da svolgere.
Modificare l’organizzazione per l’emergenza in corso è un fattore di accelerazione ma non può essere la prassi e senza indicazioni amministrative “forti”, incentivi operativi e soprattutto la riorganizzazione digitale del lavoro non andremo da nessuna parte e ritorneremo al controllo biometrico della presenza fisica in ufficio completamente fuori dai tempi e da realistiche prospettive di efficacia ed efficienza dello strumento.