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Lo smartphone per difendersi da un assedio: le app utili, il nodo della sicurezza dei dati

Dopo l’11 settembre, non c’è stata emergenza, crisi umanitaria, conflitto o disastro naturale in cui lo smartphone non abbia avuto un ruolo da protagonista. Nella guerra ucraina è stato essenziale, anche solo come mezzo di ripresa e diffusione d’informazioni. Le app più scaricate, come anticipare il rischio di perdere dati

Pubblicato il 11 Mar 2022

Luigi Giungato

Ph.D. St. in Politica, Cultura e Sviluppo, DiSPeS, Unical Ricercatore Società Italiana di Intelligence - SocInt

guerra vetro rotto

Uno smartphone può rivelarsi uno strumento utile per sopravvivere durante un assedio? È questa la domanda che devono essersi posti i cittadini di Kiev, di Kharkiv o delle altre grandi città dell’Ucraina orientale, una volta iniziato l’attacco da parte delle forze armate russe.

Speciale Guerra in Ucraina

In effetti, l’utilizzo dei device personali in situazioni di crisi è stato al centro di numerosi studi negli ultimi 20 anni. Ma è stata soprattutto la pratica a rilevare come lo smartphone sia diventato un’estensione del nostro corpo, per dirla nel linguaggio di McLuhan, non solo nella vita quotidiana, nel lavoro e nello svago quanto, soprattutto, nei momenti di emergenza, in cui si rivela il nostro istinto di sopravvivenza. Dalle catastrofi naturali, agli attacchi terroristici, alle situazioni di caos urbano, la recente storia ha dimostrato come, di volta in volta, l’uso degli smartphone, sia diventato essenziale per delineare le reali dinamiche in corso.

D’altra parte, se è vero, come sostiene Miller nel suo studio “Why we post”[1], che la percezione della nostra casa si sia spostata dal luogo fisico delle mura abitative a quelle immateriali del nostro dispositivo personale, allora appare chiaro come istintivamente ognuno di noi sia portato a ricercare gli strumenti della propria sicurezza e di quella dei nostri cari proprio in quell’oggetto al quale vengono affidate funzioni sempre più estese della nostra vita personale e sociale.

L’uso dello smartphone nell’emergenza, dall’11/9 in poi

Dopo il battesimo del fuoco dell’11 settembre 2001, in cui, le voci delle vittime dai cellulari e le timide riprese di alcune videocamere a bassa definizione, si impressero per sempre nella memoria collettiva globale, non vi è stata emergenza, crisi umanitaria, rivoluzione, conflitto bellico o disastro naturale in cui lo smartphone non abbia avuto un ruolo da protagonista, dal tracciamento gps dei sopravvissuti, alle comunicazioni tra terroristi o combattenti, dal preponderante ruolo di occhio onnipresente sul fronte di guerra tramite i social o i canali di messaggistica, al riconoscimento dei profughi. In effetti, l’integrazione di sensori sempre più raffinati e l’implementazione di app che trasformano e aumentano la nostra percezione della realtà, trasformando la nostra vita in un’esistenza onlife, se da un lato fungono da invadenti e pericolosi strumenti di controllo e di monitoraggio da parte dell’autorità o delle aziende nei confronti degli utenti, dall’altro possono permetterci di avere a disposizione una sorta di coltellino svizzero pronto all’uso per la gestione delle nostre comunicazioni di emergenza.

Il ruolo degli smartphone nella guerra in Ucraina: le app più scaricate

Nella più stringente attualità, il ruolo degli smartphone nella guerra ucraina è stato finora evidentemente determinante, anche solo come mezzo di ripresa e di diffusione di informazioni, da parte dei combattenti e delle autorità – basti pensare alle riprese in modalità selfie del Presidente ucraino Zelensky. Tuttavia, come attestato da un recente report sulle app più scaricate in Ucraina[2] dall’inizio del conflitto armato con la Russia, sembra che l’attuale situazione di emergenza abbia visto un utilizzo degli smartphone orientato su tre direttrici principali:

  • la sicurezza delle comunicazioni interpersonali,
  • la preoccupazione di un’eventuale perdita di connessione dati
  • un incremento della disintermediazione nella ricerca e nella produzione di informazioni.

Paura dell’offline, di essere intercettati o di essere costretti a dosare con parsimonia la batteria, quindi. Timori che hanno portato a un’impennata nell’installazione di app dedicate alle comunicazioni criptate e utili anche in assenza di rete, come Signal, Zello o Bridgefy, ritenute evidentemente le più sicure soluzioni in termini di protezione. Anche le mappe e le app di navigazione offline hanno avuto evidentemente un ruolo di primo piano nelle preoccupazioni di utenti alle prese con il rischio di spostamenti improvvisi e non sempre nella possibilità di una connessione. Per non parlare delle app vpn o delle due principali app per l’approvvigionamento di notizie sulla situazione locale, come Telegram e Twitter.

Ma sono solo queste le app e le funzioni dello smartphone che possono fare la differenza in una città assediata?

Come trovare le app indispensabili in situazioni di crisi

Navigando in rete o su YouTube è molto facile imbattersi in pagine che elencano una serie di applicazioni ritenute indispensabili in situazioni di crisi. Molte di queste si concentrano sulla sopravvivenza in ambienti naturali, come quelle dedicate all’escursionismo, oppure a come comportarsi durante un’emergenza naturale. Il sito della Freedom of the Press Foundation, invece, specializzata nella sensibilizzazione per la libertà di stampa, contiene una specifica guida dedicata alla sopravvivenza dei giornalisti e degli attivisti in contesti bellici[3]. La principale attenzione, in questo caso, è data alla sicurezza delle informazioni, mediante l’installazione di sistemi e di software anti-intrusione e anti-tracciamento, di criptazione dei contenuti e di salvaguardia dei nostri dati personali. Altro discorso, ancora, meritano i numerosi report pubblicati da vari attivisti palestinesi residenti nella Striscia di Gaza, da molti anni soggetti a penurie continue in termini di energia elettrica e connessione.

La sicurezza dei dati in cloud

In effetti, gli oltre due anni dell’emergenza pandemica hanno prodotto l’illusione che una crisi sia anche indissolubilmente legata alla possibilità di essere perennemente connessi, sia alla rete dati che elettrica. Niente di più lontano dalla realtà di un conflitto armato, se prendiamo la casistica recente delle ultime vicende legate al conflitto israelo-palestinese o alle sommosse in Kazakistan, durante le quali l’oscuramento elettrico e, soprattutto, la disconnessione della popolazione dalla rete dati e telefonica civile, hanno causato l’interruzione delle normali routine quotidiane legate all’uso degli smartphone online.

Anche la traumatica interruzione dei servizi Google, Microsoft, Steam ed Apple in Russia o i numerosi e recenti down, probabilmente dovuti ad attacchi DDoS, subiti da Spotify, Twitter o Discord, ci pongono nell’obbligo di riconsiderare la sicurezza dei nostri dati in cloud, dalle email, ai dati contabili, fino ai nostri contenuti audiovisivi sui social. Per non parlare del rischio, sempre presente, di un’offensiva hacker, che porrebbe in serio pericolo anche tutti i nostri dati salvati direttamente su drive locale.

Mettere al sicuro i dati digitali

La preparazione a una situazione di emergenza, quindi, dovrebbe comportare lo sforzo a tutto campo di prevedere il rischio di incorrere, sia in una disconnessione totale dai servizi, sia in un’indisponibilità improvvisa dei nostri dispositivi. La possibilità di usufruire di mezzi alternativi di ricarica, di solidi sistemi di protezione dei dati e di sicuri backup, dovrebbe quindi essere prioritario per la prevenzione di danni maggiori e per assicurarci la continuità e l’operatività dei nostri sistemi e delle nostre informazioni critiche.

Eppure, al di là di ipotetici rischi catastrofici, sulle suggestioni del grande black out narrato in “Blade Runner Black Out 2022”, cortometraggio di animazione cyberpunk diretto nel 2017 da Shinichiro Watanabe, forse è proprio la salvaguardia della nostra memoria, affidata a numerosi Gigabyte di dati immagazzinati in Rete, a dover occupare un ruolo predominante nelle nostre preoccupazioni.

Nella canzone dei CCCP, “Nessuno fece nulla”, liberamente ispirata ai diari scritti dal poeta Nedžad Maksumić sulla sua esperienza durante la guerra jugoslava, viene elencata una serie di prescrizioni su cosa bisognerebbe fare nel caso in cui ci si trovasse a vivere in una città investita dal fronte. Tra le varie voci, una in particolare consiglia di mettere al sicuro tutte le proprie foto e i propri oggetti personali, riponendoli in solidi contenitori, da seppellire in un luogo protetto e poi recuperare a guerra finita, al fine di “dimostrare a te stesso che una volta tu eri”. Probabilmente, è proprio nell’evoluzione digitale di tale precetto che risiede una delle più pressanti anticipazioni del rischio, su cui dovrebbe investire la nostra società fragile.

Note

  1. Miller D, Costa E, Haynes N, McDonald T; Nicolescu R; Sinanan J; Juliano S; Venkatraman S; Wang X. (2019). Come il mondo ha cambiato i social media. (a cura di) D’Agostino G., Matera V. Londra: UCL Press London. DOI: 10.14324/111.9781787355576
  2. https://techcrunch.com/2022/02/28/ukrainians-turn-to-encrypted-messengers-offline-maps-and-twitter-amid-russian-invasion/?guccounter=1
  3. https://freedom.press/training/

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