Il covid19 ha rappresentato a tutti gli effetti un attacco ai legami che si riflette anche nel mondo organizzativo. Lo smart working e la prevalenza di contatti virtuali hanno inciso profondamente nei vissuti dei gruppi di lavoro: gli scambi informali si sono diradati a favore di momenti formali, l’orientamento all’obiettivo ha prevalso sull’orientamento alla relazione.
Vengono così a mancare quei legami “deboli” che però, come vedremo, sono di fondamentale importanza per il benessere emotivo. Si possono recuperare giocando? Laborplay, spin-off dell’Università degli Studi di Firenze, scommette di si.
Smart working, come collaborare e socializzare anche a distanza
Benessere organizzativo e qualità delle relazioni professionali
L’era della tecnica che viviamo ormai da anni tende a rimuovere ogni senso che non si risolva nella pura funzionalità ed efficienza dei suoi apparati, all’interno dei quali l’individuo soffre per l’insensatezza del suo lavoro e per il suo sentirsi soltanto un mezzo nell’universo dei mezzi (Galimberti, 2005).
Questo si rivela a maggior ragione nel momento storico attuale, in cui a più voci i lavoratori ci raccontano dell’impossibilità di trovare uno spazio per pensare e per relazionarsi: lo smartworking ha incrementato il vissuto di pura funzionalità del proprio apporto lavorativo, le call si ripetono una dopo l’altra nell’arco della giornata, non c’è più spazio per convenevoli e per quelle comunicazioni che si tenevano negli spazi interstiziali e che consentivano di percepire l’umanità propria e dell’altro e la sensazione di far parte di una rete più ampia.
Sappiamo bene però che il benessere organizzativo e la qualità delle relazioni professionali passa anche da una conoscenza informale tra colleghi e dal sentirsi parte del proprio gruppo e della propria organizzazione. Questo senso di appartenenza si basa sul sentimento di essere immersi in un contesto di relazioni lavorative che non consistono solo nel legame con i propri diretti colleghi, responsabili e collaboratori.
La distinzione tra legami deboli e legami forti
Il sociologo americano Mark Granovetter (1973), aveva proposto una distinzione tra legami deboli e legami forti, dove “forte” non significa migliore ma riguarda la natura delle relazioni all’interno di una rete sociale più o meno grande. Mentre i legami forti definiscono quelle relazioni che si basano su incontri costanti, frequenti, come la famiglia e gli amici più intimi, quelli deboli sono meno frequenti e ravvicinati e caratterizzano quelle relazioni che instauriamo con i conoscenti e con chi incontriamo occasionalmente.
La nostra socialità oltre a far leva sui legami forti, si nutre anche di una fitta serie di interazioni occasionali che sembrano essere venute a mancare a partire dal primo lockdown e continuano a essere assenti in molte situazioni lavorative. Lo smartworking ha certamente dei vantaggi irrinunciabili sia in termini di costi che di attenzione al work-life-balance, ma è necessario tener conto anche dei potenziali rischi derivanti dalla perdita dei legami, soprattutto quelli deboli e informali.
L’importanza dei legami deboli
Si, perché i legami deboli ci permettono di raggiungere molti più contatti indiretti (e quindi informazioni) di quelli che potremmo stabilire riferendoci solo a relazioni forti. Sono importanti anche per la circolazione delle idee, influenze e informazioni generali distante da quello condiviso con i nostri contatti abituali. Ci rendono in grado di allargare lo sguardo sul mondo ben oltre quello della nostra “bolla”, con la quale tendiamo a rinforzare informazioni e visioni della realtà già in nostro possesso.
C’è però un’altra ragione per cui ci mancano i legami deboli. Ed è strettamente emozionale: sappiamo infatti che i contatti con i legami deboli contribuiscono al benessere emotivo, ci rendono più felici perché ci fanno sentire connessi alla comunità in cui viviamo, ci fanno sentire visti e riconosciuti.
E visto che queste persone “meno conosciute” ci rendono un utilissimo supporto emotivo e pratico, dovremmo davvero porci alcune domande (non) retoriche: cosa facciamo per farli crescere in numero e varietà? Posto che non è propriamente il momento più favorevole, come possiamo renderli un pizzico più significativi senza necessariamente investirci molto tempo?
Forse occorre rinnovare l’attenzione a quel benessere che Spaltro (1995) definiva come una dimensione decisamente soggettiva che definisce uno spazio ed un tempo dove l’individuo può esprimere la propria sovranità. Per recuperare questo benessere è importante allora prestare attenzione non solo all’individuo, ma anche ai gruppi e all’aspetto di convivenza organizzativa, dedicando del tempo a “ricucire” i legami attraverso momenti di riflessione e condivisione e perché no, anche di gioco.
La web app Play4Card del Laborplay
In Laborplay, spin-off dell’Università degli Studi di Firenze, per rispondere a queste esigenze, oltre a progettare momenti formativi gruppali, abbiamo sviluppato una web-app chiamata Play4Card: un contenitore di immagini e storie che consente di narrarsi e conoscere le narrazioni dei nostri colleghi. Play4Card è una piattaforma social aziendale, giocabile via internet. L’obiettivo è quello di usare un ambiente gamificato per favorire la conoscenza reciproca dei colleghi afferenti anche a sedi diverse, dalle facce ai ruoli, dagli interessi alle passioni.
Le informazioni raccolte dai singoli vengono rielaborate graficamente in vere e proprie figurine che vanno a comporre un album aziendale. All’inizio l’album sarà tutto in bianco e nero, ma rispondendo ad alcune domande sui colleghi, sarà possibile collezionarne le figurine e scambiare i “mi piace” e “lo conosco”, consentendo al tempo stesso una sorta di rilevazione sociometrica delle relazioni interne all’organizzazione.
Nell’attuale situazione caratterizzata dalla crisi dei legami, è necessario dare la giusta rilevanza alla componente relazionale e al benessere organizzativo andando a rafforzare sia i legami forti che quelli deboli. Come ricordava Enzo Spaltro “il malessere esiste e va scoperto. Il benessere non esiste e va inventato”.
Bibliografia
Galimberti, U. (2005). La casa di psiche: Dalla psicoanalisi alla pratica filosofica, Milano: Feltrinelli.
Granovetter, M. (1973) The Strength of Weak Ties. American Journal of Sociology, 78, 1360-1380.
Spaltro, E. (1995). Qualità. Psicologia del benessere e della qualità della vita, Bologna: Pàtron.