la prospettiva

Lo storytelling da solo non basta più: perché le aziende devono diventare (anche) media company

La capacità di costruire una storia credibile e interessante è il punto di forza di qualsiasi strategia di comunicazione aziendale. Identità, brand e reputazione sono, invece, le parole chiave sulle quali costruire campagne di comunicazione di buon livello. Ecco cosa serve

Pubblicato il 06 Feb 2023

Alessio Pecoraro

coordinatore PAsocial Emilia-Romagna, marketing & communication manager

Social media pro campagna vaccinale

La tecnologia, mettendo a disposizione nuovi strumenti, ha trasformato, soprattutto negli ultimi anni, il mondo intero in narratori, storyteller, facendo leva su un’esigenza antica e – ancora – attuale: il bisogno di raccontare storie.

In un nuovo mondo dove il progresso tecnologico e dell’intelligenza artificiale è destinato ad avanzare più velocemente rispetto a quello che si pensava, anche il modo di raccontare – e raccontarsi – necessita di un’evoluzione.

Content creation: perché l’intelligenza artificiale farà sempre di più la differenza

Quello di oggi è un mondo iperconnesso, da mattina a sera ognuno di noi è bombardato da una miriade di informazioni, di tutti i tipi, ed è in questo scenario che anche lo storytelling deve essere capace di guardare al futuro, riscrivere le sue regole tra difficoltà – sempre crescenti – del pubblico a comprendere le narrative sempre più evolute e indifferenza come conseguenza del caos informativo.

Oggi la platea di indifferenti va dal 30% al 40%, oltre agli haters che si attestano tra il 10% e il 20% come evidenziato dalla ricerca “Post-Invasion” promossa da Omnicom Pr Group con Astra e Università Iulm.

Comunicazione aziendale: Identità, brand e reputazione le parole chiave

Partiamo dalla base e da tre keyword. La capacità di costruire una storia credibile e interessante è il punto di forza di qualsiasi strategia di comunicazione aziendale. Identità, brand e reputazione sono, invece, le parole chiave sulle quali costruire campagne di comunicazione di buon livello.

L’identità è la storia dell’azienda, il brand il modo in cui si racconta e la reputazione è il modo in cui è vista dagli altri. Quest’ultima caratteristica non appartiene però all’azienda, sono gli altri a determinarla.

La reputazione aziendale dipende, oggi, soltanto per il 41% dai prodotti o dai servizi offerti. Il resto è fatto dall’impatto sociale del brand (35%) e dai comportamenti dei vertici aziendali (24%) confermando, ancora una volta, come dirigenti e collaboratori siano i primi testimonial aziendali, al pari degli influencer, un elemento da non trascurare.

C’è poi anche un altro dato: le persone sono sempre più resistenti alla pubblicità, l’idea che sia necessario (o utile) raccontare al consumatore tutti i pregi di un prodotto – o servizio – appartiene ad un tempo passato. Se un cliente o potenziale tale vuole informazioni su un prodotto o un servizio di un brand può ottenere milioni di risultati in meno di un secondo.

Cosa fa la differenza

Cosa fa la differenza? Quello che piace al pubblico è essere intrattenuto, ed è quello che fanno le storie. Se il corporate storytelling è efficace diventa straordinario e il prodotto ad essa associato può diventare straordinario per lo stesso motivo.

Nel 2023 possiamo, a livello aziendale, limitarci a parlare solo di piano di comunicazione?

Per quasi tutta la storia dell’umanità le informazioni in possesso erano o troppo poche o difficilmente accessibili. Ora, improvvisamente, ci sono così tante informazioni e di facile accesso da doverle selezionare.

In questo scenario tutto il mondo dei dati sta offrendo delle opportunità incredibili per capire i pubblici di riferimento, per la scelta dei temi di interesse, per le campagne da lanciare (o sostenere) e per individuare il tone of voice più adeguato.

Costruire, anche attraverso l’analisi dei dati, un piano di comunicazione il più possibile accattivante per il pubblico di riferimento da solo, al giorno d’oggi, però non basta.

Inserire il racconto all’interno di una piattaforma

Le aziende, anche in fatto di comunicazione, devono focalizzare il loro impegno nella costruzione di piattaforme. Inserire il racconto, lo storytelling, all’interno di una piattaforma significa connettere le persone, non solo con la storia ma tra loro, e più le interazioni dei fan risultano intense più è il business a crescere.

L’obiettivo è essere, anche, media company puntando moltissimo sulla produzione di contenuti originali per arrivare più facilmente agli interlocutori e distribuirli attraverso tutti i canali attivi.

Le storie sono importanti anche – o forse tanto più – per i brand emergenti, che non dispongono di grandi budget da investire in comunicazione.

L’esempio di Warby Parker

Un esempio? Warby Parker, azienda che vende occhiali on line. «L’idea di base è quella della gita scolastica. Per circa un anno un team formato da quattro persone ha girato gli Stati Uniti con un autobus, incontrando fan e clienti potenziali e pubblicando qualsiasi cosa incontrassero e fosse coerente con l’estetica del brand: un piccolo negozio di abiti, un furgoncino di street food, una rilegatoria». Un’idea semplice (e poco costosa!) ma vincente perché «ha permesso di creare un legame con i consumatori, di costruire insieme a loro tante storie che confluivano nella storia del brand» ha spiegato Frank Rose, direttore del seminario in Strategic Storytelling alla Columbia University di New York e autore di «Il mare in cui nuotiamo», pubblicato in Italia da Codice Edizioni.

Qual è il primo passo per uno storytelling aziendale? La storia delle origini è un punto di partenza ovvio, quasi scontato, ma sempre efficace. Al pubblico piace leggere, ascoltare o guardare storie su altre persone, specialmente persone che hanno avviato quella che alla fine diventa un’azienda di successo.

Partire dal perché

C’è poi il “perché”. Le persone vogliono conoscere non solo la storia dell’azienda, ma anche – e soprattutto – perché sta compiendo determinate scelte.

Simon Sinek nel suo libro “Partire dal perché” spiega che ciò che differenzia davvero un’azienda e la rende diversa da chiunque altro offre lo stesso tipo di prodotto o servizio è il motivo per cui lo sta facendo. Su questo non c’è un esempio migliore della Apple. La personalità che Steve Jobs ha dato ai prodotti e l’approccio alla vita, il famoso “Think different”, hanno salvato l’azienda dalla bancarotta rendendola, ad oggi, il brand di maggior valore al mondo secondo la classifica Brand Finance Global 500.

Joe Pine e James Gilmore nel loro libro, The Experience Economy, scrivono – essenzialmente – che le economie occidentali avanzate sono passate da un’economia manifatturiera a un’economia di servizi e ora si stanno muovendo verso un’economia dell’esperienza.

E le esperienze hanno bisogno di essere raccontate ed attraverso esse mettere tutti sul palco.

Farsi contaminare dalle possibilità

E se non si hanno tutte le risorse in casa per sviluppare una content strategy efficace? In questo caso la parola d’ordine è contaminazione, è bene quindi farsi contaminare dalle possibilità che vengono dall’esterno (e dall’interno).

Costruire un corporate storytelling efficace, che parta dal raccontare l’azienda, dalla sua fondazione ad oggi, e soprattutto a spiegare il perché delle scelte. L’obiettivo deve essere però quello di espandere la comunicazione aziendale a tutti i livelli, interni ed esterni, mettendo in rete tutti i canali (old e new media) sfruttandone le diverse potenzialità e adattando il messaggio al pubblico di riferimento di ognuno di essi e, come detto, coinvolgere tutti i collaboratori, senza coinvolgimento lo storytelling non è efficace. Tutto questo è il passo – da fare – per ogni azienda nella direzione della media company.

E domani? L’intelligenza artificiale e i deep fake cambieranno le narrazioni, è ancora presto per dire se in meglio o in peggio, ma le cambieranno.

Intanto i brand destinati a sopravvivere e a prosperare saranno quelli in grado di trasmettere autenticità in tutte le sue declinazioni. Soprattutto, risulteranno vincenti quei brand in grado di trasmetterla a livello consapevole e inconsapevole, perché l’autenticità è caratterizzata da componenti consce e inconsce come ha spiegato Vincenzo Russo, Coordinatore del Centro di Ricerca di Neuromarketing «Behavior and Brain Lab» IULM.

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