Dopo oltre cinquanta proposte di legge andate a vuoto negli ultimi 40 anni, la Commissione affari costituzionali della Camera si appresta ora a discutere i testi in materia di regolamentazione del lobbying presentati dai deputati Francesco Silvestri (M5S), Marianna Madia (PD) e Silvia Fregolent (IV).
Stavolta, dunque, potrebbe essere la volta buona. Ma vediamo perché, in un’epoca di profonda sfiducia nei confronti dei partiti, è più che mai importante sfruttare tutti gli strumenti per massimizzare la trasparenza e democratizzare l’accesso alle decisioni pubbliche.
La sfiducia degli italiani verso i partiti
Partiamo, per dare un quadro dell’attuale contesto, a partire dai dati diffusi nel rapporto sulla situazione sociale del Paese 2019 dal Censis che certificano una perdurante sfiducia degli italiani verso i partiti, che per tutto il Novecento hanno rappresentato la principale forma di intermediazione tra società civile e istituzioni, contribuendo a indirizzare la partecipazione e la mobilitazione politica delle masse. Il 76% degli italiani sarebbe sfiduciato, percentuale che sale all’89% tra i disoccupati che considerano i partiti come la peste. Anche l’istituto Demos, che ogni anno pubblica la ricerca gli Italiani e lo Stato, certifica la frustrazione dei nostri connazionali verso partiti e sindacati, non più considerati utili strumenti di mediazione e rappresentanza dei loro interessi e valori, e una più generale sfiducia verso le istituzioni. Secondo Demos, solo 20 italiani su 100 dichiarano di partecipare a manifestazioni politiche di partito, dato che andrebbe accostato a quello sul costante calo del numero di votanti in Italia, considerando le elezioni come una delle principali forme di partecipazione politica “tradizionali”.
Ma la partecipazione politica ha un volto nuovo
E tuttavia, accanto a numeri così poco incoraggianti, sembra vedersi una luce che potrebbe corrispondere a un cambiamento forse epocale nella definizione di cosa sia la partecipazione politica. La recente ricerca Demos indica come il 37% degli italiani firmi petizioni (il 23% online), il 20% dichiari di aver partecipato a manifestazioni di piazza, come flashmob, sit-in o proteste dopo aver visto l’invito sui social o ricevuto via Whatsapp e il 30% prenda parte a discussioni politiche online. Sono dati che certificano come la voglia di partecipare degli italiani non sia venuta meno, ma stia solo assumendo un nuovo volto, reso possibile da un nuovo protagonismo degli individui facilitato dal digitale e dai social network che tendono sempre più a disintermediare il rapporto tra cittadini e istituzioni. Queste ultime hanno incominciato ad accorgersene venendo incontro ai nuovi “stili” di partecipazione degli italiani e agevolando il contatto diretto con gli utenti che, come abbiamo visto, sono tutt’altro che insensibili a far sentire la loro voce.
La piattaforma ParteciPa
A Dicembre dell’anno appena passato è stata lanciata, in forma ancora sperimentale, la piattaforma “ParteciPa”, promossa dal precedente governo e presentata dai ministri grillini del Conte 2 (Dadone, responsabile del dicastero della Pubblica amministrazione, D’Incà, ministro per le Riforme e i Rapporti con il Parlamento e Fraccaro, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio) a testimoniare che almeno sui nuovi strumenti di partecipazione – impropriamente associati alla democrazia diretta – il Movimento 5 Stelle non ha fatto passi indietro. La piattaforma ParteciPa ha obiettivi ambiziosi: in primis cerca di riordinare e racchiudere in un solo portale la galassia di iniziative di coinvolgimento dei cittadini e degli stakeholder lanciate negli anni dai diversi enti pubblici.
Da oggi qualsiasi ente voglia consultare i cittadini – ad esempio per definire i budget di bilancio, per il riutilizzo di spazi urbani o per qualsiasi altra decisione da prendere – potrà farlo sulla piattaforma ParteciPa. Sulla carta, le amministrazioni potranno contare su uno strumento utile ad agevolare il confronto digitale con i cittadini. ParteciPa è la gemella italiana, tradotta e implementata nell’ambito del terzo piano di azione nazionale sull’open government (OGP), della piattaforma open source Decidim di Barcellona.
I creatori di Decidim la definiscono una vera e propria “infrastruttura digitale per la democrazia partecipativa, costruita interamente e collaborativamente come software libero”.
Il portale consente agli enti pubblici (ma anche alle organizzazioni private) di coinvolgere, con dinamiche user friendly, i cittadini e gli stakeholder nelle diverse fasi del processo decisionale. Può essere utilizzata per collaborare all’elaborazione di nuove norme o per migliorare quelle esistenti e nella pianificazione strategica (Bilanci partecipati, Piani urbanistici). Fin qui siamo nella logica “top down” in cui sono le amministrazioni a proporre ai cittadini di esprimersi su una questione. Ma la piattaforma nella sezione iniziative consente di ribaltare questa logica in “bottom up” e trasformare i cittadini nei protagonisti della proposta politica. infatti, è possibile condividere con altri utenti le proprie idee e sottoporle direttamente alle amministrazioni pubbliche. Ed è proprio a questo aspetto, dal basso verso l’alto, che il nostro governo guarda con molto interesse.
La prima consultazione pubblica su ParteciPa riguarderà la piattaforma stessa e le sue specificità. Perché funzioni, il nuovo strumento ha bisogno di almeno due elementi: da una parte, un reale coinvolgimento dei cittadini, che lo considerino – così come hanno fatto a Barcellona, a Madrid e in altre città del mondo – un’occasione per poter esprimere la loro opinione su temi che li riguardano direttamente. Dall’altra parte, però, è necessario che le amministrazioni vengano incentivate a utilizzare la piattaforma evitando che si traduca soltanto in un’operazione cosmetica.
La formazione delle decisioni in Italia
Non possiamo non rilevare come la formazione delle decisioni in Italia soffra di una opacità sistemica. Dove troppo spesso la trasparenza viene intesa come un semplice audit anticorruzione, uno dei tanti oneri per chi lavora nelle istituzioni. La trasparenza è invece un diritto fondamentale, che va garantito a ogni livello decisionale. E i cittadini dovrebbero essere maggiormente coinvolti nelle decisioni che li riguardano e dovrebbero avere la possibilità di conoscere in maniera aperta come i decisori pubblici compiono le loro scelte, sulla base di quali dati e informazioni, coinvolgendo quali soggetti e tralasciando di ascoltare quali altri.
Una legge sul lobbying
The Good Lobby, l’organizzazione che unendosi a Riparte il futuro è appena sbarcata in Italia per difendere la democrazia e promuovere la partecipazione civica, si batte già da alcuni anni in Europa per democratizzare l’accesso alle decisioni pubbliche, proprio perché i cittadini pur sentendosi sempre meno rappresentati dagli attori tradizionali della mediazione, vogliono poter affermare il loro punto di vista e far sentire la loro voce.
La nostra prima ricetta per innescare un meccanismo virtuoso che renda più facile partecipare secondo modalità nuove, è quella di rendere più aperti e trasparenti i processi decisionali, affinché le istituzioni siano responsabili di fronte ai loro “azionisti” di riferimento.
Chiedere, come fa la nostra campagna, una legge sul lobbying significa non solo avere la possibilità di monitorare l’operato dei politici, ma anche avere decisioni pubbliche più inclusive, in grado di mettere tutti i soggetti che vantano competenze e interessi su una specifica materia nelle stesse condizioni di poter influire sul processo decisionale, portando dati, punti di vista, pareri informati e studi che alimentino un dibattito pubblico quanto più plurale. L’obiettivo è quello di aprire le stanze del potere, garantire tanto alle grandi aziende quanto ai piccoli gruppi di cittadini le stesse possibilità di essere ascoltati. Una buona legge sul lobbying dovrebbe prevedere un registro pubblico obbligatorio per i lobbisti al quale dovrebbe iscriversi chiunque volesse esercitare questa attività (attenendosi peraltro a un codice etico di condotta). Ci vorrebbero poi agende pubbliche degli incontri tra politici, funzionari pubblici e lobbisti, in cui entrambe le parti siano tenute a comunicare la data dell’incontro, i temi in discussione e la documentazione eventualmente depositata. Non dovrebbero poi mancare sanzioni serie per punire i comportamenti illeciti sia dei lobbisti, sia dei decisori pubblici. E infine, andrebbero garantite consultazioni pubbliche per permettere agli iscritti al registro di essere ascoltati sui propri temi di riferimento e far pervenire agli organi decisionali tutti i contributi ritenuti utili al dibattito.
Stavolta, quindi, potrebbe essere la volta buona.
Accanto alla legge, però, vogliamo stimolare i cittadini a diventare in prima persona dei “lobbisti”, incanalando la loro voglia di partecipazione e dando loro degli strumenti e delle competenze affinché vengano coinvolti ad armi pari nei processi decisionali.
L’esempio di Greta Thunberg
Nel 2018 The Good Lobby ha premiato l’ancora sconosciuta Greta Thunberg come “cittadina lobbista” dell’anno, per aver adottato modalità totalmente nuove di sensibilizzazione e pressione sul tema del cambiamento climatico. Quanto ha beneficiato il dibattito pubblico mondiale dalla presenza di una ragazzina 16enne che è stata in grado, con la sua ingenua determinazione, a stravolgere l’agenda politica dei leader del pianeta?
Quanto beneficerebbe il dibattito pubblico, a livello locale, nazionale o internazionale, se fossero molte di più le Greta Thunberg in grado di portare avanti le voci degli esclusi (le nuove generazioni), o dei soggetti marginalizzati, o semplicemente l’opinione di quelle masse che sempre più spesso esprimono la loro insoddisfazione verso le scelte della politica andando a ingrossare l’esercito di quanti smettono di votare?
Che siano nuove piattaforme digitali attraverso le quali co-creare le decisioni pubbliche, leggi che garantiscano un più equo accesso alle scelte dei politici o strumenti che formino i cittadini rafforzandone le competenze e la capacità di influenzare i rappresentanti nelle istituzioni, la partecipazione oggi va ripensata alla luce delle incredibili potenzialità del digitale, della forza corrosiva della disintermediazione e del desiderio di tante persone di non sentirsi più escluse e messe ai margini.