L’OCSE procede “a tappe forzate” al fine di ultimare le consultazioni pubbliche sulla digital tax ed arrivare così alla definizione della stessa quanto più velocemente possibile. In tale prospettiva, sembrano essere state importanti, se non decisive, le dichiarazioni programmatiche di Ursula Von der Leyen, la quale ha indicato il 2020 quale termine per trovare una soluzione condivisa a livello internazionale.
La fretta dell’OCSE (e anche dell’Unione Europea) sembra invero giustificata, sia in considerazione del fatto che i diversi Stati (europei e non, Italia compresa) stanno ormai procedendo – autonomamente e “in ordine sparso” – con l’implementazione di web tax a carattere nazionale, sia alla luce degli ultimi dati relativi al carico fiscale complessivo di alcuni “giganti” del web, di cui sopra si è riportato uno dei più recenti esempi.
Non è detto, tuttavia, che l’accelerazione porterà a centrare il risultato. Sono infatti diversi e complessi i temi sul tavolo.
Illustriamo quindi di seguito le diverse consultazioni e discussioni aperte in sede OCSE in relazione al progetto di digital tax, nonché alcuni dati relativi alla tassazione del colosso dell’e-commerce Amazon nell’esercizio 2018, dati che hanno riacceso il dibattito sulla tassazione dei “giganti” della digital economy e mostrato ulteriormente la necessità di procedere in tempi rapidi al raggiungimento di una soluzione condivisa a livello internazionale.
Il Pillar Two e la proposta di un livello minimo di tassazione globale
L’8 novembre scorso, l’OCSE ha aperto la procedura di consultazione pubblica sul cosiddetto Pillar Two, invero con un termine finale molto stringente, previsto per il 2 dicembre.
In sintesi, il Pillar Two, o Global Anti-Base Erosion (GloBE) Proposal, si focalizza sullo sviluppo di una serie di regole per assicurare un livello minimo di tassazione globale in capo alle imprese multinazionali, attraverso un set di norme tra loro coordinate in grado di contrastare l’erosione delle basi imponibili e il trasferimento degli utili verso Stati a bassa (o nulla) fiscalità.
La proposta GloBE prevede infatti quattro componenti fondamentali, di cui due consistenti in specifiche norme di diritto interno e due riguardanti la modifica dei trattati in essere contro le doppie imposizioni:
- la income inclusion rule, disposizione interna per mezzo della quale si consentirebbe agli Stati di assoggettare ad imposizione i redditi di stabili organizzazioni o di società estere controllate se il relativo reddito non è soggetto ad una tassazione minima effettiva nello Stato in cui tali redditi vengono conseguiti;
- la undertaxed payment rule, disposizione interna che precluderebbe la deduzione, o attribuirebbe la potestà impositiva allo Stato della fonte (generalmente per mezzo di ritenute), in relazione a pagamenti nei confronti di parti correlate se detti pagamenti non fossero soggetti nello Stato di residenza del percettore ad un livello minimo di tassazione effettiva;
- la switch-over rule, disposizione da inserire nelle convenzioni contro le doppie imposizioni che consentirebbe ad uno Stato di passare dall’esenzione al metodo del credito d’imposta nel caso in cui i redditi derivanti da stabile organizzazione o da asset immobiliari non siano soggetti ad un livello minimo di tassazione nello Stato della fonte;
- la subject to tax rule, disposizione convenzionale che consentirebbe o precluderebbe l’applicazione delle disposizioni più favorevoli previste dai trattati contro la doppia imposizione a seconda che un componente di reddito sia o meno soggetto ad imposta ad un livello minimo.
In realtà, contrariamente alla consultazione sul Pillar One, la proposta dell’OCSE sul Pillar Two e la relativa procedura di consultazione non formulano una vera e propria soluzione strutturata in relazione alle regole di cui sopra, ma si concentrano più che altro su un aspetto più specifico della proposta, ovverosia sull’opportunità di utilizzare i dati di bilancio (rectius, i principi contabili) ai fini fiscali e su altre specifiche modalità di implementazione.
Più in dettaglio, gli aspetti in relazione ai quali l’OCSE richiede specifici commenti sono sostanzialmente tre:
- l’utilizzo dei dati di bilancio e della contabilità aziendale come punto di partenza per determinare la base imponibile globale delle imprese multinazionali;
- il perimetro entro il quale una impresa multinazionale possa cumulare i redditi e le imposte provenienti da diverse fonti nel determinare l’effettivo tax rate aggregato (blended, nel documento originale); e
- eventuali esclusioni e soglie quantitative che possano eventualmente essere considerate ai fini dell’implementazione di tale disciplina.
Le criticità, invero, non mancano, sia in relazione all’utilizzo dei dati di bilancio, sia in relazione ad altre e più generali questioni.
In relazione al possibile utilizzo dei dati di bilancio ai fini fiscali, infatti, occorre ricordare che, come rilevato anche da alcuni commentatori, se si adottasse tale approccio si delegherebbe all’organismo che emana i principi contabili (si pensi ad esempio a standard setter quali lo IASB per gli IFRS, o il FASB per gli US GAAP) la possibilità di cambiare tali principi con efficacia anche ai fini fiscali, oltre al fatto che la determinazione della base imponibile non è lo scopo a cui tendono i principi contabili[1].
Nondimeno, la consultazione OCSE sul Pillar Two lascia aperti molti altri temi di carattere generale, e di soluzione tutt’altro che agevole: basti pensare, ad esempio, al trattamento delle perdite ai fini della income inclusion rule, nonché al coordinamento delle previsioni GloBE con altre specifiche norme anti-abuso come ad esempio le norme in materia di società estere controllate (cosiddette CFC rules), norme che dovranno necessariamente essere modificate al fine di non comportare una doppia imposizione[2].
Ultimi sviluppi sul Pillar One
Oltre alla proposta di consultazione sul Pillar Two, come sopra accennato, anche la discussione sui risultati della ormai conclusa consultazione scritta sul Pillar One sta contemporaneamente procedendo.
In particolare, il 21 novembre si è tenuto il Public Consultation Meeting sullo Unified Approach proposto dall’OCSE. Secondo quanto riportato dalla Confédération Fiscale Europeénne (CFE Tax Advisers Europe), in tale sede è emersa la necessità di introdurre principi chiari che giustifichino la deroga rispetto all’arms’s lenght principle.
Più in generale, sembra necessaria una maggiore chiarezza in relazione alla definizione di “residual income”, sull’ambito di applicazione delle nuove disposizioni, sulle garanzie per meccanismi solidi ed efficaci di prevenzione e risoluzione delle controversie.
Alcuni recenti dati sulla tassazione delle multinazionali del web
L’esigenza di trovare un accordo in relazione ad una proposta comune, al fine di assoggettare ad un livello minimo di tassazione effettiva le imprese multinazionali della digital economy, emerge anche dagli ultimi dati che arrivano dagli Stati Uniti.
Infatti, secondo l’Institute for Taxation and Economic Policy (ITEP)[3], per effetto del Tax Cuts and Jobs act (TCJA) Amazon non avrebbe versato negli Stati Uniti alcuna imposta sugli utili prodotti nel 2018, utili pari a 11,2 miliardi di dollari. Anche nel precedente periodo d’imposta (2017), anno in cui ha dichiarato 5,6 miliardi di dollari, il colosso dell’e-commerce non avrebbe invero versato alcuna imposta negli Stati Uniti (si veda la tabella sotto riportata).
Amazon.com | Utile ante imposte (miliardi di dollari) | Imposta federale (miliardi di dollari) | Tassazione effettiva |
2018 | 10,8 | -0,13 | -1,2% |
2017 | 5,4 | -0,14 | -2,5% |
2016 | 4,5 | 0,45 | 10,0% |
2015 | 2,0 | 0,12 | 5,9% |
2014 | 0,2 | 0,21 | 91,7% |
2013 | 0,7 | 0,03 | 5,1% |
2012 | 0,9 | 0,13 | 15,1% |
2011 | 0,6 | 0,03 | 4,7% |
2010 | 0,9 | 0,05 | 5,9% |
2009 | 0,5 | 0,04 | 8,1% |
5 anni (dal 2014 al 2018) | 23,0 | 1,00 | 2,2% |
10 anni (dal 2009 al 2018) | 27,0 | 1,00 | 3,0% |
Tassazione effettiva di Amazon nei periodi d’imposta 2009-2018 (Fonte: ITEP, Amazon in Its Prime: Doubles Profits, Pays $0 in Federal Income Taxes, reperibile su www.itep.org)
Osservazioni (non) conclusive
Nonostante la scadenza del 2020 per implementare la digital tax continui a sembrare molto sfidante, il commitment dell’OCSE al riguardo sembra essere davvero notevole.
Infatti, ad oggi l’OCSE sembra porre in essere ogni possibile sforzo per accelerare il processo di consultazione pubblica, tant’è vero che la procedura di consultazione sul Pillar Two è stata aperta l’8 novembre scorso, senza nemmeno attendere la conclusione (il 12 novembre) di quella relativa al Pillar One.
Ciò nonostante, la strada per giungere ad una soluzione completa e condivisa a livello internazionale sembra ancora lunga, per cui è difficile, allo stato attuale, prevedere se e quando gli sforzi dell’OCSE troveranno riconoscimento: i temi ancora “sul tavolo”, infatti, sono molti, ed è probabile che si renderanno necessarie ulteriori consultazioni pubbliche in relazione alle questioni ancora aperte.
La replica di Amazon
“Amazon paga tutte le tasse dovute in Italia e in tutti i Paesi in cui operiamo. L’imposta sulle società si basa sui profitti, non sui ricavi, e i nostri profitti sono rimasti bassi sia perché il business delle vendite al dettaglio ha dei margini ridotti sia per i continui, forti investimenti di Amazon, che solo in Italia, dal 2010, ammontano a oltre 1,6 miliardi di euro. Inoltre, Amazon continua a creare di posti di lavoro: in Italia aggiungeremo ulteriori 1.000 dipendenti a tempo indeterminato ai 6.500 entro la fine del 2019 – dipendenti che lavorano in 20 sedi diverse con tutti i livelli di esperienza, istruzione e competenze, come, ad esempio, ingegneri, software developer, esperti di logistica o di marketing.”
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- Cfr. M. Lane, GloBe: learning the lessons of the past, in Lexology, (www.lexology.com), 12 novembre 2019 ↑
- Cfr. L. Parada, The GloBE puzzle: a debate way beyond use of financial accounts, in MNE Tax – Multinational Group Tax & Transfer Pricing News (www.mnetax.com), 18 novembre 2019 ↑
- Tale istituto è un ente non-profit indipendente che sin dagli anni Ottanta rappresenta un punto di riferimento nell’analisi delle politiche fiscali USA (www.itep.org) ↑