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L’uso dei social in campagna elettorale: come informare in modo corretto



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Come conciliare la tutela di un’informazione corretta, pulita e autentica, contro il rischio di lesioni alla sicurezza e alla privacy dei cittadini, come nei periodi di campagna elettorale in cui sembra ci si esponga di più al rischio di discutibili manovre di comunicazione?

Pubblicato il 10 ott 2023

Federica Giaquinta

Consigliere direttivo di Internet Society Italia



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Le dinamiche della comunicazione politica, da sempre complesse per il rilevante impatto che generano sul processo di proselitismo degli elettori in grado di orientare l’opinione pubblica nell’esercizio del diritto di voto, diventano sempre più complesse con l’avvento di Internet e dei social media.

Per tale ragione diventa interessante analizzare il quadro regolatorio vigente, focalizzandone le implicazioni legate all’utilizzo dei social in campagna elettorale che in occasione delle ultime elezioni amministrative svolte per il rinnovo degli organi politici a livello comunale, conferma la centralità del tema, da cui si evince, tra l’altro, l’esigenza di rispettare la par condicio comunicativa durante il periodo della competizione elettorale.

I tratti peculiari della questione, dal punto di vista di un inquadramento teorico del problema, riflettono l’esistenza di un fenomeno di per sé non nuovo, ma risalente a dinamiche configurabili a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, quando, anche in seguito al declino dei grandi partiti di massa, le campagne elettorali hanno assunto i tratti della cd. “personalizzazione leaderistica” concentrata sul candidato “in pectore”, designato come appunto riferimento della coalizione che rappresenta. Per effetto del “social campaigning” trainato da Obama nel 2008, iniziano ad affiorare le enormi potenzialità di mobilitazione di Internet, ove la micropersonalizzazione delle campagne elettorali trova un mezzo potentissimo di propagazione negli smartphone che consentono di raggiungere gli elettori in ogni momento della giornata.

Come si alimenta il consenso sui social

Tuttavia, per avere successo, la comunicazione del leader, oltre che veloce, deve essere martellante nella misura in cui i candidati sanno bene che, se da un lato, hanno a disposizione potenti mezzi per entrare in una relazione, anche emotiva, con il cittadino, dall’altro, sono poi costretti a rinforzare continuamente questo legame che correrebbe, altrimenti, il rischio di affievolirsi.
Infatti, oltre a produrre un flusso comunicativo più ampio e ramificato dei media tradizionali, i social assicurano anche un’efficace funzione di engagement dei cittadini, soprattutto quando incorporano video e immagini: quindi il leader oggi, più che convincere, deve piacere, capovolgendo quel paradigma della teoria economica della democrazia secondo cui il consenso deriva, come sul mercato, dalla capacità di soddisfare l’utilità marginale del cittadino/consumatore (Cfr, M. Calise, F. Musella, Il principe digitale, Roma, Editori Laterza, 2021).

Oggi, infatti, il consenso si alimenta con la capacità di intrattenimento nel rapporto micropersonale tra politici e cittadini e, invece, di elaborare credibili programmi di contenuti, ai cittadini vengono presentati messaggio a presa rapida, concentrati esclusivamente sulla potenzialità emotiva che spesso si allontana, quasi inevitabilmente, da qualsivoglia esigenza di approfondimento.

La necessità, quindi, che alla comunicazione si accompagni la velocità del messaggio contenuto tende a creare spazi vuoti in termini di regole normative ed etica comportamentale.

Comunicazione durante le campagne elettorali: due casi emblematici

In tale prospettiva, è possibile menzionare alcuni casi di indubbio interesse, oggetto di meritata attenzione negli scorsi mesi quando Agcom ha ritenuto opportuno approfondire – e poi archiviare anche a seguito di successiva conformazione correttivaalcune vicende collegate all’uso della comunicazione durante le campagne elettorali svolte in alcuni comuni per presunta violazione della legge 28/2000, recante norme “per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica”.

Il caso del Comune di Trapani

Nel caso di specie, era stato ordinato da Agcom, con delibera n. 130/23/CONS al Comune di Trapani, la rimozione di svariati post pubblicati all’interno del profilo istituzionale Facebook dell’Ente e di quelli pubblicati sul profilo Facebook del sindaco in carica, ritenendo che confermassero una chiara ed esplicita correlazione tra il proprio canale personale e quello del Comune.
Secondo le segnalazioni trasmesse dal Comitato regionale per le comunicazioni della Sicilia, sembrava, infatti, non fosse possibile distinguere la comunicazione ufficiale del Comune e del sindaco, ledendo così chiaramente i principi di imparzialità, buon andamento e in generale il principio di buona fede.

Emblematico, in tal senso, “l’art. 1, comma 4, della legge n. 150/2000 nella parte in cui considera come comunicazione istituzionale “la comunicazione esterna rivolta ai cittadini, alle collettività e ad altri enti attraverso ogni modalità tecnica ed organizzativa”, finalizzata, tra l’altro, a “promuovere conoscenze allargate e approfondite su temi di rilevante interesse pubblico e sociale”, da cui discende la necessità di rispettare e mai oltrepassare i confini tra la comunicazione istituzionale e quella prettamente politicadettata, invece, dall’esigenza di orientare gli elettori verso il voto.
Successivamente, con Delibera N. 173/23/CONS, ritenuto di non condividere la proposta di sanzione del Comitato regionale per le comunicazioni della Sicilia per le motivazioni addotte, viene deliberata l’archiviazione del procedimento.

Il caso del Comune di Siracusa

Di analogo tenore risulta un’ulteriore questione approfondita dall’AGCOM – poi risolta al termine delle verifiche istruttorie – nei confronti del Comune di Siracusa.

In particolare, con delibera n. 151/23/CONS, a seguito della nota dell’8 giugno 2023 con la quale il Comitato regionale per le comunicazioni della Sicilia ha trasmesso la delibera n. 31/2023 recante le conclusioni istruttorie del procedimento avviato nei confronti del Comune di Siracusa per la presunta violazione dell’art. 9 della legge 22 febbraio 2000, n. 28 era stato altrettanto ordinato all’Amministrazione aretusea di rimuovere vari post dalla pagina Facebook del sindaco in carica e di conformarsi ad una comunicazione esclusivamente istituzionale, anche in virtù del principio espresso dalla Corte Costituzionale, con sentenza n. 502 del 2000, in cui è stato esplicitamente fatto divieto alle amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione durante la campagna elettorale per “evitare il rischio che le stesse possano fornire, attraverso modalità e contenuti informativi non neutrali sulla portata dei quesiti, una rappresentazione suggestiva, a fini elettorali, dell’amministrazione e dei suoi organi titolari”.

In altri termini, potrebbe venire in rilievo l’asserita condotta di aver presuntivamente approfittato della propria posizione istituzionale di sindaco uscente e dell’enorme bacino di follower a sostegno di una comunicazione a unico senso, senza spazi di contraddittorio con i propri competitor elettorali.

Provvedimento poi archiviato, con Delibera N. 210/23/CONS, al termine delle verifiche istruttorie, grazie ai successivi adeguamenti.

La linea di confine tra comunicazione istituzionale e politica

È chiaro che le due singolari vicende mettono in luce alcuni aspetti molto rilevanti: innanzitutto è fuori discussione la particolare zona d’ombra che oscura la linea di confine tra comunicazione istituzionale e comunicazione politica da propaganda elettorale: come distinguere e rispettare, quindi, la par condicio, in campagna elettorale, se, ad esempio, la comunicazione di un sindaco uscente vanta ex sé un’amplificazione dettata dal ruolo che, spesso, si ripercuote anche sul numero di follower all’interno dei social media e che crea, naturalmente, un differente peso comunicativo?

Non sarebbe giunto il momento, per il Legislatore, di esprimere una visione e una reale presa di posizione – in modo meno frammentato e decisamente più incisivo – finalizzata a disciplinare definitivamente la comunicazione politica sulle piattaforme sociali alla luce delle attuali implicazioni riscontrabili nella concreta prassi?

A maggior ragione, se si considera, che la penetrazione dei social media nei consumi mediali dei cittadini e la loro rapida adozione anche in ambito pubblico non esprime necessariamente solo proiezioni positive. Non a caso, già negli ultimi anni, sono state messe in luce alcune discutibili pratiche: dal fenomeno della polarizzazione dell’opinione pubblica negli spazi virtuali in grado di favorire la diffusione di informazioni fuorvianti su temi di interesse generale, o l’uso retorico delle stesse piattaforme finalizzate esclusivamente ad aumentare la visibilità online di amministratori, politici e personalità influenti, fino a problematiche ancora più rilevanti, come l’uso dei dati da parte di piattaforme private che si strutturano su modelli di business incentrati sulla vendita pubblicitaria e connessa ai processi di targeting e datificazione delle informazioni legati all’interazione tra PA e cittadini (il caso Cambridge Analytica, ad esempio, ha portato alla ribalta proprio la gestione opaca dei dati degli utenti usati per scopi di propaganda politica).


Come conciliare, quindi, la tutela di un’informazione corretta, pulita e autentica, contro il rischio di lesioni alla sicurezza e alla privacy dei cittadini, come nei periodi di campagna elettorale in cui sembra ci si esponga di più al rischio di tali discutibili manovre? Anche perché, come è noto, la comunicazione “social” del settore pubblico è fortemente influenzata dagli algoritmi, ovvero “procedure codificate dalle aziende tecnologiche che tendono a trasformare alcun input lasciati dagli utenti nelle piattaforme in output desiderati” (Cfr. A. Lovari, D. Ducci, Comunicazione Pubblica, Istituzioni, pratiche, piattaforme, Mondadori Università), e data la natura proprietaria degli algoritmi, le PA non sono a conoscenza delle istruzioni tecniche con cui questi ultimi sono codificati, poiché sono istruiti da attori privati che mirano a massimizzare il proprio business.

Conclusioni

Sul piano pratico, ciò significa semplicemente che senza specifici investimenti pubblicitari, alcuni utenti potrebbero visualizzare i contenuti degli account istituzionali, altri potrebbero farlo in parte e altri potrebbero addirittura ignorarne i contenuti e questo perché, gli algoritmi, non svolgono solamente una funzione di filtraggio, ma anche di personalizzazione dell’informazione, con la conseguente alterazione, tra l’altro, dei regolari processi elettorali da cui dipende il corretto funzionamento delle istituzioni democratiche rappresentative.

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