PIANO NAZIONALE SCUOLA DIGITALE

Ma l’animatore digitale a Scuola è un parto confuso: ecco cosa manca

La nuova figura ha troppi punti poco definiti, a partire dalle risorse temporali a sua disposizione. La via maestra sarebbe invece costruire nelle scuole un middle management, con una strategia di cambiamento organizzativo ben definita. Per una programmazione di lungo respiro

Pubblicato il 10 Dic 2015

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Negli ultimi mesi, a cominciare dai 500 euro annui della carta del docente, passando per il Piano Nazionale Scuola Digitale con tutti i suoi nodi da sciogliere, gli interventi finanziati con il nuovo PON 2014-2020, fino ad arrivare alla figura dell’animatore digitale, il Governo ha varato una serie di provvedimenti e iniziative che potenzialmente potrebbero dare un notevole impulso all’innovazione nelle scuole italiane, non solo tecnologica ma anche e soprattutto didattica.

Potrebbero. Uso il condizionale perché finora, frequentando i nutriti gruppi Facebook dei quali faccio parte di insegnanti 2.0, docenti virtuali, e animatori digitali -senza escludere i Digital Champions- ho maturato la convinzione che c’è ancora una eccessiva entropia, che rischia di creare non poca confusione e vanificare interventi che hanno invece la assoluta necessità di essere resi sinergici tra loro.

Il problema è che attualmente non sembra chiaro chi debba occuparsi di rivestire il delicatissimo ruolo strategico di coordinamento di tutte queste azioni nelle singole scuole. I Dirigenti scolastici da un lato spesso non possiedono le competenze tecniche per poterlo esercitare in maniera efficace, dall’altro non hanno il tempo materiale, dovendosi occupare di gestire un sistema complesso come le scuole.

Entro il 10 dicembre prossimo i DS devono individuare tra i docenti di ruolo nella propria scuola gli “animatori digitali”, figura prevista nel PNSD che recentemente sta suscitando tra i docenti molta euforia ma anche parecchie perplessità.

Secondo il Decreto Direttoriale del MIUR gli animatori digitali (da qui in avanti: AD) una volta individuati resteranno in carica tre anni, e dovranno occuparsi di attuare complesse azioni strategiche nelle proprie scuole:

  • formazione interna: stimolare la formazione interna alla scuola negli ambiti del PNSD, attraverso l’organizzazione di laboratori formativi (senza essere necessariamente un formatore), favorendo l’animazione e la partecipazione di tutta la comunità scolastica alle attività formative, come ad esempio quelle organizzate attraverso gli snodi formativi.
  • coinvolgimento della comunità scolastica: favorire la partecipazione e stimolare il protagonismo degli studenti nell’organizzazione di workshop e altre attività, anche strutturate, sui temi del PNSD, anche attraverso momenti formativi aperti alle famiglie e ad altri attori del territorio, per la realizzazione di una cultura digitale condivisa.
  • creazione di soluzioni innovative: individuare soluzioni metodologiche e tecnologiche sostenibili da diffondere all’interno degli ambienti della scuola (es. uso di particolari strumenti per la didattica di cui la scuola si è dotata; la pratica di una metodologia comune; informazione su innovazioni esistenti in altre scuole; un laboratorio di coding per tutti gli studenti), coerenti con l’analisi dei fabbisogni della scuola stessa, anche in sinergia con attività di assistenza tecnica condotta da altre figure.

Non solo, all’atto della candidatura ogni aspirante AD dovrà presentare una proposta progettuale che interessi aree vaste e complesse, dalla progettazione di strumenti, allo sviluppo di competenze e contenuti, fino alla formazione e accompagnamento. Se volete averne un dettaglio date un’occhiata alla Tabella 2 del Decreto. Una passeggiata insomma.

Poiché gli 8.500 animatori che verranno individuati non saranno certo tutti esperti di ICT -anzi qualcuno auspica che non debbano esserlo affatto- il MIUR ha stanziato una cifra indicativa di 1.000 euro pro capite per la loro formazione, ripartendo i complessivi 850.000 euro tra le Regioni secondo la Tabella 1 del Decreto stesso. Gli uffici scolastici regionali indiranno entro fine dicembre un bando rivolto alle stesse scuole per presentare progetti formativi per gli animatori digitali, finanziati con queste risorse.

Non trascurabile inoltre il grande problema costituito dalla discrezionalità che molti Dirigenti stanno usando per nominare gli AD, talvolta letteralmente affibbiando l’incarico a docenti “funzioni strumentali” demotivate e inefficienti, quando non addirittura ostili alla L. 107/2015, allo stesso PNSD e alle ICT nella didattica.

Nonostante la spiegazione di Lanfrey e Solda -i componenti della segreteria tecnica del MIUR che hanno coordinato la stesura del PNSD e ideato la figura dell’AD- le perplessità che stanno arrovellando tutti noi riguardano non solo le risorse economiche a diretta disposizione degli AD, ma soprattutto quelle temporali. L’animatore digitale infatti da un lato non sembra essere una “funzione strumentale”, dunque non percepirà compensi accessori, dall’altro l’enorme mole di lavoro che lo aspetta non sembra affatto compatibile con il suo ruolo di docente, chi ci andrà in classe al posto suo?

Insomma, come troppo spesso accade a scuola, si cerca di fare le nozze coi fichi secchi. E con l’impegno dei docenti di buona volontà.

Ken Whytock – CC-BY-NC https://flic.kr/p/p5TQsh

Per i motivi che ho esposto finora, appare chiaro dunque come la figura dell’animatore digitale così come immaginata dal MIUR rischi di essere inefficace, sebbene abbia buone potenzialità come messo bene in evidenza da Paolo Ferri. Il problema vero è per gestire azioni complesse come l’innovazione tecnologica e didattica in luoghi altrettanto complessi come le scuole, non basta un docente dotato di buona volontà, né un DS per quanto illuminato.

Cosa manca allora? Il middle management, ovvero figure con responsabilità intermedie che collaborano strettamente con il DS, come avviene in ogni organizzazione complessa. Attenzione, qui non si tratta banalmente di soddisfare le aspettative di carriera dei docenti, ma di mettere in grado le scuole di affrontare incombenze organizzative e gestionali che sono diventate ormai da un lato necessarie per il loro buon funzionamento, dall’altro troppo complesse perché se ne possano occupare unicamente DS e DSGA. Se avete voglia di approfondire perché il middle management sia da tempo ormai una evoluzione necessaria, consiglio questo interessante articolo di Alessandro Cravera, old but gold.

E l’occasione la fornisce proprio la riforma de “la buona scuola”, che consente ai Dirigenti scolastici di costituire un proprio staff individuandolo fino a un massimo del 10% tra il personale docente in organico nel proprio istituto. Quando ancora la riforma era in discussione, a marzo scorso scrissi un pezzo con il quale provavo a mettere in evidenza le opportunità che la pur controversa riforma offriva per favorire l’innovazione tecnologica e didattica nelle scuole. Perché la scuola 2.0 non esiste se non si cambia organizzazione e paradigma didattico.

Nelle scuole italiane c’è inoltre assoluto bisogno di trasparenza, accountability e ovviamente open data. A tale proposito, non so se avete dato un’occhiata al nuovo sito de La scuola in chiaro del MIUR, molto ben fatto sia dal punto di vista della navigabilità delle informazioni sia per le potenzialità dei dati (aperti) rivenienti dai primi Rapporti di Auto Valutazione che le scuole hanno realizzato l’anno scorso.

Entropia molto alta, dicevo, che rischia di lasciare le singole scuole in balia di sé stesse. Le più “fortunate” avranno in organico docenti già esperti di ICT e soprattutto in grado di rinnovare la didattica in maniera efficace, mentre la stragrande maggioranza degli istituti individuerà come animatori digitali docenti che dovranno essere formati quasi da zero. Il problema comune a entrambi rimane comunque lo stesso, continuare a fare anche ciò per cui sono pagati: insegnare in classe.

Come ha già evidenziato Nello Iacono, il PNSD è certamente ambizioso e si pone obiettivi importanti da raggiungere, ma non sembra esserci una strategia d’azione operativa di attuazione. Una cosa è certa, un animatore digitale in ogni scuola- che peraltro condivide una impostazione analoga a quella dei Digital Champions- non può caricarsi sulle spalle la progettazione e realizzazione di azioni complesse, come evidenziato più sopra.

Ci vuole più coraggio e lungimiranza, andando oltre il volontariato degli animatori digitali e investendo in maniera strategica su figure specifiche di middle management di staff al DS, che devono essere messe in grado di lavorare serenamente, in maniera efficace e non nel proprio tempo libero.

Forse pochi sono a conoscenza dell’Osservatorio Tecnologico per la Scuola, gestito dall’USR della Liguria ma il cui sito web è inattivo addirittura dal 2009. Il PNSD con l’azione #33 ha la positiva intenzione di rilanciarne il ruolo, che però non può e non deve più essere immaginato come mera struttura tecnica, deputata alla raccolta di dati censuari sulle dotazioni tecnologiche delle scuole, e nemmeno solo come “scoreboard” a servizio del Sistema Nazionale di Valutazione.

Perché allora non rendere l’OT un organismo più versatile, più aperto non solo alle scuole ma anche ai numerosi stakeholder attivi e accreditati nel settore dell’educazione e della scuola? Sarebbe l’occasione per avviare un processo di valorizzazione delle esperienze positive attuate sul territorio, nelle scuole, e al contempo raccogliere nuove proposte progettuali e strategiche.

In conclusione, una strategia d’azione efficace per rinnovare didatticamente e tecnologicamente le scuole italiane -uso volutamente il plurale- non può essere attuata semplicemente nominando ben 8.500 animatori digitali “sul campo” e riservando pochi spiccioli per la loro formazione, ma investendo su figure di middle management che abbiano la serenità di prendere in carico le complesse attività previste dal PNSD in una programmazione di lungo respiro.

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