Il guasto record, di sei ore, subito da Facebook e i suoi servizi (Instagram, Whatsapp) rivela, anche dalla natura delle sue cause, la fragilità intrinseca dei social e in generale di servizi che molti ormai identificano con internet stessa.
La fragilità tecnica è spia della precarietà di questo rapporto, tra noi (e la società) e loro. Ancora più a fondo, rivela quanto è fragile la società che poggia tanto delle sue dinamiche sui servizi delle big tech.
Manco a farlo apposta, proprio oggi il Senato continua a mettere sulla griglia Facebook, accusato – da whistleblower e da inchieste giornalistiche – di avere danneggiato consapevolmente utenti e la società allo scopo di aumentare i profitti.
La natura tecnica dei disservizi Facebook/Whatsapp
Il down di Facebook è attribuito a sistemi alla base del funzionamento di internet e che interconnettono le varie risorse. Il down ha quindi causato disservizi anche ad altri servizi, ancora rivelando la natura interconnessa della rete.
In particolare la causa del down sembra essere il BGP, o Border Gateway Protocol. Uno dei sistemi che internet usa per portare il traffico dove deve andare il più velocemente possibile. Il lavoro di BGP è quello di mostrare la strada ai dati e assicurarsi che sia il percorso migliore, fino al servizio.
Facebook aveva perso le istruzioni BGP che permettevano di raggiungere i loro server. Come se tutto il mondo Facebook fosse stato tolto dalla mappa di internet.
La fragilità dei social
Si evoca insomma, tecnicamente e praticamente, come sarebbe una internet primitiva, senza Facebook. Migliore o peggiore? Ma la domanda è mal posta. È anche colpa della società se ha permesso a Facebook e alle altre big tech di prendere un posto così importante da farci sentire la loro mancanza. Internet non doveva essere la terra del pluralismo di servizi, comunicazioni e opportunità?
Il down di Facebook ha creato problemi anche all’accesso ad app e servizi poggiati sul login universale Facebook (anche Google ha uno simile), denudando così anche la rete di rapporti di potere all’interno della rete e diramata tra molti servizi di terze parti. Una rete che fa capo a poche società.
A un livello più profondo, la fragilità dei social – rivelata tecnicamente e simbolicamente – è anche la nostra, di utenti e della nostra società, che tante dinamiche di potere ha affidato alle big tech. Le inchieste del Wall Street Journal (vedi sotto) ci confermano che la fragilità dei social è connessa alla nostra.
Facebook ostaggio del proprio business model: ecco perché non risolve i problemi
Le big tech hanno ormai un ruolo pubblico – come le farmacie e i giornali – ma rispondono solo a esigenze di profitto, senza curarsi – nei fatti, mentre a parole sono bravissimi – delle esternalità negative. Un senatore americano in questi giorni li ha paragonati all’industria del tabacco.
Oppure si potrebbe dire: come l’industria petrolifera prima della sensibilità climatica.
Le big tech sanno che possono fare molto per ridurre le proprie esternalità, ma non riescono a sfuggire alle logiche di profitto, dominate come sono dagli azionisti. Chiedono ai governanti (l’ha fatto espressamente Mark Zuckerberg) di regolarle meglio per togliere loro le castagne dal fuoco; noi, a nostra volta, non siamo abbastanza consapevoli del problema. Proprio come quando a regnare erano le big oil e non si parlava diffusamente di cambiamenti climatici.
Riprendiamo internet
Riprendiamoci internet e le sue meravigliose promesse, ora in gran parte tradite. Come in tutti i percorsi terapeutici, partiamo dalla consapevolezza della fragilità per trasformarla nella stella di una rinascita.
Per fortuna le big tech ci stanno dando – proprio ora e ancora – occasione di cogliere fino in fondo la natura di questa fragilità. E delle sue conseguenze.