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Ma le leggi su green pass sono accettabili? Lecito dubitarne

Uno studio inglese spiega quando le restrizioni covid sono accettabili. Vietare o limitare la circolazione a chi, per legge, non può vaccinarsi è evidentemente una scelta quantomeno discutibile. E dal Governo servirebbe molta più trasparenza sui motivi delle scelte, sulla ratio giuridica e scientifica

Pubblicato il 10 Ago 2021

Diego Dimalta

Studio Legale Dimalta e Associati

Il Green Pass è un elemento del tutto nuovo che ha fatto irruzione nelle nostre vite con l’obiettivo di restarci, probabilmente, per un tempo indefinito.

L’obbligo green pass ha creato spaccature. Alcuni hanno accolto con favore questa misura, altri la contestano con forza, altri ancora, infine, pur non condividendone i presupposti, hanno deciso di scaricarla cercando di limitare i danni (ad esempio, non utilizzando app di terze parti).

Il green pass minaccia le libertà personali? Lo studio

Qualunque sia la vostra opinione, appare molto interessante il paper dal titolo “COVID-19 Vaccine Passports: Human Rights and the Need for Pro-Ethical Design” scritto da Emmie Hine, Jessica Morley, Mariarosaria Taddeo e Luciano Floridi.

Il fine di tale Paper è quello di porre domande e cercare di capire se esiste un modo etico per introdurre una simile restrizione alle libertà personali.

Quanti problemi al green pass: ecco perché non vi arriva

“There is no ‘one’ right solution” è questo il presupposto (quantomeno condivisibile) con cui gli autori si approcciano a questa tematica quantomeno spigolosa. Tuttavia, si legge nel Paper, in questo mondo fatto di continui “trade off”, una stella polare potrebbe essere rappresentata dalla Convenzione del Consiglio d’Europa per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), pensata per salvaguardare diritti fondamentali quali: il diritto alla libertà di movimento; il diritto alla libertà e alla sicurezza; il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione; il diritto alla libertà di espressione; il divieto di discriminazione; e il diritto alla privacy e alla vita privata.

Quando le restrizioni sono accettabili

Ora, tutti i giuristi sanno bene che, in circostanze normali, questi diritti vivono in un modo che potremmo definire “espanso”, tutti ugualmente importanti e degni di tutela. Nella situazione in cui ci troviamo è però evidente che questi diritti stanno subendo delle limitazioni le quali, tuttavia, possono ritenersi accettabili solo se temporanee ed estremamente necessarie. Da qui la prima domanda legittima: il COVID è un qualcosa di temporaneo? Questa domanda, non presente nel Paper è in realtà fondamentale per valutare la legittimità o meno di una simile misura capace di contrarre diritti delle persone. Non appare quindi condivisibile l’opinione di chi afferma che davanti alla salute, la privacy diventa un diritto, per così dire, minore, sacrificabile. Non è assolutamente così e fa onestamente riflettere il fatto che a lanciarsi in simili affermazioni ci siano anche professionisti acclamati. La verità è che in base alla costituzione e alla Carta dei Diritti, è necessario trovare un equilibrio tra posizioni ugualmente degne. Si tratta di un compito quantomeno difficile, chiaro, differentemente non si sarebbe creata la spaccatura sociale ormai sotto gli occhi di tutti.

L’articolo 15 della CEDU, a tal riguardo prevede espressamente la possibilità di derogare ai diritti fondamentali, in caso di guerra e di emergenze, come quella che stiamo vivendo. In questo bilanciamento, il diritto alla vita della collettività, può, secondo gli autori, giustificare la contrazione degli altri diritti.

Tuttavia, come evidenzia il Paper queste limitazioni sono giustificabili solo se:

  • o La restrizione è prevista ed attuata ai sensi di legge;
  • o La restrizione è nell’interesse di un legittimo obiettivo di interesse generale;
  • o La restrizione è strettamente necessaria in una società democratica per raggiungere l’obiettivo;
  • o Non esistono mezzi meno invadenti e restrittivi a disposizione per raggiungere lo stesso obiettivo;
  • o La restrizione si basa su prove scientifiche e non è redatta o imposta arbitrariamente, ovvero in un modo irragionevole o altrimenti discriminatorio.

I rischi dell’obbligo green pass

Proprio su questo ultimo punto si sono soffermati molto i media, specialmente con riguardo alla situazione francese, evidenziando come in una situazione in cui la chiamata al vaccino è ancora gestita in base alle fasce di età o altri criteri di priorità, l’introduzione di un pass vaccinale rischierebbe di divenire fortemente discriminatoria. Vietare o limitare la circolazione a chi, per legge, non può vaccinarsi è evidentemente una scelta quantomeno discutibile. Proprio per questo è stato opportuno coordinare l’introduzione del green pass con una sostanziale liberalizzazione dell’accesso ai vaccini (gratuiti).

Ma non è solo il pericolo di discriminazione l’aspetto su cui riflettere. Per strutturare un sistema di passaporti vaccinali, secondo il paper, è necessario porsi tutta una serie di domande.

In primo luogo, come sappiamo, esistono una moltitudine di vaccini, di cui solo alcuni sono approvati per il territorio UE. Allora sorge una domanda: se un soggetto è vaccinato con un vaccino non autorizzato in UE per la sua eccessiva pericolosità (ma comunque capace di inibire il COVID), egli potrà godere del pass vaccinale?

Si tratta di una questione importante, ancora non risolta. Insomma, si tratta di dare libertà di movimento ai tutti i vaccinati o solo ai vaccinati che usano un vaccino autorizzato dalla UE?

Altra questione su cui invita a riflettere il paper è: smarcata la questione di cui sopra, il pass sarà necessario per uscire di casa o per accedere a solo determinati luoghi pubblici? Allo stato attuale, per quanto riguarda l’Italia, esiste già una lista la quale, tuttavia, pare comunque posizionare in una zona grigia, non definita, tutta una serie di aree come, ad esempio quella riguardante gli alberghi. In caso di confusione, il rischio peraltro è che il passaporto vaccinale venga chiesto anche da chi non dovrebbe chiederlo, obbligando, di fatto, le persone a presentare il green pass in una moltitudine di situazioni non previste dalla norma.

Su questo servirebbe quindi una maggiore chiarezza.

Un altro tema da valutare è quello derivante dai pericoli della digitalizzazione del green pass.

Ecco le risposte che il Governo deve dare

Su questo aspetto in effetti i quesiti a cui il Governo dovrebbe rispondere sono molti: il passaporto del vaccino accede alle cartelle cliniche personali delle persone o accede a un database diverso? Questo database è centralizzato o decentralizzato? Come si bilanciano privacy e verificabilità? È disponibile un’alternativa non digitale?

Si tratta di quesiti quantomeno legittimi se si pensi che ogni volta che digitalizziamo un dato ci esponiamo ad un rischio. Duplicare questo dato comporta quindi una duplicazione dei rischi, come anche farlo passare da applicativi ulteriori ecc. ecc. In tal senso, tra quelle sopra riportate, la domanda più importante è: esiste una alternativa non digitale?

Questa domanda, a parere di chi scrive, potrebbe essere la chiave giuridica su cui basare l’intero bilanciamento dei diritti di cui parlavamo poc’anzi.

Non è questo il luogo per schierarsi a favore o contro i green pass, e non è assolutamente mia intenzione farlo, ma è evidente che sotto l’aspetto “privacy”, al fine di rispettare il GDPR, ogni soluzione dovrebbe essere valutata alla luce del principio di minimizzazione, il quale impone proprio di domandarsi se lo stesso risultato è raggiungibile in modi meno invasivi. In questo, non possiamo che condividere quanto evidenziato dal prof. Floridi nel documento in esame. Esiste una alternativa non digitale al green pass?

Si, certo, ed è prevista anche per legge. Qualcuno potrebbe però obiettare che usare il telefono mobile è più comodo di portarsi dietro un pezzo di carta. Ammesso che sia vero, allora la domanda è: esiste una soluzione digitale meno invasiva? Se la risposta è affermativa, allora è quella la strada da prendere. A questa soluzione ci si arriva sia guardando al punto di vista etico (esplorato nel Paper), sia guardando alla normativa europea.

Evidenziati i principali interrogativi, il Paper giunge a fornire raccomandazioni dirette ai Governi.

In particolare, nel documento si evidenzia che, eticamente, il pass può essere accettabile momentaneamente, per viaggi e per accesso a determinati luoghi pubblici ma è necessario che in alcun modo venga chiesto un pass per accedere a supermercati, farmacie e ai luoghi utili per l’approvvigionamento, ove altre misure dovranno quindi essere adottate.

Gli stati dovrebbero poi prevedere sistemi per segnalare facilmente gli usi impropri del green pass, così da evitare limitazioni illegittime alla libertà delle persone, introducendo altresì una figura che potremmo identificare come una sorta di Garante del Green Pass con lo scopo di monitorare il corretto utilizzo di tali sistemi.

Che peso dare ad una simile pubblicazione? In primo luogo è utile evidenziare che si tratta di un parere soggettivo, espressione della visione dei suoi autori. Tuttavia il documento di da Emmie Hine, Jessica Morley, Mariarosaria Taddeo e Luciano Floridi risulta molto utile ad evidenziare interrogativi e, eventualmente, a porsene di ulteriori.

Che si sia favorevoli o contrari al Green Pass, quello che conta è che ci si costruisca un’opinione consapevole, fondata su un ragionamento. In questo, la proposizione delle numerose domande presenti nel Paper, non può che stimolare ragionamenti, favorendo una più solida opinione, sia essa pro o contro il passaporto vaccinale.

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