Il 28 aprile 2016 la Corte Suprema degli USA ha proposto al Congresso americano di ampliare i poteri investigativi del Federal Bureau of Investigation e della Procura fino al punto di richiedere l’emissione di un provvedimento per la perquisizione a distanza di supporti di memorizzazione (evidentemente, installati in un computer collegato a una rete o comunque accessibile).
La notizia ha suscitato reazioni indignate da entrambi i lati dell’oceano e non sono mancati, anche in Italia, i soliti interventi catastrofisti sulla violazione della privacy e dei diritti individuali, che lamentano di come, grazie a queste modifiche (se saranno approvate), il FBI potrà “craccare” dei computer dovunque localizzati nel mondo.
Curiosamente (almeno per quanto riguarda l’Europa) i medesimi “indignati a comando” non si sono accorti che la Convenzione europea sul crimine informatico, recepita in Italia dalla legge 48/2008 già consente esattamente la stessa cosa: chiedere a un giudice di autorizzare la perquisizione informatica, anche tramite “forzatura” dell’accesso. In questo senso, dunque, l’Europa e l’Italia sono, per una volta, vent’anni avanti rispetto agli USA.
Che poi gli inquirenti non si servano di questo strumento processuale (e sarebbe interessante sapere perché) è un altro paio di maniche.
Anche del fatto che il FBI possa operare anche al di fuori dei confini nazionali ci si dovrebbe stupire poco e niente. Il Garante dei dati personali ha di recente emesso un (discutibile) provvedimento nei confronti di Facebook USA, basato su una singolare interpretazione di legge che stabilisce il principio per il quale Facebook, azienda statunitense, è soggetta alla legge italiana.
Prima di questo caso, ci aveva pensato la III sezione penale della Corte di cassazione penale (sentenza 49437/2009 – caso The Pirate Bay) a stabilire il principio che un sequestro preventivo si può eseguire anche al di fuori dell’Italia, ordinando agli internet provider di bloccare le richieste di collegamento a una risorsa di rete localizzata al di fuori del nostro paese.
E allora: perché stupisce che gli USA conferiscano per legge un potere analogo alle proprie agenzie investigative?
La realtà è che in questo gioco di travi e pagliuzze, si intersecano più livelli.
Innanzi tutto quello dei rapporti fra stati e della crisi del concetto di giurisdizione, intesa come limite geografico del potere sovrano (o, se preferite, come versione “alta” del “ognuno è padrone a casa propria”).
Prima dell’accelerazione imposta dallo sviluppo delle tecnologie dell’informazione, ciascun paese esercitava la propria sovranità nell’ambito dei propri confini e regolava i rapporti con le altre nazioni ricorrendo ai trattati bi o multilaterali.
Oggi, per motivi non tanto giuridici quanto economici, ciascuno cerca tutelare i propri investimenti e il proprio potere nei confronti degli interlocutori smantellando innanzi tutto il “muro” della giurisdizione, in modo da garantirsi la possibilità di colpire direttamente l’avversario senza passare da complesse sovrastrutture politiche.
Se passa il principio sulla base del quale basta autoattribuirsi il potere di vincolare alla propria legge anche soggetti che non lo sono e non lo possono essere, cosa impedirà ad un altro stato sovrano di emanare norme efficaci in (o contro la) Italia?
Se è ragionevole pensare che gli americani decidano di fare una cosa del genere, capisco meno la scelta europea di competere non sul campo aperto della capacità di innovare, quanto nelle acque paludose della burocrazia e del bizantinismo (regolamento europeo sui dati personali docet).
Ci sarà un motivo per il quale, la società dell’informazione è nata, cresciuta e rimasta negli USA, e gli USA non intendono perderne il controllo?
Sembrano lontani anni luce – ma in realtà solo un paio di generazioni – i fasti di quella grande azienda che fu la Olivetti del progetto Open System Architecture, ultimo esempio di vera innovazione in Italia.
E anche l’arrivo dell’internet, per lungo tempo confinata in ambito accademico e consegnata al resto dell’Italia solo grazie alla pazzia di alcuni visionari e veri “padri nobili”, non ha prodotto chissà quale progresso.
Letta in questo contesto, la questione dei “superpoteri” del FBI e delle proteste di chi, “in nome della privacy” pretende di limitare i poteri investigativi di un’autorità pubblica assume un significato diverso: la mancanza di fiducia nel nostro modello di società, o – se preferite – nel mondo che noi stessi abbiamo voluto. Un mondo caratterizzato dalla borbonica diffidenza nei confronti del potere e dall’arroganza di chi vuole la legge applicata per tutti tranne che per se stesso.
Nel frattempo in qualche garage di uno sperduto paesino dell’Iowa o del Maine, qualche adolescente sta progettando The Next Big (and American) Thing.