Mapping dell’attività cerebrale: sono passati dieci anni dalla proposta di Rafael Yuste e George Church. Il neurobiologo dell’università della Columbia e il genetista di Harvard si riunirono nel settembre 2011 in un simposio nella campagna inglese insieme a neuroscienziati e studiosi di nanotecnologie e avanzarono questo progetto ambizioso.
Yuste, Church e i loro colleghi stilarono una proposta che sarebbe poi stata pubblicata su Neuron, una delle più autorevoli riviste di neuroscienze. Definirono il progetto come “sforzo pubblico su larga scala, internazionale, il Brain Activity Map Project, per ricostruire l’attività cerebrale attraverso circuiti neurali completi”.
Un’IA a “immagine e somiglianza” del nostro cervello? La sfida è possibile
Se la scienza conoscesse i misteri del cervello, potrebbe giungere al trattamento di malattie come l’Alzheimer, l’autismo, la schizofrenia, la depressione e le gravi conseguenze di un trauma cranico. La scienza potrebbe anche rispondere a questioni fondamentali, anche a livello filosofico: indagare il rapporto fra il cervello umano e la consapevolezza. A che punto siamo?
Che cos’è il Brain Activity Map Project
Il Brain Activity Map Project avrebbe dovuto diventare l’equivalente dello Human Genome Project, il sequenziamento del genoma umano, e aprire nuove opportunità in campo sia industriale che commerciale.
L’idea era mettere a punto nuove tecnologie per il mapping dell’attività cerebrale: i ricercatori avrebbero registrato l’attività a partire da poche centinaia di neuroni alla volta, ma con 86 miliardi di neuroni nel cervello umano, era come “guardare la TV pixel per pixel”, ha commentato Yuste nel 2017.
I ricercatori proposero strumenti per misurare “ogni picco cerebrale da ciascun neurone” nel tentativo di comprendere come la scarica neuronale generasse pensieri complessi.
L’audace proposta colpì positivamente l’amministrazione Obama e contribuì alla fondazione del Brain Research attraverso l’Advancing Innovative Neurotechnologies (BRAIN) Initiative, annunciata nell’aprile 2013. Obama giunse a definirlo “il prossimo grande progetto americano” e promosse la raccolta di 100 milioni di dollari per sviluppare nuove tecnologie di comprensione del funzionamento del cervello umano.
Ma non si trattava della prima audace “brain venture”. Pochi anni prima Henry Markram, neuroscienziato della École Polytechnique Fédérale di Losanna in Svizzera, si era posto il più alto obiettivo di condurre al computer una simulazione di un cervello di un essere umano vivente.
Markram intendeva realizzare un modello completamente digitale, tridimensionale, alla risoluzione di una singola cellula, capace di tracciarne le connessioni. “Lo possiamo costruire in 10 anni”, proclamò durante una TED Talk del 2009.
Nel gennaio 2013, pochi mesi prima dell’annuncio del progetto americano, l’Unione europea (UE) insignì Markram di un premio del valore di 1.3 miliardi di dollari per realizzare il suo modello. Le iniziative USA e UE fecero scuola: simili progetti di ricerca si diffusero in Giappone, Australia, Canada, Cina, Sud Corea e Israele, inaugurando una nuova era di neuroscienze.
Il mapping dell’attività cerebrale è un sogno impossibile?
Un decennio dopo, possiamo tirare le somme: negli USA il progetto sta evaporando, il progetto UE ha superato la deadline che si era posto, ma nessun cervello digitale è stato realizzato.
Com’è andata la corsa a svelare i misteri che tuttora avvolgono il cervello umano? Abbiamo sprecato una decade e miliardi di dollari inseguendo una visione che rimane quanto mai elusiva?
Fin dall’inizio, entrambi i progetti hanno ricevuto critiche. Gli scienziati europei si sono scusati degli elevati costi dello schema di Markram che ha drenato risorse alla ricerca neuroscientifica.
Perfino nell’incontro all’origine di questa avventura intellettuale, quello del 2011 in cui Yuste e Church presentarono la loro ambiziosa visione, molti colleghi avevano sollevato dubbi sulla fattibilità del progetto.
Il mapping della complessa attività cerebrale era parso una missione impossibile a tanti scienziati. Altri la consideravano un’iniziativa attuabile, ma dai costi eccessivi: inoltre avrebbe generato più dati di quanti sarebbero stati gestibili da parte dei ricercatori. Non avrebbero insomma saputo che fare con quella immensa mole di informazioni: rischiavano una sorta di “information overload”, uno tsunami di dati, che avrebbe sommerso anche le migliori intenzioni.
In una rovente critica, apparsa in un articolo pubblicato su Scientific American nel 2013, Partha Mitra, neuroscienziato del Cold Spring Harbor Laboratory, avvertì del rischio di “esuberanza irrazionale” che traspariva dal Brain Activity Map e si chiese quale significativo obiettivo avesse l’intera ciclopica iniziativa.
Mapping attività cerebrale: le critiche allo Human Brain Project europeo
La critica non ha risparmiato neanche le simulazioni al computer del prematuro Brain Project europeo.
Ammesso che sia possibile registrare tutti i picchi neuronali in una volta sola, rimane il fatto che un cervello non esiste in un sistema isolato: per collegare i puntini, si dovrebbero registrare simultaneamente gli stimoli esterni a cui un cervello è esposto, oltre al comportamento dell’organo. Dobbiamo cioè capire il cervello a livello macroscopico prima di decifrare il significato reale delle scariche di neuroni cerebrali.
Inoltre, l’impatto di un controllo centralizzato su questi campi di ricerca solleva dubbi e perplessità. Cornelia Bargmann, neuroscienziata dell’Università Rockefeller, temeva che un progetto così imponente comportasse una rinuncia a ricerche condotte a livello individuale (Bargmann venne subito chiamata a co-guidare il gruppo di lavoro dell’iniziativa BRAIN).
Rimane tuttavia il fatto che non esiste un’unica teoria su come funzioni il cervello, e non tutti concordano sull’utilità di creare un cervello simulato per studiarne il funzionamento.
Mentre l’iniziativa USA riceveva input dagli scienziati per deciderne la direzione di ricerca, il progetto UE era più top-down, con Markram al vertice. Ma i documenti di Noah Hutton nel film “In Silico“ (2020) hanno rivelato i grandiosi piani di Markram.
Da studente di neuroscienze, Hutton ha avuto accesso ai paper di Markram ed è rimasto folgorato dalla sua proposta di simulare il cervello umano; quando ha iniziato a documentarsi per il film, ha optato per raccontare la cronaca dell’evento. Sapeva che l’impresa miliardaria non era caratterizzata da un approccio innovativo alla scienza.
“In Silico” mostra Markram come leader carismatico costretto ad affermazioni audaci e roboanti sulle neuroscienze per attrarre i fondi necessari a finanziare la sua particolare visione. Ma il progetto è inciampato in un problema maggiore: non esiste un’unica teoria condivisa dalla comunità scientifica su come funziona il cervello umano, e costruire un cervello simulato non sarebbe stato il miglior modo per studiarlo. Non ci volle molto per far affiorare queste differenze fino a minare il progetto europeo.
Nel 2014, centinaia di esperti europei scrissero una lettera in cui esprimevano i loro dubbi sul progetto, sul meccanismo di raccolta fondi, sulla trasparenza dello Human Brain Project. Gli scienziati puntarono il dito contro Markram, una sfida prematura e troppo limitata, che di fatto escludeva fondi a ricercatori portatori di una visione diversa.
Ma anche se avesse funzionato, quale lezione avrebbe impartito la simulazione? Terry Sejnowski, neuroscienziato computazionale del Salk Institute, membro della commissione advisory del BRAIN Initiative, disse a MIT Technology Review: “La simulazione è tanto complicata quanto il cervello umano.”
Il board dello Human Brain Project votò per cambiare organizzazione e leadership a inizio 2015. Christoph Ebell, imprenditore elvetico con un background in science diplomacy, venne nominato direttore esecutivo. Ma il progetto era giunto a un punto critico, un binario morto senza prospettive future. Lasciò il timone dopo pochi anni a causa di “disaccordi strategici”. Il progetto è ora focalizzato nel fornire una nuova infrastruttura di ricerca computazionale per aiutare i neuroscienziati ad archiviare, processare e analizzare grandi quantità di dati e sviluppare atlanti di cervello in 3D e software per realizzare simulazioni.
La US BRAIN Initiative è anch’essa andata incontro a grandi cambiamenti. Già nel 2014, l’emergere dei limiti della ricerca, produssero un’evoluzione pragmatica del progetto: ora è focalizzata nello sviluppo di tecnologie per svolgere indagini sul cervello.
Queste modifiche hanno iniziato a produrre risultati concreti, anche se non quelli ravvisati all’inizio di questi progetti.
Mapping dell’attività cerebrale: un Google Earth del cervello umano
L’anno scorso lo Human Brain Project ha rilasciato una mappa digitale 3D che integra differenti aspetti dell’organizzazione di un cervello umano a livello millimetrico e micrometrico. Si tratta del “Google Earth del cervello”.
Gli scienziati hanno immaginato l’anatomia dell’intero cervello umano con una risoluzione senza precedenti.
A inizio di quest’anno, Alipasha Vaziri del BRAIN Initiative e il suo team alla Rockefeller University hanno registrato l’attività di più di un milione di neuroni attraverso la corteccia di un topo: finora è la più grande registrazione mai fatta di attività animale corticale, anche se è lontanissima dalla registrazione dell’attività di 86 miliardi di neuroni nel cervello umano ipotizzata dal Brain Activity Map originario.
L’impegno statunitense ha mostrato progressi nel tentativo di costruire nuovi strumenti di mapping dell’attività cerebrale per studiare il cervello. Ha accelerato lo sviluppo di optogenetica, un approccio che usa la luce per controllare i neuroni, e che è approdata a realizzare elettrodi al silicio ad alta densità capaci di registrare centinaia di neuroni simultaneamente. Ha accelerato lo sviluppo del sequenziamento di singole celle. Si attende la classificazione dettagliata di tipi di celle nella corteccia motoria sia del topo che dell’uomo, nella BRAIN Initiative. Si tratta di importanti passaggi, ma lontani dalle ambizioni iniziali.
Mapping del cervello umano: i prossimi passi della ricerca
Il progetto europeo giungerà a conclusione nel 2023, mentre l’iniziativa USA ha fondi fino al 2026. Ciò che accadrà nei prossimi anni determinerà l’impatto delle ricerche nel campo delle neuroscienze.
Lo Human Brain Project per ora non ha prodotto nessun risultato scientifico. Invece, lo ha fatto eBrains, la piattaforma lanciata ad aprile per aiutare i neuroscienziati a lavorare coi dati neurologici, per performare modelli e per simulare funzioni cerebrali. Ai ricercatori offre un’ampia gamma di dati e connette in unico sistema molti laboratori europei avanzati, centri di supercomputing, hub clinici e tecnologici.
Katrin Amunts, neuroscienziata dell’Università di Düsseldorf, che è stata direttrice scientifica della ricerca dello Human Brain Project dal 2016, afferma che il sogno di Markram di simulare l’attività di un cervello umano non è ancora stato realizzato, ma si sta avvicinando: “Useremo gli ultimi tre anni per far sì che il sogno si avveri”.
Ma non sarà un grande singolo modello, bensì numerosi approcci alla simulazione ad aiutare a capire il cervello umano nella sua complessità.
La BRAIN Initiative ha procurato 900 sovvenzioni ai ricercatori, totalizzando una cifra pari a 2 miliardi di dollari. Il National Institutes of Health (NIH) spenderà 6 miliardi sul progetto.
Per la fase finale della BRAIN Initiative, gli scienziati si concentreranno per capire come funzionino i circuiti cerebrali, studiando i diagrammi dei neuroni connessi. I ricercatori sono tuttavia giunti a una conclusione: non si può mettere una deadline a un progetto così complesso, anche se si raggiungono singoli obiettivi specifici.
“Con un nuovo strumento o un favoloso nuovo microscopio, sai dove lo hai preso. Ma è difficile avere successo nel parlare di come funziona una porzione di cervello o come il cervello compie un’attività” conclude Eve Marder, neuroscienziata della Brandeis University. “E il successo di uno potrebbe essere l’inizio della storia di un’altra persona.”
Nuovi tool e tecniche sono comunque emersi e ora bisogna studiare come usarle al meglio. Ma invece di porsi domande sulla coscienza, apre nuove questioni sul cervello e mostra quanto sia complesso. “Devo essere onesto”, dice Yuste: “Abbiamo più alte speranze”.