Il dottor Annthok Mabiis ha annullato tutte, o quasi, le memorie connesse della galassia per mezzo del Grande Ictus Mnemonico. “Per salvare uomini e umanidi dalla noia totale, dalla Sindrome della Noia Assoluta”, perché le memorie connesse fanno conoscere, fin dalla nascita, la vita futura di ciascuno, in ogni particolare. La Memory Squad 11, protagonista di questa serie, con la base di copertura su un ricostruito antico bus rosso a due piani, è incaricata di rintracciare le pochissime memorie connesse che riescono ancora a funzionare. Non è ancora chiaro se poi devono distruggerle o, al contrario, utilizzarle per ricostruire tutte quelle che sono state annientate, se devono cioè completare il lavoro del dottor Mabiis o, al contrario, riportare la galassia a “come era prima”.
“I controlli sono la cosa più noiosa… mi intristiscono… e tu non essere così seria, Sargen! Ora non sei al lavoro! Ci stiamo disintossicando! Il nostro è un lavoro usurante… massacrante… tre ore al giorno per due giorni alla settimana… ”
La umanide lo guardava: “Sono seria perché è un lavoro di responsabilità, Haji… da quei controlli dipende la salute di miliardi di abitanti delle galassia….” La voce tremava. Emozionata.
La notte stremata. Spendeva. Le sue ultime energie. La città già sveglia. Irrorava le strade. Con fiumane. Scivolavano verso il mare. Come ogni mattina.
Haji: “Ma noi due abbiamo bisogno di staccarci, di essere meno seri… Siamo qui per questo! Qui ci stiamo curando. In più abbiamo tutti e due la Sindrome della Noia Assoluta…”
Sargen: “Mezza galassia ha la SNA, Haji! E tutto va avanti lo stesso…”
Haji: “Ma che dici, Sargen, siamo seri per favore! Cioè…”
Il bus rosso a due piani uscì dal suo percorso di linea. Simulato. Di copertura.
“Siamo a mezz’ora dalla spiaggia da dove arrivano i segnali” impartiva Xina Shaiira, analista del terreno e dell’ambiente della squadra.
Xina: “C’è un reticolo in corso, comandante… Parecchie memorie connesse coinvolte… una ventina circa… alla spiaggia, a nord della città… nella zona dei caffè estivi…”
Il bus seguiva quieto. Le colonne di pazienti. Strisciavano i piedi. Penzolavano le braccia. Le teste voltate di lontananza. Gli occhi socchiusi di noia. Le bocche imbronciate di serietà. Le schiene inaridite di voglie.
Lilla prima. Pesca poi. Spicchio di sole. Coricato. Presuntuoso. Ilare. Nei primi attimi. A brillantare le onde. A ridicolizzare la notte. A intrattenere il giorno. Ad assecondare i desideri. Minimi.
Il bus interruppe lo scalpiccio. Girò spaventato. S’accucciò al fianco dello Jena Bar. Scesero gli agenti. Cauti. Seri. Ombre della mattina. La noia nelle scarpe. Felpavano la sabbia. Infinita verso nord. La spiaggia smisurava. Milioni di malati.
Gli agenti si accodarono. Si accucciarono. Tutti si abbracciavano. Nelle dita le memorie connesse. Tante. Finalmente. Missione compiuta.
Le bocche irrefrenabili. Le mani appanciate. I piedi tumpavano. I denti luminavano. Le lingue sgangheravano. Lo gole arrocavano. Il fragore rincorreva. Contagiava. Serpentiva. Arrembava. Sgominava. Sgomitava. Scuoteva. Fibrillava. Astraeva. Sbriciolava. Dirompeva. Fantasiava. Rincorreva. Scorazzava. Crepapellava.
Anche gli agenti. Si disfarono. A ridere. Aprirono le mani. Le memorie connesse. Svanirono nella schiuma. Di onde rapaci.
Haji e Sargen erano in cura. Di risate.
S’abbuffavano.
Si ubriacavano.
Di quella medicina.
(118 – continua la serie. Episodio “chiuso”)
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