È evidente che qualcosa non ha funzionato nel modello delle piattaforme social web 2.0, trasformatesi in monopoli in grado di determinare la vita e la morte di intere aziende. Ma come non far ricadere il web 3.0 negli stessi errori?
Sarà metaverso in mille settori: ecco tutte le possibilità di business
Il ritorno delle tecnologie immersive
Quando la tecnologia diventa veramente immersiva qualche preoccupazione è lecita. Negli anni ’90, quando i videogiochi in prima persona con le grafiche realistiche in 3D hanno irrotto sulla scena con Doom, Silent Hill e altri titoli, intellettuali, giornalisti e programmi televisivi hanno subito puntato l’indice contro il rischio dell’eccessiva immedesimazione verso la virtualità, il pericolo di confondere gioco e realtà, il ribaltamento di priorità tra il virtuale e il reale. Il dibattito non è finito e non saremo noi a terminarlo.
Più una tecnologia è immersiva, più è in grado di assorbire completamente la nostra attenzione e questo ha enormi implicazioni. Oggi i mondi virtuali – non gaming – stanno tornando in auge dopo una decina d’anni di oblio, sotto la spinta di Meta, l’azienda che sta dietro Facebook guidata da Mark Zuckerberg, che nell’ottobre del 2021 ha cambiato nome indicando una svolta strategica verso i “metaversi”.
Non solo Oculus: il metaverso targato Zuckerberg
La creazione del “Metaverso” è diventata la priorità strategica e programmatica di Zuckerberg, che ha dichiarato come Meta “is a metaverse-first company”. Insomma, l’idea di Zuck è quella di traghettare prima o poi i quasi tre miliardi che abitano i suoi social (Facebook, Instagram e Whatsapp) in ambienti 3D, immersivi e aumentati.
Da tempo, Meta sta sviluppando Horizon, il metaverso fruibile attraverso i dispositivi Oculus. La piattaforma Oculus-Horizon è aperta agli sviluppatori esterni che possono utilizzare API (application programming interface) e SDK (software development kit) per creare applicazioni, giochi, esperienze all’interno del “Metaverso” di Meta.
Sull’app store di Oculus ci sono già centinaia di giochi ed esiste un fiorente ecosistema di aziende, software house e programmatori che stanno espandendo questo universo virtuale.
I dispositivi Oculus al momento costano dai 300 ai 400 euro e questo rappresenta – al momento – una barriera di ingresso importante per la diffusione della piattaforma. Ma Oculus rappresenta soltanto un’isola dell’arcipelago di soluzioni che Meta vuole creare intorno alla realtà immersiva e aumentata: occhiali per la realtà aumentata, braccialetti con sensori e poi esperienze virtuali integrate ai social, che non richiedono specifici dispositivi.
La visione di Zuck è molto chiara. Come scrive Vincenzo Cosenza nel suo Osservatorio del Metaverso: “Il metaverso non lo crea una sola azienda, ma un’intera rete composta da molteplici attori”. Il concetto ambizioso di Meta è quello del metaverso come nuova metafora della rete e di internet, non di applicazione isolata.
E in questa metafora Meta è il pioniere che mette la bandierina sul nuovo mondo e gli dà il nome (che poi è il proprio). Nome comune e nome del colosso coincidono nella nuova internet targata Zuckerberg.
Il web non è nato da una multinazionale
Ma è bene annotare e ricordare che la prima rete, quella in cui abitiamo e lavoriamo oggi, non è nata in questo modo. Il progenitore di internet si chiamava Arpanet ed è nato all’interno del Dipartimento di Difesa americano. Arpanet consentiva il trasferimento di file e documenti da un PC all’altro.
Si è trasformato nell’internet dei siti che conosciamo grazie a Tim Barners Lee, che in un altro centro di ricerca pubblico (il Cern) ha aveva ideato i protocolli http e sostanzialmente reso possibile la creazione di siti collegati tra loro in modalità ipertestuale (link).
La rete, dunque, non è nata da aziende private. La rete ha reso possibile la creazione di aziende private che potevano operare sulla piattaforma di internet. Arpanet, il protocollo http e i collegamenti tramite link hanno reso possibili sviluppi infiniti, commerciali, sociali. Sono nate le aziende e-commerce, i social, i forum e, gradualmente, il web 2.0.
Una nuova rete non dovrà nascere da una multinazionale e nemmeno da un consorzio di multinazionali. La storia insegna che le grandi trasformazioni della civiltà non sono nate da aziende private. Ma piuttosto le hanno rese possibili.
Second Life: l’utopia del sogno americano nel cyberspazio
Il sogno di Zuckerberg non è l’unico. Per fortuna. Non è il più interessante. Anche se certamente è quello che dispone di maggiori capitali. Il 23 gennaio 2003 la società californiana Linden Lab, fondata dal visionario Philip Rosedale, ha lanciato Second Life, il più grande tentativo di creare il metaverso, prima dell’era Meta.
Second Life era una copia del mondo, ma si proponeva di migliorarlo, creandone uno migliore. Philip Rosedale apparteneva alla seconda generazione di imprenditori digitali della Silicon Valley: commercio, capitalismo, utopia e libertà stavano per Rosedale sotto uno stesso cappello. Quello del sogno americano, ma dentro al cyberspazio.
Second Life permetteva ai suoi abitanti, impersonificati tramite un avatar, di edificare terreni e costruire a loro volta dei propri sotto-mondi con proprie regole. Ai programmatori/scopritori venivano offerti kit di sviluppo che permettevano di modellare oggetti 3d e animarli con azioni e comportamenti. E venderli.
Il metaverso era decentralizzato, nel senso che ciascun proprietario di terreno poteva costruire delle proprie regole, con una moderazione molto leggera da parte di Linden Lab.
Ma esisteva una moneta unica, che seguiva le logica di una valuta reale, con un cambio e un determinato valore. I Linden Dollars avevano e hanno valore di scambio per comprare oggetti, terreni, servizi su Second Life e potevano essere convertiti in dollari reali. Questo aveva dato vita ad una vibrante economia virtuale all’interno di Second Life e a una miriade di speculazioni.
Le metafore del mondo del gaming venivano utilizzate per creare una nuova società utopistica all’interno di Second Life, basata su libertà di pensiero, di iniziativa imprenditoriale e decentralizzazione delle decisioni.
Con l’esplosione dei social network, Second Life è caduto nell’oblio, perdendo gradualmente utenti e sviluppatori. La tecnologia era immatura, le speculazioni difficili da controllare e contestualmente strumenti più accessibili (i nuovi social network) erano più in grado di soddisfare il bisogno delle persone di utilizzare la rete per socializzare. Il concetto di metaverso era finito nel dimenticatoio fino al 2021, quando Facebook ha deciso di trasformarsi in Meta e di fare del Metaverso la nuova internet.
Metaversi: il tema del controllo centralizzato o distribuito
Ma di quale futuro stiamo parlando? Matthew Ball, analista dei media, ha elencato le cinque caratteristiche del metaverso, che lo differenziano dal web tradizionale: immersivo, interoperabile, sincrono, genera un’economia parallela ed è una piattaforma (non un contenuto o un media). Al di là dei rischi di immersività, i due temi che campeggiano nell’elenco di Ball sono l’economia e l’interoperabilità.
Parliamo dell’interoperabilità. Oggi esistono oltre 40 metaversi. Nessuno dei quali è interoperabile con gli altri. Gli oggetti che si possiedono e per cui si è pagato in un mondo virtuale non sono trasferibili in altri mondi. Gli avatar che abbiamo in un mondo non sono trasferibili da un mondo all’altro. Stessa cosa per i contatti e il denaro (virtuale o meno).
Nell’osservatorio del Metaverso Vincenzo Cosenza ha creato una mappa delle soluzioni oggi presenti sulla base di due parametri contrapposti: fruibili direttamente da pc e smartphone o con visore, realizzati con tecnologia tradizionale o blockchain.
Il quadrante più interessante è quello dei metaversi basati su blockchain, accessibili tramite semplice PC e smartphone. All’interno di questo quadrante, troviamo realtà come Decentraland, che propongono un modello che ricorda quello di Second Life ma con una maggiore consapevolezza tecnologica e maturità concettuale.
Anche Meta mette a disposizione degli sviluppatori kit di sviluppo. Ma il punto è quanto controllo viene ceduto. Gli sviluppatori e la community possono decidere la grafica e l’animazione o possono influenzare le decisioni di economia interna, di moderazione dei contenuti?
I guadagni del metaverso restano nelle mani di Meta o vengono distribuiti ai suoi abitanti, secondo una logica di reddito di cittadinanza virtuale?
Sono questi i temi su cui si aprono le grandi differenze di visione tra Meta e i metaversi basati su blockchain, come Decentraland, che permette attraverso gli smart contract della blockchain alla sua community di votare su temi importanti.
Da un lato, dunque, abbiamo sistemi centralizzati, governati in modalità old economy e dall’altra sistemi decentralizzati, che cercano di creare nuovi modelli di società, economia e proprietà.
Conclusioni
La grande speranza è che le soluzioni web 3.0 del Metaverso, prendendo le mosse dall’utopia non riuscita di Second Life, ma riproponendone la filosofia di decentralizzazione, riescano nell’impresa di creare una reale e percorribile alternativa a Meta e al metaverso web 2.0. Oggi la rete ha bisogno di pluralità e di nuove metafore per riprogettare la società, senza essere risucchiata dai progetti finanziari delle multinazionali high tech.