filosofia

Metaverso, quando virtuale e reale coincidono

Il metaverso non è nulla di così eccezionalmente nuovo. La virtualità di cui si fa carico è realissima nei suoi effetti su di noi, nelle conseguenze che possono derivarne, soprattutto, il metaverso è realissimo per quanto riguarda i dati che vengono raccolti

Pubblicato il 14 Dic 2022

Valeria Martino

post-doc presso l’Università di Torino

metaverso

Da quando poco più di un anno fa è entrato nei progetti di Mark Zuckerberg, il metaverso ha ricevuto sempre più attenzioni, dividendo, come quasi sempre accade nei confronti delle novità prodotte dallo sviluppo della tecnologia, tra scettici e ottimisti. La caratteristica più significativa del metaverso è l’immersività: un mondo virtuale in tutto e per tutto reale, in cui molte cose saranno possibili, e parallelo a quello materiale a cui siamo abituati.

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Metaverso, domande

Tuttavia, i discorsi attorno al metaverso hanno spesso avuto un carattere pubblicitario, che di conseguenza nasconde una mancata riflessione sul significato dei concetti utilizzati, prima fra tutti proprio la coppia reale-virtuale.

Una domanda che possiamo porci, infatti, è se l’era di Internet prima, e metaverso poi, abbiano cambiato qualcosa nel nostro mondo sociale, e se sì, cosa.

Certamente hanno velocizzato e moltiplicato le interazioni sociali in un modo impensabile fino a qualche decennio fa e fornito le basi per la formazione di gruppi sociali nuovi, diversi, numerosi, sovrapponibili l’uno con l’altro. Ma questo basta per farne una categoria concettualmente altra rispetto a quelle tradizionali? Possiamo davvero parlare di un mondo nuovo? O non si tratta piuttosto di un’esagerazione di stampo ottimista che andrebbe calibrata in base ai vantaggi effettivi che potremmo ottenere dal metaverso, una volta soppesati anche i rischi?

Metaverso, filosofia

Possiamo, infatti, comprendere il mondo sorto da Internet o come un mondo parallelo rispetto a quello che si dà fuori da Internet stesso o al contrario come una delle tante sfere in cui viviamo. Nel primo caso, avremmo una comunità virtuale parallela a quella non virtuale e Internet risulterebbe essere una sorta di specchio che riflette alcune caratteristiche specifiche del mondo sociale; nel secondo, Internet è una parte reale del nostro mondo sociale; dunque, è una sfera che anziché rispecchiare le nostre caratteristiche, si aggiunge alle altre e ne crea di nuove. Così, tra i nostri ruoli sociali non avremmo solo quelli di figli, genitori, lavoratori, cittadini, e quant’altro ma anche utente di questa e quell’altra piattaforma.

Ben note a proposito della vita dentro e fuori da Internet sono le tesi sostenute da Luciano Floridi, che ha coniato il termine onlife (Floridi 2014), proprio per dare un nome alla vita sempre connessa in cui viviamo attualmente, nella quale non ha più davvero senso chiederci se in un determinato momento siamo o non siamo connessi. Questa interpretazione è stata ritenuta fuorviante da Maurizio Ferraris (2016; 2021), che pure concede a Floridi il merito di aver aperto la discussione sul fenomeno. Infatti, per Ferraris il web può essere trattato al pari degli altri sussidi tecnici che ci rendono gli umani che siamo: certamente ha apportato delle novità, ma non per quanto riguarda il nostro vivere con o senza tecnica. Per Ferraris, anche prima della diffusione del web non era possibile fare una distinzione del genere.

Virtuale ed etica

Ciò che è più interessante è il fatto che, la maggior parte delle interpretazioni date finora del fenomeno Internet, hanno cercato di considerare gli effetti del virtuale sul reale o i rapporti tra virtuale ed etica. Infatti, troviamo da un lato analisi del concetto di virtuale e delle sue declinazioni – con una certa tendenza a minimizzare la contrapposizione tra virtuale e reale, dopo una sua prima esaltazione, con un progressivo abbandono dell’espressione «comunità virtuale» – dall’altro, una lunga serie di studi sociologici, psicologici o pedagogici circa gli effetti di Internet sulle comunità reali o, con una prospettiva di stampo più filosofico, sulle problematiche etiche che sorgono dall’utilizzo di Internet. D’altronde il termine “virtuale” è utilizzato, anche nei dibattiti pubblici di stampo più o meno scientifico che si occupano di queste tematiche, in maniera fuorviante, con uno scarto apparentemente ignorato tra il suo significato filosofico e quello più comune, dove il primo ha anche a che fare con la definizione di possibilità e realtà, mentre il secondo è connesso più specificatamente al mondo digitale.

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Cosa succede però se arriviamo più specificatamente al metaverso? Ovvero a un mondo, sembrerebbe, completamente parallelo, in cui le sensazioni, e non solo le emozioni, che proviamo sono dovute all’interazione con qualcosa di virtuale nel senso che non esiste materialmente nello stesso modo in cui esistono il mio computer, il mio tavolo, la mia sedia? Secondo Ferraris non cambia niente. In quest’ottica abbiamo una continuità tra i diversi fenomeni e anche il metaverso non è nulla di così eccezionalmente nuovo: anche in questo caso la virtualità di cui si fa carico è realissima nei suoi effetti su di noi, nelle conseguenze che possono derivarne; soprattutto, il metaverso è realissimo per quanto riguarda i dati che vengono raccolti su di noi, proprio perché noi siamo reali e altrettanto lo sono i bisogni che ci spingono a utilizzare i nuovi mondi virtuali.

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Conclusioni

Dall’altro lato, però, dovremmo almeno soffermarci sull’idea, certamente ottimistica e ciecamente fiduciosa nelle novità promosse dallo sviluppo tecnologico, che il mondo così come lo intendiamo stia per cambiare drasticamente: ci sarà un momento, solitamente collocato intorno al 2050, in cui vivremo solo in mondi virtuali, tramite i nostri avatar che ci permetteranno anche di essere in più luoghi contemporaneamente. Grazie a questo drastico cambiamento, non avremo più bisogno di andare a scuola o a lavoro o da qualunque altra parte, perché a farlo per noi saranno appunto i nostri avatar e i concetti stessi di tempo e attività potrebbero uscirne completamente alterati. Queste, per esempio, le previsioni del progetto portato avanti da Ishiguro Hiroshi: la realizzazione di una società avatar-simbiotica in cui tutti possono svolgere ruoli attivi senza vincoli. Anche in queste previsioni più estreme, però, sembra impossibile, come dice Ferraris, che gli avatar possano sostituirci in tutto: dovremo quanto meno mangiare, bere e dormire con il nostro corpo, non potendo demandare ad altri le nostre funzioni vitali. Qualunque altra forma di consumo, però, potrebbe in linea di principio essere sostituita. Vale la pena chiedersi se questo scenario futuro è davvero ciò che vogliamo e quali conseguenze potrebbe avere sul nostro sviluppo e, di conseguenza, sulle nostre società.

Bibliografia

Ferraris, M. (2016). L’imbecillità è una cosa seria. Bologna: il Mulino.

Ferraris, M. (2021). Documanità. Filosofia del mondo nuovo. Roma-Bari: Laterza.

Floridi, L. (2014). La quarta rivoluzione: come l’infosfera sta trasformando il mondo. Milano: Raffaello Cortina 2017.

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