Diverse organizzazioni e figure politiche stanno tentando di contrastare, o più semplicemente rendere noti, gli effetti negativi sui minori delle microtransazioni nei videogiochi (free-to-play e non).
Che siano app o videogiochi da consolle, molto spesso le case videoludiche ricorrono alle microtransazioni per aumentare gli introiti dei loro prodotti videoludici.
Piccole somme di denaro per enormi guadagni
Come evidente dal nome, una microtransazione richiede di solito una piccola somma di denaro, che permette di effettuare degli acquisti all’interno del gioco stesso (solitamente ricorrenti).
Le stesse hanno significato un enorme successo economico, per chi ha deciso di integrarle nelle meccaniche di gioco. Per tale motivo, la quasi totalità dei videogiochi moderni, fondano il loro modello di business sulle microtransazioni stesse, diventando di fatto una irrinunciabile fonte di guadagno.
Per microtransazioni si intendono tutti gli acquisti effettuati con moneta reale, direttamente all’interno del gioco. E’ importante notare che non si tratta quindi di acquisti effettuati tramite monete virtuali interne al gioco stesso, bensì di vero denaro scambiato con moneta virtuale (ad esempio, 10€ per 1000 crediti di gioco).
Lo scopo di queste piccole transazioni, è solitamente quello sbloccare funzionalità, oggetti o semplici elementi estetici interni al gioco.
Le critiche dei videogiocatori stessi, sono spesso aspre, poiché talvolta questi acquisti stravolgono le meccaniche di gioco, rendendo molto più semplici i giochi per chi effettua queste piccole spese. Eppure raramente viene evidenziato l’estremo pericolo di gambling, generato da questi micro acquisti.
Microtransazioni e loot boxes
Il problema delle microtransazioni appare più grave e controverso, quando queste spese servono ad acquistare le cosiddette “loot boxes” (a volte definite come casse premio, casse di skin, etc.).
Queste “casse”, contengono infatti oggetti di gioco casuali, qualche volta rari, più spesso comuni. Si tratta ovviamente di oggetti virtuali, come ad esempio armi, vestiti o equipaggiamento da utilizzare all’interno del gioco, ed in nessun modo esistente nel mondo reale. Un recente studio australiano[1] ha dimostrato come ci sia una evidente relazione tra l’uso di loot boxes, e lo sviluppo di problemi legati al gioco d’azzardo: più i giocatori spendono in loot boxes, più i problemi di gambling appaiono gravi.
L’analogia con i più conosciuti e classici giochi d’azzardo è evidente, poiché alla base di entrambi i fenomeni vi sono i cosiddetti “programmi di rinforzo”, tanto cari alla psicologia comportamentista.
L’aspetto forse più caratteristico, è che la dipendenza è rivolta a qualcosa di completamente immateriale, come per l’appunto degli oggetti virtuali, all’interno di mondi altrettanto virtuali.
Per una migliore comprensione di tutto, spiegherò come l’evoluzione dei videogiochi, abbia portato gli stessi ad essere più economicamente accessibili (free-to-play), oltre che più facilmente reperibili (vedi i Giochi sul telefonino, sui social network e browser game).
Spostando la nostra lente di ingrandimento sull’età media dei videogiocatori, ci renderemo facilmente conto, come spesso questi siano minorenni.
L’analisi desidera prima di tutto rendere evidenti quali siano i rischi più gravi per un pubblico così giovane, cui di fatto si stanno sottoponendo delle pratiche commerciali (le microtransazioni) assolutamente non adatte ad un pubblico così giovane, poiché assolutamente simili a quelle usate per i giochi d’azzardo, quindi capaci di causare comportamenti patologicamente rilevanti.
Un ulteriore obiettivo è quello di rendere noto ed approfondire un argomento assai poco conosciuto, eppure così tanto controverso, che solo di recente è stato affrontato da istituzioni e politica, seppure non ancora in Italia.
Evidenzierò inoltre come attualmente in Italia non vi siano in progetto degli approfondimenti su questo delicato tema.
Per ottenere questi obiettivi, saranno analizzate diverse ricerche e studi che hanno affrontato in dettaglio questo argomento. Racconterò inoltre le iniziative legali di alcuni stati, senza però dimenticare una analisi del modello di business che ha decretato il successo delle microtransazioni.
Il problema che c’è, ma non si vede
In una dichiarazione congiunta rilasciata da sedici autorità di regolamentazione del gioco d’azzardo[2], viene evidenziato come il vero problema del gioco d’azzardo nei videogiochi (online e non), sia la difficoltà di riconoscere lo stesso.
E’ infatti sempre più complesso individuare le differenze tra il gioco d’azzardo e altre forme di intrattenimento digitale come i “classici” videogiochi.
Secondo Neil McArthur, amministratore delegato del “United Kingdom Gambling Commission”, la quasi totale fusione delle due attività è un evento di evidente importanza pubblica, poiché spesso i consumatori non hanno i mezzi per poter distinguere tra azzardo e semplice videogioco.
E’ evidente come il pericolo sia amplificato dal pubblico a cui i videogiochi stessi, sono solitamente diretti: i minori.
Nonostante stati come il Belgio abbiano ufficialmente bandito le “loot boxes”, ed altri ancora (stati uniti, germania, regno unito, etc.) stiano affrontando la questione, moltissimi altri (tra cui l’Italia), non hanno attualmente in programma di affrontare il problema.
Sebbene la International Classification of Diseases (ICD-11), abbia posto il “gaming disorder” subito dopo il “gambling disorder”, i due disturbi sembrano ancora due patologie molto diverse.
Cos’è una lootbox
La definizione di wikipedia risulta essere perfettamente aderente alla maggior parte delle loot boxes. Reinterpreto il testo originale in inglese[3] : si tratta di un oggetto consumabile virtuale, che può essere ottenuto da un videogiocatore, in modo da ricevere un oggetto casuale tra i vari a disposizione nel gioco stesso. Questo oggetto virtuale, può avere un valore prettamente estetico (abbellendo il personaggio/avatar di gioco), oppure può influenzare in maniera significativa l’esperienza di gioco, aumentando ad esempio, il potere del personaggio controllato dal videogiocatore.
A questa definizione è importante aggiungere come le loot boxes possano essere ottenute al raggiungimento di determinati traguardi (oltre che acquistate).
Ad onor del vero, nonostante l’acquisto di loot boxes sia una pratica pressoché onnipresente, alcuni sviluppatori di videogiochi, e più in generale case produttrici, se ne tengono a debita distanza, a volte per scelta etica altre volte più per strizzare l’occhio ad una categoria di videogiocatori “esperti” (hardcore gamer: una sorta di purista del videogame), che non vedono di buon occhio questa pratica.
Usando un parallelismo tutt’altro che azzardato, le loot boxes sono dei gratta e vinci, dove solitamente si vince sempre qualcosa, che però è sempre virtuale.
La nascita del Free-to-play ed i “casual gamer”
L’introduzione delle loot boxes nei videogiochi, ha dato il via alla relativizzazione del concetto di videogioco inteso come semplice divertimento.
Se da un lato internet, giochi competitivi e relativi tornei con premi in denaro, hanno reso “più maturo” il mondo del videogame, dall’altro la maggiore facilità di accesso ai videogiochi ha creato un pubblico di videogiocatori completamente nuova.
Sto parlando proprio dei cosiddetti “casual gamer”, il cui opposto sono i cosiddetti “hardcore gamer[4]”.
Il termine deriva dai “casual game”, giochi tutt’altro che impegnativi, le cui regole sono solitamente molto semplici e con lo scopo di intrattenere senza troppe pretese (di tempo, impegno ed abilità).
I casual gamer sono una tipologia di video giocatori, nata soprattutto con l’affermazione di smartphone e tablet come piattaforme adatte al videogaming. Generalmente i casual gamer non hanno una vera e propria “cultura sui videogiochi”, considerando gli stessi come semplice passatempo per ingannare i tempi morti o per divertirsi in compagnia dei propri amici davanti al televisore. Con la nascita e diffusione dei cosiddetti giochi Free-to-play[5] (giochi gratuiti, senza costi d’acquisto iniziale), i casual gamer sono decisamente aumentati, avendo un più facile accesso ai videogiochi stessi, oltre che una più vasta scelta.
Spesso associamo in maniera esclusiva il termine free-to-play ai giochi da telefonino, come ad esempio il celebre “Angry Birds”, ma in realtà anche i browser game[6] e più in generale giochi da pc e console, godono spesso della formula di “accesso gratuito”.
Se quindi fino ad alcuni anni fa, giocare ad un videogame richiedeva l’acquisto di una consolle/computer, del videogioco stesso oltre che l’eventuale connessione internet a consumo per sfruttare la modalità multi-giocatore, oggi per giocare ad un videogame basta un cellulare connesso ad internet. Per questa ed altre ragioni sociali e tecnologiche (che per necessità di sintesi non approfondiremo), i casual gamer rappresentano oggi la fetta principale di mercato.
Nuovi modelli di business: free-to-play puri, ibridi ed impuri
In un rapporto completamente circolare, il mercato dei free-to-play ha favorito la diffusione dei “casual gamer”, che a loro volta, rappresentando la fetta più grande del mercato dei videogame, hanno fatto sì che molte case videoludiche sviluppassero modelli di business completamente fondati sui giochi ad accesso gratuito. Se da un lato le case videoludiche iniziano a rinunciare al più classico metodo di monetizzazione, ovvero l’acquisto del gioco stesso, la proposta di un gioco gratuito non impedisce delle strade di monetizzazione alternativa.
Nella ricerca di un modello efficace, le case videoludiche ricorrono quindi a contenuti aggiuntivi (DLC), espansioni[7] ed ovviamente alle loot boxes. In questo modo, spendendo piccole quantità di denaro all’interno del gioco, è possibile acquistare contenuti che possono migliorare l’esperienza di gioco.
Stiamo evidentemente parlando delle micro-transazioni, o dei micro-pagamenti, tanto care al World Wide Web, ed ampiamente utilizzate nei più disparati ambiti, tra cui ovviamente i videogiochi. Trattandosi di piccole somme di denaro, appare evidente come si debba puntare su “acquisti in massa”, per ottenere un vantaggio economico degno di nota.
Se un videogioco “classico”, richiede solitamente una spesa media di 50 euro per essere acquistato, una micro transazione può richiedere anche pochi centesimi. Un gioco gratuito dal canto suo, offre spesso un tempo di gioco limitato (numero di livelli, numero di vite ecc), che però può essere aumentato/sbloccato pagando somme spesso inferiori ad 1 euro.
Tali somme vengono raramente percepite come pericolose, al punto che l’utente difficilmente si renderà conto di star spendendo denaro, piuttosto ripeterà l’operazione senza doverci riflettere troppo. Questo modello, è lo stesso che ha permesso a giochi come Angry Birds di fatturare oltre 70 milioni di dollari (secondo lo stesso report di “Rovio”, la casa produttrice di Angry Birds). A questo punto è doveroso approfondire quali strade di monetizzazione siano percorse dalle case videoludiche. Attualmente i free-to-play possono essere grossolanamente suddivisi[8] in differenti sottocategorie, sulla base di come vengano integrate le microtransazioni nel sistema di gioco:
- Free to play “puri”: giochi totalmente gratuiti, dove l’intera esperienza di gioco non prevede acquisti o pagamenti in gioco (sicuramente i meno diffusi);
- Free to play “ibridi”: sicuramente i più diffusi, dove alcuni contenuti sono gratuiti ed altri a pagamento, senza che però questi contenuti a pagamento rendano sbilanciato il gioco, per esempio, avvantaggiando o rendendo più forte chi paga;
- Free to play “impuri”, detti anche pay-to-win: senza dubbio i più controversi, poiché puntano in maniera evidente alla monetizzazione a tutti i costi. In questi casi chi acquista ha solitamente un’esperienza di gioco sensibilmente differente, magari semplificata, nettamente in linea con la definizione “pay-to-win”, letteralmente pagare-per-vincere;
Uso ed abuso della psicologia comportamentale
Le microtransazioni in unione al modello free-to-play, hanno senza dubbio cambiato il mercato dei videogiochi. E’ importante precisare come le microtransazioni non vengano applicate ai soli giochi free-to-play, bensì anche ai videogiochi classici (quindi con un costo di acquisto iniziale). Ad oggi, sono davvero pochissimi i giochi che non presentino acquisti all’interno del gioco (in-game).
Il dibattito è quanto mai aperto, ma se è vero che in molti facciano la voce grossa nei confronti di microtransazioni e loot boxes, è altrettanto vero che rinunciare ad un mercato così fruttuoso, sarebbe economicamente un suicidio per le case videoludiche. Ma cosa rende così attraenti le loot boxes, quindi le microtransazioni per i videogiocatori.
Cosa rende così attraenti le loot boxes
La risposta è semplice, l’uso (ed abuso) dei programmi di rinforzo a rapporto variabile (e non solo), quindi dell’apprendimento tramite condizionamento operante. Come ampiamente Studiato da Skinner e Ferster, questo modello di apprendimento sfrutta la gratificazione dopaminica[9], che fornisce una ricompensa non prevedibile, quindi estremamente soddisfacente. Le loot boxes, offrono infatti come premio un oggetto di gioco la cui qualità e desiderabilità, sono completamente randomizzati, come in un gratta e vinci.
Quando l’oggetto è particolarmente raro, la dopamina fa il suo gioco, e come per qualsiasi dipendenza classica, ci richiede quell’esperienza nuovamente, per poter di nuovo godere di quella esperienza tanto emozionante quanto breve.
Un esempio molto attuale e conosciuto, sono i “Pacchetti di giocatori” del famoso gioco di calcio “Fifa”. Come in una specie di album delle figurine, acquistando pacchetti di carte, è possibile trovare dei giocatori più o meno rari, più o meno forti, con i quali giocare (avendo un evidente vantaggio in gioco), oppure rivenderli all’interno del gioco stesso, in cambio di monete virtuali. Queste loot boxes, rappresentate da “bustine di figurine”, sono ottenibili spendendo monete virtuali, che possono essere raccolte all’interno del gioco (giocando e vincendo partite), oppure acquistate con denaro reale, convertendolo di fatto in denaro digitale. E’ evidente come in questo caso, il videogiocatore, spinto da un programma di rinforzo a rapporto variabile, apprenda e riproduca questo comportamento per moltissime volte, anche in assenza del rinforzo stesso.
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Il tutto rappresenta un sistema assai diverso da quello dei giochi d’azzardo tradizionali (casinò, lotterie, etc.), dove è comunque previsto che qualcuno vinca parte del denaro speso dalla collettività per creare il montepremi del gioco. Nel caso delle microtransazioni invece, del denaro reale viene traslato in denaro virtuale, ma senza mai tornare reale.
L’efficacia dei programmi di rinforzo, è comprovata da moltissime ricerche fondamentali della psicologia comportamentale, e rappresentano un irrinunciabile base per tutti i giochi d’azzardo “classici”.
I programmi di rinforzo
Per poter procedere, senza addentrarci troppo, ci basterà conoscere il funzionamento dei 4 principali modelli di programmi di rinforzo.
Ma cosa si intende per rinforzo? Il rinforzo non è altro che uno stimolo, motivo per cui lo stesso può essere positivo o negativo. L’apprendimento tramite rinforzo, avviene quindi in due modi.
Il primo e più comune, è quello dove viene fornito un rinforzo positivo, dove in breve viene fornito un premio al compimento di una o più azioni.
Il secondo è un rinforzo negativo, dove viene “eliminato” uno stimolo avversivo (ad esempio una situazione di disagio). Nota Bene: il rinforzo negativo non è una punizione.
La punizione infatti, può essere data (punizione positiva), o perpetrata sottraendo una condizione positiva all’individuo (punizione negativa).
Ricapitolando.
Rinforzo positivo: un ratto assetato impara che premendo una barra riceve dell’acqua;
Rinforzo negativo: un ratto impara che premendo una barra cessa la scossa elettrica;
Punizione positiva: un ratto impara che se entra in un certo spazio della gabbia riceve una scossa elettrica;
Punizione negativa: un ratto impara che se tocca una certa leva la somministrazione del cibo viene interrotta;
Facendo quindi riferimento a quanto appena esposto, parlerò adesso dei 4 programmi di rinforzo “classici”.
Rapporto Variabile: Il rinforzo viene dato dopo un numero di risposte variabile.
Rapporto Fisso: Il rinforzo viene dato dopo un numero prefissato di risposte, a prescindere da quanto tempo sia passato dall’ultimo rinforzo.
Intervallo Variabile: Il rinforzo viene dato ad intervalli di tempo variabili e non prevedibili, indipendentemente dal numero di risposte emesse tra i rinforzi.
Intervallo fisso: il rinforzo viene fornito ad intervalli di tempo prefissati (per esempio ogni 30 secondi), indipendentemente dal numero di risposte emesse tra i rinforzi.
Programmi di rinforzo nei videogiochi
Moltissimi videogiochi fanno tesoro di tutto questo, sfruttando di fatto uno o più programmi di rinforzo.
Per una migliore comprensione, sarà utile un parallelismo tra i programmi di rinforzo e le loot boxes, per comprendere come questi meccanismi vengano di fatto integrati nei videogiochi.
Per una migliore comprensione, proporrò anche una analogia più comune.
Rapporto Fisso: ogni 10 loot boxes acquistate, sarà possibile ottenere 1 cassa extra gratuita. L’analogia più comune è quella dell’ottenere 1 pizza gratis ogni 10 acquistate;
Rapporto Variabile: il giocatore avrà il 4.5% di probabilità di ottenere un oggetto raro (secondo le meccaniche del gioco stesso). Lo stesso meccanismo delle slot machine.
Intervallo fisso: Ogni 10 ore di gioco, verrai premiato con 1 cassa gratis. Analogo al cinema scontato il martedì sera;
Intervallo Variabile: In maniera totalmente casuale, per variabili non prevedibili dal giocatore, lo stesso viene premiato ricevendo una loot boxes o un più generico bonus per il gioco. È il caso in cui troviamo un telefono occupato e riproviamo insistentemente, fino a quando il telefono non suona libero.
Gli studi che confermano la relazione tra acquisto di loot boxes e gioco d’azzardo
Analizzeremo a questo punto, un importante studio svolto dall’Australian Environment and Communications Reference Committee, presentato durante un’udienza pubblica tenutasi a Canberra a Settembre del 2018. Gli studi rappresentano lo sforzo dello stato australiano, con la quale vuole evidenziare il pericolo legato alle microtransazioni e casse premio (loot boxes). Lo studio è stato condotto su un campione iniziale di 14.182 videogiocatori, da cui si è poi arrivati ad un campione di 7.400 videogiocatori.
E’ importante sottolineare come nel campione non siano stati inclusi minorenni (per scelta).
Lo studio[10], ha raccolto informazioni su 3 aspetti: rapporto col gioco d’azzardo, comportamento di spesa verso le loot boxes ed altri acquisti all’interno del gioco.
Per evidenziare i comportamenti tipici dei giocatori d’azzardo, è stato usato il questionario del “Problem Gambling Severity Index (PGSI)[11]”, che tramite 9 item, ha lo scopo di evidenziare comportamenti tipici dei giocatori patologici, avuti negli ultimi 12 mesi.
Per raccogliere informazioni sul comportamento verso le loot boxes, sono state fatte 2 domande molto semplici: hai mai acquistato loot boxes? Se si, quanto spendi approssimativamente ogni mese (per le loot boxes)?
Infine, gli altri acquisti in gioco, sono stati valutati in modo analogo tramite altre 2 domande: hai mai fatto acquisti in gioco (escludendo le loot boxes)? Se si, quanto spendi approssimativamente ogni mese (per acquisti esterni alle loot boxes)?
Lo studio ha evidenziato come vi sia una evidente relazione tra acquisto di loot boxes e gioco d’azzardo. Più evidenti erano i comportamenti legati al gioco d’azzardo, maggiori erano i soldi spesi in loot boxes. Viene quindi evidenziato come le loot boxes, possano di fatto rappresentare un primo approccio al gioco d’azzardo. Lo studio suggerisce di vietare ai minori di 18 anni, i giochi con microtransazioni e loot boxes, proponendo quindi una migliore informazione per i genitori, dandogli inoltre la possibilità di riconoscere quei videogiochi che presentano tali rischi, ad esempio tramite delle etichette dedicate.
Un altro fattore di preoccupazione riguarda l’alta percentuale di corrispondenza tra gioco d’azzardo e loot boxes. La stessa percentuale di corrispondenza, è addirittura maggiore rispetto a quella che intercorre tra gioco d’azzardo problematico e l’abuso di alcool, droga e depressione. In poche parole, dai dati emersi, è più probabile che un giocatore d’azzardo sia dedito all’acquisto di loot boxes, piuttosto che all’uso di alcool. Ovviamente non ci è dato sapere se i videogiocatori che mostravano disturbi da gioco d’azzardo, fossero già precedentemente affetti da tale disturbo, o se piuttosto, lo stesso fosse derivato dalle loot boxes.
In ogni caso risultano molto evidenti gli elementi in comune, ed ovviamente questo studio non fa altro che evidenziarli con dei dati oggettivi.
I problemi che le loot boxes generano in maniera diretta o indiretta
Sempre più Nazioni e studiosi, hanno preso coscienza del reale pericolo patologico celato dietro le microtransazioni. Nonostante questo, solo di recente sono stati svolti studi su campioni di popolazione rilevante. Come abbiamo visto nello studio riportato poco sopra, gli elementi in comune con il gioco d’azzardo sono tanti, eppure ad oggi, sono pochi gli studi autorevoli che hanno analizzato in profondità la questione, lasciando ancora molti interrogativi, forse anche a causa del grande gap[12] tecnologico che divide spesso le istituzioni dalla problematica stessa.
Senza quindi nessuna presunzione scientifica, può essere utile fare il punto della situazione, evidenziando alcuni problemi che le loot boxes generano in maniera diretta o indiretta.
Porta d’ingresso al gioco d’azzardo
Il gioco d’azzardo è senza dubbio un male, ma lo è ancor di più se ad esserne colpiti sono dei minorenni, tutt’altro che pronti a gestire una tale condizione patologica.
Il tutto è spesso aggravato dal gap tecnologico di genitori, formatori scolastici, psicologi e pedagogisti, letteralmente incapaci di comprendere cosa in dettaglio stia causando il problema, colpevolizzando in maniera troppo generica “i videogame”, senza però cogliere le sfumature necessarie ad affrontare il problema in maniera efficace.
Problemi finanziari
Le loot boxes vanno solitamente acquistate tramite piccole spese, che proprio per questo il giocatore (o il genitore del minore) percepisce in modo meno evidente. Questi piccoli investimenti, possono causare gravi problemi finanziari per via della ricorsività cui spesso si va incontro. In maniera del tutto analoga al gioco d’azzardo, il videogiocatore ricerca in tutti i modi fonti di denaro per ottemperare al suo bisogno di nuovi acquisti, necessari a rivivere “l’emozione” derivante dall’apertura delle lootbox.
Truffe e pedofilia
Gli oggetti virtuali, sono ovviamente privi di fisicità, ma non per questo privi di valore. Ci sono infatti degli oggetti, ad esempio delle skin[13], che valgono migliaia di euro, poiché molto rare.
Tutto ciò apre le porte alla compravendita di oggetti di gioco con soldi reali, sfruttando solitamente canali non ufficiali, quindi assolutamente non controllabili. Le truffe nei confronti dei minori (e non) legate alla compravendita di oggetti virtuali, sono all’ordine del giorno, anche perché è facilissimo proporre un oggetto in cambio di un pagamento online. Ci sono perfino dei siti che permettono di “giocare in borsa”, sulla base dei valori delle stesse skin, o ancora, di simulare[14] l’apertura di loot boxes.
Altri siti che, come una sorta di “bisca clandestina”, permettono di “giocarsi” le skin, tramite aste e molti altri metodi: tutti rigorosamente presi in prestito dal “gioco d’azzardo originale”. Appare evidente come sia facile per un malintenzionato avvicinarsi ad un minore, promettendo oggetti difficilmente acquistabili per lo stesso, in cambio di dati personali, foto o qualunque altro oggetto auspicabile da persone tutt’altro che ben intenzionate.
Per un approfondire e comprendere meglio quanto detto fin qui, può essere interessante approfondire (tramite il DSM: Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), la definizione di “Disturbo da Gioco d’Azzardo (DGA)”.
La situazione politica: le reazioni dei Paesi
Nonostante la situazione politica sia in continua variazione, alcuni stati hanno già messo “nero su bianco” la loro volontà. L’Australia, nonostante l’impegno, ad oggi ha solamente generato delle “raccomandazioni ufficiali[15]” sull’argomento.
In Gran Bretagna il problema è stato appurato (e discusso[16]), eppure manca ad oggi una posizione chiara in proposito. Le loot boxes infatti non rappresentano per le leggi britanniche, un vero e proprio gioco d’azzardo, poiché prive di vincite in denaro: una vera e propria beffa!
Eppure, come visto alcune righe fa (all’interno del capitolo “Loot Boxes e gioco d’azzardo”), esiste il fenomeno della compravendita di oggetti di gioco tra privati o piattaforme esterne dedicate. Questa evidenza, potrebbe “chiudere le porte” alle loot boxes, poiché in questo caso gli oggetti di gioco verrebbero rivenduti in cambio di denaro reale, rendendo di fatto la questione legalmente inaccettabile per le leggi britanniche.
In Cina invece, il gioco d’azzardo è del tutto illegale, e proprio nel 2018[17], le loot boxes acquistabili con soldi reali sono state del tutto bandite, mentre sono tuttora presenti le loot boxes acquistabili con crediti di gioco. Tuttavia è stata presto trovata una scappatoia dalle case videoludiche. Se da un lato l’acquisto diretto di loot boxes con soldi reali è stato bandito, i giocatori possono comunque acquistare crediti virtuali del gioco. Le case videoludiche, hanno quindi deciso di “ricompensare” con casse regalo, i giocatori che acquistano crediti di gioco. Gli stessi crediti, sono spesso quasi inutili ai fini del gioco stesso, non permettendo di acquistare oggetti di gioco di importanza rilevante. Tutto questo appare come un evidente escamotage legale, che ha permesso alle case videoludiche di bypassare le barriere legali dello stato.
Il Belgio, risulta al momento lo stato sicuramente “più deciso” sulla questione. I belgi hanno infatti dichiarato completamente illegali le loot boxes, richiedendo di rimuoverle dai giochi stessi poiché illegali.
L’ESRB (L’Entertainment Software Rating Board), un gruppo che si occupa di classificazione dei videogiochi pubblicati nel Nordamerica, ha deciso di posizionare un bollino su ogni gioco che contiene microtransazioni, con lo scopo di renderli riconoscibili dagli altri (un grande aiuto per i genitori).
Anche gli Stati Uniti tentano di trovare una soluzione. Un tentativo recente è stato portato avanti dal Senatore Josh Hawley, che ha annunciato una legge che vieterebbe le loot boxes e le microtransazioni pay-to-win, nei giochi etichettati come “giocati da minori”. In questa etichetta di “giochi giocati dai minori”, il senatore avvisa saranno inclusi i videogame pensati per bambini sotto i 18 anni, oltre che più in generale i giochi in cui “gli sviluppatori permettono consapevolmente ai giocatori minori di effettuare microtransazioni.” Nei materiali per la stampa che annunciano la legge, il team di Hawley ha citato il gioco Candy Crush, definendolo un esempio eclatante di microtransazioni pay-to-win, in un videogioco giocato da minorenni.
Altri 15 stati (tra cui non figura l’Italia), hanno dichiarato di voler regolamentare con una serie di regole comuni, la gestione degli acquisti di oggetti virtuali in gioco (dichiarazione completa). Nel documento si identifica come il principale problema del fenomeno, sia la difficoltà di differenziare il gioco di azzardo “classico” dalle loot box nei videogiochi.
Ed in Italia? Ad oggi non ho trovato alcun dato sull’argomento, nonostante (ovviamente) le loot boxes siano completamente integrate nel mercato videoludico nostrano.
Conclusioni
Dagli studi evidenziati, risultano lampanti gli elementi in comune tra gioco d’azzardo e microtransazioni (utili ad acquistare loot boxes). Altrettanto evidente risulta la volontà delle case videoludiche di sfruttare fino in fondo questo meccanismo, sfruttando ogni cavillo burocratico in loro favore per monetizzare al massimo dai propri prodotti. Tutto ciò porta ad un mercato fortemente motivato a trovare nuovi modi per monetizzare tramite le microtransazioni, integrandole in modo sempre raffinato.
Un effetto collaterale di questi nuovi metodi di monetizzazione, è la creazione di videogiochi sempre meno completi, oltre che meno “strutturati”, così da dare la possibilità di espandere gli stessi, in un secondo o terzo momento tramite contenuti aggiuntivi a pagamento.
Sono tantissimi e molto diversi tra loro, i videogiochi che ad oggi integrano le microtransazioni, eppure tra questi titoli è sempre molto evidente la volontà di far percepire queste piccole spese accessorie come divertenti, oltre che parte del gioco stesso (anziché un elemento opzionale o secondario al gioco stesso).
In realtà tutto ciò segue semplicemente le logiche di un mercato globale, dove le microtransazioni sono alla base di molti business.
Che si tratti di servizi digitali, di prodotti a basso prezzo acquistati su e-commerce asiatici o ancora prodotti di consumo acquisti in maniera ricorsiva, il mercato si sta evidentemente spostando nella direzione degli abbonamenti e delle microtransazioni: ovviamente meglio se insieme. E’ importante evidenziare come la familiarità alla microtransazioni non sia connessa ai soli videogiochi, bensì a moltissime applicazioni web, mobile e più semplicemente per Pc (per tutti gli OS). Tornando alla questione videogiochi, ad oggi il mercato legato alle microtransazioni, supera di gran lunga quello della vendita dei videogiochi stessi. Molte case videoludiche rivelano (in maniera più o meno velata), come le microtransazioni siano per loro irrinunciabili, oltre che la principale fonte di guadagno. Uno studio svolto da “Superdata”, evidenzia l’impatto economico delle microtransazioni, dimostrando come i guadagni delle case videoludiche derivino soprattutto dagli acquisti di prodotti digitali in-game.
Fenomeni collaterali come lo “skin gambling”, denotano invece come lo stesso fenomeno sia in continua ed imprevedibile evoluzione.
Per concludere, appare evidente come sia inaccettabile per l’Italia non considerare assolutamente un problema di tale impatto sociale. Un contatto così profondo e diretto di minori con il gioco d’azzardo, richiede degli interventi immediati da parte degli organi competenti, oltre che una regolamentazione unica a livello Europeo, soprattutto (ed in maniera assolutamente urgente) nel confronto dei minori.
Note
- Zendle D, Cairns P (2018) Video game loot boxes are linked to problem gambling: Results of a large-scale survey. PLoS ONE 13(11): e0206767. ↑
- Di cui 15 Europee (Austria, Repubblica Ceca, Francia, Gibilterra, Irlanda, Isola di Man, Jersey, Lettonia, Malta, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Spagna, Regno Unito) ed 1 Americana, il “Washington State Gambling Commission” ↑
- […] a consumable virtual item which can be redeemed by players of video games to receive a randomised selection of further virtual items within the game which may be merely cosmetic or may influence the game more significantly by manipulating the player’s in-game power. Testo originale ↑
- Il cui contrario è il cosiddetto “Hardcore Gamer”, una sorta di cultore del videogame, più attratto dall’aspetto competitivo del videogioco, alla ricerca di sfide impegnative che possano soddisfarlo, ha probabilmente giocato a moltissimi giochi, è tutt’altro che un videogiocatore alle prime armi, ed è tendenzialmente appassionato al mondo del videogioco nella sua totalità. ↑
- Per un approfondimento sui giochi Free-To-Play rimando a questa ricerca ↑
- Videogioco giocabile via Internet tramite un qualsiasi browser, connettendosi al rispettivo sito web. ↑
- Per espansioni si intendono dei capitoli aggiuntivi alla storia del gioco principale, che possono avere lo scopo di espandere la trama stessa, o da fungere come delle sorte di spin-off del gioco principale. In ogni caso, richiedono solitamente di possedere anche il gioco principale. ↑
- Fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Free-to-play ↑
- Fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Sistema_di_ricompensa e http://www.gambling.it/bulletin-2014-3/137-neurobiologia-del-condizionamento-operante-dopamina-apprendimento-e-disturbo-da-gioco-d-azzardo ↑
- Video game loot boxes are linked to problem gambling: Results of a large-scale surveyZendle D, Cairns P (2018) Video game loot boxes are linked to problem gambling: Results of a large-scale survey. PLOS ONE 13(11): e0206767.↑
- La stessa SNAI (celebre portale di scommesse online) permette ai propri clienti di usarlo, per valutare la loro dipendenza dai giochi d’azzardo.↑
- Termine diffuso nell’uso internazionale con il sign. di «divario, dislivello»; ad es. gap generazionale (cioè, tra due generazioni successive, e quindi anche tra genitori e figli, per quanto riguarda le idee, il comportamento, il modo d’intendere e affrontare la vita, ecc. (fonte Treccani); ↑
- Le skin sono una sorta di “vestiti virtuali”, applicabili ad oggetti di gioco. Ad esempio, una skin, può essere applicata ad un’arma di gioco, modificandone il colore o la forma. ↑
- Esistono molti siti che simulano l’apertura di loot boxes, per fornire una sorta di “illusoria” ebrezza del momento di apertura, cui spesso si riesce difficilmente a rinunciare ↑
- Fonte https://www.ign.com/articles/2018/11/27/australian-senate-report-recommends-comprehensive-review-of-loot-boxes ↑
- United Kingdom Gambling Commission, Pagina 63, 7-8, paras 3.17-3.18. 72 ↑
- People’s Republic of China, Ministry of Culture of the (中华⼈民共和国⽂化部), Notice of the Ministry 85 of Culture on Regulating the Operation of Online Games and Strengthening Concurrent and Ex-Post Supervisions (⽂化部关于规范⽹络游戏运营加强事中事后监管⼯作的通知) (in Chinese, Beijing, China, 1 December 2016, effective 1 May 2017) accessed 5 October 2018. ↑