Mentre si avanza nella lotta per i diritti e contro le disuguaglianze di genere, persiste un “malessere”, inteso sia come “male di vivere” sia come figura prototipica, espressa dall’uomo maschilista e violento protagonista di molti video su TikTok.
Il tipo del “malessere” su TikTok rappresenta una narrazione complessa, dove misoginia, ironia e brandizzazione convergono, richiedendo un’attenzione critica.
Fanno da contesto i dati reali della violenza di genere, raccolti dai centri antiviolenza, e le testimonianze degli operatori del settore, in un’ottica di esplorazione di un sistema culturale complesso, che si articola in maniera multiforme tra online e offline.
Il “malessere” come trend social
Le relazioni affettive, ai tempi dei social media, sono narrate dagli stessi protagonisti. In particolare sono i giovani della GenZ, la generazione dei nati dopo il 2000, i maggiori produttori e consumatori di contenuti su TikTok (Doyle, 2022), a raccontarci direttamente le loro esperienze e le loro aspettative. I video rappresentano per lo più gag ironiche, talvolta piccole riflessioni, e tanti balletti e canzoni che riflettono sia il loro contesto culturale sia un dialogo con le generazioni precedenti.
Secondo l’ultimo report “Digital 2024” elaborato da We are social[1], TikTok è la social media app su cui le persone in Italia trascorrono più tempo, con 32 ore e 12 minuti al mese di ascolto.
Tra i trend che si sono diffusi nel panorama mediatico spicca il “malessere”: un tipo maschile prepotente, eccessivo, patologicamente geloso, violento, tossico (e per questo irresistibile) (Arvidsson, 2024). Il “Malessere” è un fenomeno emerso con grande impatto a seguito della serie TV “Mare Fuori”, si è diffuso nella cultura mediatica popolare, ponendo la questione dello stato attuale in tema di percezione delle disuguaglianze, di rivendicazione dei diritti e di affermazione delle soggettività (Butler, 1990), come successo per altre tematiche, negli studi di femminismo e social media (Harvey, 2023).
Il tema della violenza sulle donne e delle disuguaglianze
Esaminiamo quindi i tratti di questo fenomeno facendo riferimento ai dati digitali delle piattaforme, procediamo con un’analisi culturale, anche sostenuti dai dati istituzionali sulla violenza sulle donne, del Ministero dell’Interno e dei Centri Antiviolenza.
Il tema della violenza sulle donne continua a non essere abbastanza dibattuto nel discorso pubblico, vivendo momenti di concitazione in occasione di femminicidi e stupri esemplari che finiscono sulle prime pagine dei giornali, ma non ricevono un riscontro sostanziale nei contributi organizzativi ed economici istituzionali per il suo contrasto. La lotta alla violenza sulle donne nel nostro paese rimane un’azione relegata al terzo settore e spesso al volontariato totale. «Nonostante i dati relativi ai finanziamenti appaiano positivi, i centri antiviolenza sopravvivono nonostante da parte delle istituzioni manchi un approccio che riconosca il loro valore, così come delle loro attività di accoglienza e prevenzione» dichiara Antonella Veltri, presidente D.i.Re[2] – Donne in Rete contro la violenza.
Da un lato il discorso sulla parità dei generi e sull’antiviolenza si diffonde in alcune enclave culturali della società italiana, ma dall’altro il controcanto del “malessere” sembra rappresentare quella frangia reazionaria, che fa eco a molti discorsi governativi “anti-gender”, ovvero contrari alla ridefinizione dei ruoli di genere nella società in una vera ottica egualitaria, e piuttosto tendenti a ribadire lo status quo come unica prospettiva di diritto.
Il tema delle diseguaglianze trova storicamente la sua applicazione sul corpo delle donne, sia in forma metaforica e di rappresentazione, sia in forma fisica e sessuale. Ad esempio, la teoria della sessualizzazione (Fredrickson, Roberts, 1997) ha messo in luce come la costante oggettivazione sessuale delle donne nei media possa contribuire a una cultura che giustifica la violenza sessuale.
Come fa notare Harvey (2023, p.37): «nei dibattiti sulla sessualizzazione mediatizzata del corpo femminile emergono interrogativi in merito agli effetti potenziali di tali contenuti, soprattutto in considerazione della loro pervasività, e circa la relazione tra questa rappresentazione e problemi sociali che spaziano dalla violenza sessuale alle molestie sul luogo di lavoro, fino a disturbi del comportamento alimentare, scarsa autonomia o altri problemi legati al corpo di adolescenti e donne». Una delle conseguenze è che la rappresentazione delle donne come oggetti sessuali può ridurre l’empatia verso le vittime di abusi e aggressioni, aumentando viceversa la tolleranza verso tali comportamenti. Inoltre, l’oggettificazione sessuale condiziona lo sguardo che le donne hanno su se stesse, inducendole a interiorizzare la prospettiva di un osservatore esterno come principale censore sull’agire e sull’aspetto fisico. Questa prospettiva sul sé può portare a un monitoraggio costante del corpo, a sua volta incrementando le occasioni di provare vergogna e ansia, riducendo i picchi motivazionali e la consapevolezza degli stati corporei interni (Fredrickson, Roberts, 1997).
Il problema della definizione del genere
Si pone così nuovamente il problema della definizione del genere in un contesto di relazioni di potere diseguali, incorrendo in pericoli reali quanto più ci si discosta dal binarismo di genere e dalla eteronormatività. Infatti, come già notava Butler (1990), il genere e la sessualità sono processi dinamici, ed è attraverso la ripetizione della performance, e non partendo da verità essenziali sui corpi, che derivano le convinzioni su quali siano i comportamenti maschili o femminili appropriati.
Metodologia dello studio
Lo studio ha applicato tecniche miste quantitative e qualitative (Amaturo, Punziano, 2016), unendo dati dell’etnografia digitale (Caliandro, Gandini, 2021) del social media TikTok, analisi del contesto (Caputo, 2017b) e dati dei centri antiviolenza.
Con l’etnografia digitale, utilizzata per osservare e analizzare i contenuti pubblicati su TikTok, sono stati selezionati video che trattano temi legati al “malessere” e alle relazioni affettive, focalizzandosi su quelli che citano o sono influenzati dalla serie televisiva “Mare Fuori”.
TikTok è una delle piattaforme di social media più popolari, soprattutto nella popolazione giovanile. Creato nel 2016 come Douyin per il mercato cinese, principalmente per permettere ai suoi utenti di caricare video di danza di 15 secondi e contenuti in playback, dal suo lancio internazionale nel 2017, è stata la piattaforma di social media in più rapida crescita di sempre, utilizzata per una varietà di contenuti più ampia rispetto a qualsiasi altra. TikTok incoraggia l’associazione attraverso funzionalità che promuovono la creazione di contenuti congiunti. Questo porta prevalentemente a thread su argomenti specifici, estetiche, affetti e identità, invece che a legami sociali tra gli utenti. Attraverso l’associazione personale e la mimesi, TikTok svolge un ruolo significativo nell’auto-creazione e nella costruzione dell’identità (Stahl, Literat, 2023). I suoi contenuti sono stati definiti come “testi memetici” che elevano i meme “al livello dell’infrastruttura della piattaforma” grazie alle loro specifiche affordances (Zulli, Zulli, 2020; Di Donato, 2023).
Etnografia digitale
I metodi digitali considerano la natura e le affordances dell’ambiente digitale e abbracciano la logica di internet, applicandola alla raccolta, all’ordinamento e all’analisi dei dati (Caliandro, 2017).
I profili sono stati selezionati attraverso l’impiego di un campionamento mirato (Amaturo E, 2016), applicando il principio “follow the users” (Caliandro A, Gandini A, 2019), e la prospettiva del “machine habitus” (Airoldi, 2023; Luise, 2024), che considera gli individui come aventi un rapporto attivo con i sistemi algoritmici che regolano i prodotti e i profili esplorati, e che interpreta il codice di TikTok come co-prodotto della cultura dominante diffusa.
I profili selezionati
I profili selezionati (69) sono di uomini, donne, e coppie eterosessuali, di età apparente compresa tra i 20 e i 30 anni.
Si è proceduto ad una distinzione analitica di questi casi, sulla base delle loro caratteristiche manifeste in: 1) profili individuali maschili o femminili (75%), 2) profili di coppia (12%) e 3) profili commerciali (13%).
Figura n°1: Tipi di profili
La distribuzione di genere di questi profili è composta da maschi per il 49%, femmine per il 38%, coppie eterosessuali per il 13%.
Figura n°2: Profili ripartiti per Genere
La differenza tra profili personali e commerciali è definita dall’orientamento esplicito alla vendita, mentre si evidenzia un processo trasversale di brandizzazione (Arvidsson, 2005) dei content creator: l’uso di trend, la ricerca della viralità algoritmica, l’attitudine performativa, la riproduzione di scenette singole o di coppia.
Tra gli utenti maschi, la maggioranza riproducono il prototipo del “malessere” per stile estetico e narrativo, ricorrono spesso a approcci ironici o esplicativi, per spiegare il fenomeno o per schernire alcune caratteristiche peculiari.
La rappresentazione delle dinamiche relazionali su TikTok
La rappresentazione delle dinamiche relazionali, nei video, propone storie intime di vita di coppia, momenti quotidiani, in auto, in casa, per strada, nei negozi e pure in camera da letto. I partner si filmano nelle attività quotidiane, mentre si danno baci, si preparano per uscire, in alcuni video viene simulato l’atto sessuale, talvolta senza dialoghi ma solo con musica trap di sottofondo. Spesso è presente una componente ironica o comica, con scene che hanno lo scopo esplicito di divertire, riproponendo situazioni talvolta esagerate o al limite dell’assurdo. Ma non sempre il limite tra serietà e ironia è ben marcato, e alcuni contenuti lasciano il dubbio di normalizzare comportamenti pericolosi, coprendo con l’ironia l’accettazione di violenze e abusi (Truda, 2020).
Si rappresentano i litigi, le manifestazioni di gelosia, con modalità accese, talvolta aggressive e finanche violente, spaziando dal tema della violenza economica alla possessività.
La costruzione dell’identità “malessere” sui profili maschili
I video di profili maschili ruotano intorno alla costruzione dell’identità “malessere”, fondata su caratteristiche estetiche come il taglio di capelli, lo stile di abbigliamento e la prestanza fisica, fattori della desiderabilità sessuale. Nel video 4[3], il ragazzo si specchia e si sistema il taglio dei capelli e poi mostra il proprio corpo. Si riprende il trend, già presente in “musical.ly”, di lip-sync su canzoni del proprio artista preferito, di musica trap e rap tra cui spiccano cantanti della scena napoletana come Geolier, Enzo Dong, Luchè.
Nei video femminili, con l’hashtag malessere, sono ricorrenti espressioni di desiderio[4] per il tipo-malessere, ovvero per un ragazzo possibilmente napoletano, geloso, possessivo: si dichiara apertamente di volere il malessere. In altri video si rappresentano dialoghi con le amiche per raccontare le esperienze con il “malessere”.
Nei profili di coppia si raccontano scene quotidiane della vita a due. Nel video 1[5] di coppia “Kekko-Manu” si racconta un topos ricorrente: la ragazza mostra i nuovi vestiti e il fidanzato li straccia gridando “che rè stu cos? stracc stu cos! straccia! jamm a vrè! mo mittatil accusì!” (che cos’è questo? Straccia, straccia questo coso, vediamo un po’, ora mettittelo così [rotto]). Questo tipo di dialogo si svolge a seguito di un acquisto di abiti ritenuti dal partner troppo scollati, troppo corti. Nel video 2[6] della coppia “Kekko-Manu” l’uomo è nuovamente contrariato da come la compagna si veste, le intima di restare a casa perché vestita in maniera inopportuna: “ma tu esci accus’? ma quan maj cagnt, t’ei cagnà” (ma tu esci così? ma quando mai, cambiati, devi cambiarti).
Il trend “questo posso farlo?”
Similmente, un trend di contenuti si chiama “questo posso farlo?”: la ragazza chiede al fidanzato che cosa possa o non possa fare in sua assenza, e alla maggior parte delle richieste il partner risponde negativamente. Il video di Melania[7] si chiama “cose che mi farebbe fare il mio ragazzo”: “Posso dormire da una mia amica? Farmi prestare la felpa da un ragazzo, postare una foto in costume, andare a ballare con le mie amiche, baciare a stampo un mio amico, andare a una festa ed ubriacarmi con dei ragazzi, andare a cena con un mio amico, uscire con una mia amica e due ragazzi, fare una vacanza tra amiche, andare a mare con le mie amiche”. Le risposte sono tutte negative.
Nei video di coppia emerge talvolta un’ agency femminile (video 8[8]) altrettanto violenta, in cui la donna in parte subisce e legittima la propria subordinazione e in parte riflette e ripropone i comportamenti aggressivi del partner.
La narrazione della violenza in chiave ironica
La narrazione della violenza è spesso posta in chiave ironica, riproponendo canovacci stereotipati da commediola o sitcom, in cui i rapporti di coppia riproducono clichè dei ruoli e dei rapporti di potere patriarcali .
Il linguaggio è colloquiale, spesso sboccato e volgare, poco “politically correct”.
I profili commerciali includono content creator che sponsorizzano un esercizio commerciale o la propria attività in ambito dell’industria culturale, ed artisti che hanno avuto successo proprio grazie al tema del malessere. La cantante Fabiana ha spopolato con 2,6 milioni di visualizzazioni su TikTok con la canzone “M’piace o’ malesser”, in seguito altri cantanti hanno cavalcato l’onda del trend, tra cui Matteo Paolillo e Guè, Tony effe, Baby gang.
Sono presenti profili commerciali di negozi, dal “barbiere del malessere”, video 6[9], che taglia i capelli secondo lo stile preciso dell’identikit del malessere, trend rivendicato come bene comune anche da altri barbieri; negozi di vestiti che vendono abbigliamenti da “malessere” e anche il “malessere kids”, video 7[10], per bambini malesserini da 0-16 anni. Si profila una strategia di marketing legata al trend, con negozi di cosmetica che utilizzano come slogan pubblicitario: “per piacere al tuo malessere utilizza questo prodotto”.
Nell’analisi dei dati abbiamo osservato, attraverso una panoramica generale, le dinamiche relazionali della generazione Z nel contesto ibrido napoletano tra vita offline e TikTok. Si pone il problema di come le rappresentazioni in campo estetico e culturale possano legittimare un ordine simbolico, culturale ed economico dominante anche in ottica intergenerazionale.
La produzione culturale sulla piattaforma TikTok include stereotipi classici della cultura napoletana e del sud Italia (Ferraro, 2019). Tra questi, emergono figure come l’uomo brutale, possessivo e violento, che, nonostante questi tratti, o forse proprio per essi, risulta attraente per alcuni utenti. La musica neomelodica e trap/rap napoletana fa da colonna sonora alla vita quotidiana, spesso rappresentando i malesseri e le difficoltà vissute dai giovani. L’ironia è un elemento frequentemente presente, in linea con le affordances della piattaforma (Marino, Surace, 2023) ma anche con una visione macchiettistica della cultura napoletana, dove ogni evento, anche il più sventurato, è affrontato con un sorriso (Ferraro, 2019).
“Malessere” su TikTok: misoginia, ironia e brandizzazione
Nel fenomeno del malessere, sulla piattaforma Tiktok, vediamo convergere quindi tre aspetti delle rappresentazioni mediali delle relazioni della GenZ: l’insieme tra misoginia, ironia e brandizzazione. Uno degli stereotipi più evidenti è quello dell’uomo brutale e violento, fenomeno che può essere collegato alla persistenza di modelli patriarcali e maschilisti nella cultura italiana, riprodotti e amplificati dai media digitali. La misoginia si manifesta attraverso la perpetuazione di stereotipi di genere e la rappresentazione delle donne come oggetti di desiderio o come figure subordinate. L’ironia viene utilizzata per attenuare l’impatto di questi messaggi, rendendoli più accettabili e condivisibili. La brandizzazione (Arvidsson, 2005), infine, riguarda l’uso di questi contenuti per costruire un’identità online e ottenere visibilità e successo sulla piattaforma.
I dati istituzionali e la cultura della violenza di genere
I dati dell’EIGE (2023) mostrano l’aumento dei femminicidi e della violenza contro le donne in Italia: ogni tre giorni una donna viene uccisa dal proprio compagno o marito (Ministero dell’Interno, 2024). L’indagine ISTAT (2023) conferma che i livelli di violenza fisica e sessuale non mostrano significativi miglioramenti rispetto agli anni precedenti, con stupri, tentati stupri e violenze fisiche che continuano a verificarsi con frequenza costante. La bassa partecipazione delle donne italiane al mercato del lavoro è un altro fattore che si interseca con la violenza di genere. Secondo i dati Eurostat (2022), il tasso di occupazione femminile in Italia è uno dei più bassi dell’Unione Europea, con solo il 53% delle donne in età lavorativa attivamente impiegate, situazione ulteriormente aggravata da condizioni lavorative spesso precarie e irregolari.
Il ruolo dei centri antiviolenza
I centri antiviolenza svolgono un ruolo fondamentale nella raccolta e nell’analisi dei dati sulla violenza di genere, offrendo supporto alle vittime e fornendo un quadro istituzionale del fenomeno. Durante la pandemia Covid-19, le disuguaglianze di genere si sono acuite a livello globale (GGGR, 2023), con un aumento significativo del rischio di violenza domestica. In Italia, i centri antiviolenza hanno registrato un incremento delle richieste di aiuto. La rilevazione ISTAT (2021) delle telefonate al numero antiviolenza 1522 durante il lockdown ha evidenziato un aumento del 73% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, indicando una maggiore esposizione al rischio per donne e minori e uno scenario di violenza spesso nascosto e sommerso.
Questa ricerca mette in evidenza il ruolo chiave dei centri anti-violenza e del terzo settore in Campania, per spezzare il vincolo della violenza di genere in famiglia.
La cooperativa E.V.A.
Un caso rilevante è quello sulla cooperativa E.V.A., che opera in Campania con quattro sedi e numerose case d’accoglienza e sportelli di ascolto. La cooperativa E.V.A. ha dimostrato l’efficacia di interventi situati e reticolati nel contrasto alla violenza di genere, sia essa economica, psicologica o fisica. Nel 2022, l’86% delle donne accolte dalla cooperativa aveva 40 anni, figli, un livello di istruzione medio-basso e svolgeva lavori irregolari; la maggior parte dei maltrattanti era italiana. E.V.A. ha sviluppato progetti specifici per promuovere l’autonomia e l’indipendenza economica delle donne, come Le Ghiottonerie di Casa Lorena, EvaLab e La Buvette di Eva, focalizzati sull’inclusione lavorativa e culturale, e su un modello di economia etica e sostenibile.
Il monitoraggio annuale delle beneficiarie della cooperativa E.V.A. mette in luce le disuguaglianze intersezionali (legate all’età, all’etnia, alla provenienza, ecc.) e riflette l’andamento nazionale sul tema della violenza di genere. In un contesto italiano dove il sistema di welfare è spesso inadeguato nel sostegno alle disuguaglianze e alla genitorialità (Caputo, 2017a), la forma organizzativa dell’impresa sociale (Borzaga, 2009) rappresenta una traiettoria efficace per promuovere l’empowerment femminile, facilitando l’accesso al mercato del lavoro e contrastando la violenza di genere. Come riportato da un’operatrice della cooperativa: “Sono donne che hanno bisogno di sapere che non sono sole e che c’è chi crede in loro e nella possibilità che possano farcela, che non è mai troppo tardi per riprendere la propria vita in mano!”. Progetti come quelli della cooperativa E.V.A. hanno aiutato oltre 200 donne a trovare un’occupazione stabile e sicura negli ultimi cinque anni.
I centri antiviolenza in Italia svolgono un ruolo cruciale nel supporto alle vittime di violenza di genere, fornendo assistenza legale, psicologica e sociale (oltre 50.000 donne assistite in tutta Italia nel 2021, secondo D.i.Re, 2022).
Le sfide affrontate dai centri antiviolenza
Tuttavia, affrontano diverse sfide nel loro operato quotidiano.
Molti centri antiviolenza dipendono da finanziamenti pubblici e privati che spesso sono insufficienti per coprire tutte le necessità. Le risorse limitate possono influenzare la capacità di fornire servizi completi e continui. Secondo un rapporto della Commissione Parlamentare sul Femminicidio (2022), solo il 30% dei centri antiviolenza riceve fondi sufficienti per operare efficacemente tutto l’anno. L’aumento delle richieste di aiuto, soprattutto durante la pandemia, ha messo sotto pressione le risorse umane dei centri. Molti operatori lavorano oltre le ore previste, affrontando stress e burnout.
Le barriere culturali e sociali che impediscono alle donne di cercare aiuto
Persistono barriere culturali e sociali che impediscono alle donne di cercare aiuto. La paura di stigmatizzazione e la mancanza di fiducia nel sistema legale scoraggiano molte vittime dal denunciare. L’indagine ISTAT (2021) ha rilevato che il 67% delle donne che subiscono violenza non denunciano per paura delle conseguenze sociali e familiari. La violenza domestica è spesso considerata un problema privato, e le vittime temono di essere giudicate colpevoli per la loro situazione. Lo stigma è particolarmente forte in contesti culturali dove prevale una visione tradizionalista del ruolo delle donne . Alcuni studi (Yodanis, 2004) indicano che lo status educativo e occupazionale delle donne in un paese è correlato alla prevalenza della violenza sessuale contro queste. Nei paesi in cui lo status delle donne è basso, la prevalenza della violenza sessuale tende ad essere più alta.
Molte donne temono che le forze dell’ordine non diano adeguato peso alle denunce o che non possano essere protette adeguatamente dopo aver denunciato (Jordan, 2004). Sussistono inoltre pressioni familiari e delle comunità a rimanere in relazioni violente per mantenere l’onore familiare o per il bene dei figli, o seguendo norme tradizionali di genere per cui le donne debbano essere sottomesse agli uomini, impedendo alle vittime di riconoscere la violenza come un’ingiustizia e cercare aiuto.
Gli operatori del Punto Luce[11], servizio educativo che opera nelle periferie in Campania, riportano l’abitudine dei ragazzi a filmarsi mentre assumono comportamenti violenti, e che trovano nel successo sulla piattaforma una loro legittimazione.
La corrispondenza tra la narrazione dei video di Tiktok e le esperienze reali
Le psicologhe dei centri antiviolenza della cooperativa E.V.A, riportano una corrispondenza tra la narrazione dei video di Tiktok e le esperienze reali vissute dalle donne accolte dai centri: elementi della gelosia, di relazioni “tossiche”, di disuguaglianza di genere, che sono caratteristiche diffuse della cultura maschilista e patriarcale e sono trasversali ad ogni strato della società.
Secondo le operatrici della Cooperativa E.V.A,, la diffusione del trend, sia in ottica performativa/estetica, sia come fenomeno di costume, rappresenta un esempio pericoloso per la generazione Z, ed è un fenomeno trasversale a tutte le classi sociali, ma emerge con maggiore impatto nelle zone di marginalità sociale. Diverse forme di violenza contro le donne sono trasversali. La violenza contro le donne basata sul genere è un fenomeno strutturale e diffuso che assume molteplici forme più o meno gravi: dalla violenza fisica a quella sessuale, dalla violenza psicologica a quella economica, dagli atti persecutori come lo stalking fino alla eliminazione stessa della donna (Istat, 2024).
Discussione dei risultati
La fruizione di TikTok tra i giovani della generazione Z si sviluppa soprattutto nella creazione di uno spazio dove condividere le proprie esperienze personali, fungendo sia da valvola di sfogo sia da luogo per trovare supporto emotivo e dialogo con i pari. L’aspirazione a far diventare virali i video, la partecipazione attiva tramite i commenti, lo scambio di video anche tramite messaggi privati, raccontano un tessuto di interattività molto forte. I social media, e TikTok in particolare, prendono parte di un sistema in cui si creano o si allargano immaginari esistenti, che possono influenzare anche percezioni o esperienze delle relazioni affettive, soprattutto tra i maggiori utilizzatori come i giovani. Gli effetti emotivi possono variare, tra un maggior senso di comunità o di isolamento. Un aspetto del fenomeno del “malessere” napoletano su TikTok, rappresenta uomini aggressivi, misogini e possessivi, riflette una narrazione di cosiddetta “mascolinità autentica”, e che sembra essere preferita da una parte della società italiana, estranea ai movimenti femministi.
D’altra parte, il “malessere” può essere inteso non solo come prototipo di uomo, ma in senso più esteso: molti video mostrano contenuti che trattano temi di disagio, solitudine e tensioni nelle relazioni affettive, riproducono situazioni di gelosia, possessività e violenza. Il “malessere” napoletano rappresentato su TikTok riflette una più ampia tendenza, in cui le difficoltà emotive e sociali sono messe in scena e condivise pubblicamente. La prevalenza di rappresentazioni ironiche o comiche non hanno un significato univoco, rischiano talvolta di normalizzare comportamenti pericolosi e violenti, e di legittimare atteggiamenti di abuso e subordinazione.
Il contesto politico e sociale in cui ci muoviamo oggi in Italia, espresso dai dati dei centri antiviolenza, segnato da un aumento delle segnalazioni di abusi e maltrattamenti in Italia, è un quadro poco rassicurante.
Se il supporto dei servizi offerti dai centri antiviolenza offre strumenti protettivi per le donne che vogliono vincere il vincolo della violenza domestica, sussistono processi culturali che ancora le ostacolano. Infatti negli ultimi anni in Italia si registrano spinte contraddittorie sul tema delle disuguaglianze di genere. Insieme alla rete di attivisti e associazioni che promuovono la valorizzazione delle differenze e l’adempimento delle pari opportunità, coesiste l’ala reazionaria espressa nella cultura di destra governativa (Prearo, 2023) (e.g. comitati “pro-vita” che ostacolano il diritto di aborto, ecc). Emerge una cultura patriarcale diffusa tra uomini e donne che, come mostrato negli studi sui social media (Volpato, 2022) e manifestato nel fenomeno degli “Incel” (Dordoni, Magaraggia, 2021), mette a rischio il percorso fatto dalle donne in termini di avanzamento di diritti, di affermazione della soggettività e di libertà. Nonostante l’implementazione delle norme a tutela della sicurezza delle donne e il diffondersi di una sensibilità collettiva, manca un forte investimento sulla prevenzione. Inoltre manca una riflessione collettiva su quanto la violenza di genere sia direttamente collegata alla disuguaglianza di genere: essa deriva da una disparità di potere strutturale determinata culturalmente, che rimarca il dominio maschile (Bourdieu, 1998) ed è la causa della sottomissione delle donne ai propri partner (Casalini, 2018).
Conclusioni
Mentre siamo in un’epoca di avanzamenti in campo di diritti e diseguaglianze di genere, persiste il controcanto del “malessere” come tipo di uomo maschilista e violento, testimoniato dai fatti di cronaca ma anche da rappresentazioni sui social media. Profili maschili, femminili e di coppia mostrano dinamiche relazionali che riflettono stereotipi di possessività e controllo, talvolta normalizzando la violenza attraverso l’ironia.
La confluenza di misoginia, ironia e brandizzazione nella cultura digitale di TikTok riflette una complessità culturale e sociale che richiede un’attenzione critica. La produzione culturale su TikTok, seppur ironica, può contribuire a perpetuare stereotipi di genere e a legittimare dinamiche di potere diseguali, sottolineando la necessità di interventi educativi e culturali che promuovano una maggiore consapevolezza e rispetto nelle relazioni affettive.
Ne è risultata una composizione del discorso sulla cultura patriarcale mediatica ed una narrazione della condizione di discriminazione e violenza subita dalle donne, in una realtà complessa di cambiamenti culturali a più facce, e a diverse velocità.
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