virtual reality

Mondi virtuali: cosa rende davvero immersiva l’esperienza degli utenti



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La tecnologia ha permesso di creare ambienti virtuali sempre più coinvolgenti, tanto da mettere in discussione la percezione stessa della realtà. Il nostro corpo digitale si muove e interagisce in questi mondi, ricreando esperienze sensoriali molto realistiche. Come gli utenti vivono queste esperienze, l’importanza della co-esperienza e come superare l’effetto uncanny valley

Pubblicato il 21 dic 2023

Chiara Cilardo

Psicologa psicoterapeuta, esperta in psicologia digitale



metaverso

Le tecnologie che consentono di modificare il modo in cui percepiamo e ci rapportiamo alla realtà portano l’interazione uomo-macchina ad un livello di complessità senza precedenti: si parla di realtà estesa, l’insieme di ogni forma di tecnologia di realtà virtuale, aumentata e mista, ovvero tutta la gamma possibile di interazioni tra e con gli ambienti digitali (Rauschnabel, 2022).

Studiate ed applicate in molte aree, come istruzione, assistenza sanitaria e intrattenimento, da un lato facilitano e potenziano azioni e compiti, dall’altro creano scenari inediti di interazione con l’ambiente. Pensiamo alle applicazioni per i virtual try-on, la prova virtuale dell’abbigliamento come in un camerino digitale, oppure in ambito sanitario a sistemi di feedback olfattivo che riescono a riprodurre odori (Liu et al., 2023). Molte aziende, come Microsoft, Apple e Meta, stanno investendo in queste tecnologie per la creazione di dispositivi avanzati come HoloLens e Oculus che migliorino ancora di più usabilità, comfort e qualità e profondità di interazione; per gli utenti, esperienze mediate da questi dispositivi hanno caratteristiche ben precise (Xi et al., 2023; Rauschnabel, 2022).


Le diverse forme di mondi virtuali

Realtà estesta (extended reality, XR) è un termine cappello che include realtà aumentata (augmented reality, AR), realtà virtuale (virtual reality, VR), realtà mista (mixed reality, MR) e rappresenta qualsiasi esperienza prodotta da tecnologie che generano, alterano o modificano la realtà, per esempio aggiungendo elementi digitali all’ambiente fisico in qualsiasi misura e formato; la “X” rappresenta l’idea di inclusione di una varietà di formati di realtà digitale, anche in prospettiva quelli che saranno sviluppati nel prossimo futuro.

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Secondo la visione classica e comunemente ritenuta valida dalla letteratura (Milgram et al., 1995), realtà e virtuale procedono lungo un continuum: ad un polo troviamo l’ambiente reale privo di elementi virtuali; al polo opposto, l’ambiente totalmente virtuale. Per Milgram et al. (1995), la ‘realtà mista’ combina reale e virtuale in qualsiasi sua forma, quindi include AR e VR. Se la realtà virtuale è immersiva, è un mondo in cui l’utente è svincolato dalla realtà fisica per vivere un’esperienza del tutto simulata, quella aumentata, grazie ad appositivi dispositivi specializzati in grado di rilevare molti parametri e dimensioni (ad esempio tracciamento oculare), permette l’aggiunta o l’eliminazione di elementi dall’ambiente (Rauschnabel, 2022). A seconda delle specifiche, può essere definita “realtà ridotta” quando gli oggetti fisici sono esclusi dalla percezione dell’utente, quando cioè la tecnologia li “cancella” dal mondo reale; o ancora “realtà assistita” quando aiutano l’utente a ottenere una migliore comprensione dell’ambiente fisico, come testato per esempio nell’ambito museale con l’integrazioe di sistemi di AR che fanno vivere ai visitatori un’esperienza coinvolgente, interattiva e multisensoriale (Silva e Teixeira, 2021).

La percezione di sé virtuale: il digital embodiment

A prescindere dal grado di commistione di reale e virtuale, gli utenti fanno valutazioni sulla base di aspettative e motivazioni: banalmente, se lo scopo dell’utente è immergersi nell’esperienza di gioco, maggiore sarà la componente simulata dell’ambiente e maggiore sarà la qualità percepita.

Ma c’è un attributo in particolare che media l’esperienza dagli utenti: il digital embodiment, l’incarnazione digitale, cioè l’illusione che la propria controparte virtuale, l’avatar, stia sostituendo il corpo, come se ne fosse un’estensione. Sentirsi insomma fisicamente all’interno di un ambiente virtuale

La percezione di sé è un aspetto fondamentale nella valutazione degli ambienti virtuali e può variare a seconda dell’azione da compiere come, per esempio, quando si tratta di simulare movimenti motori fini (scrivere o suonare uno strumento), che richiedono alti livelli di autopercezione. Inoltre, l’immedesimazione dell’utente si rafforza all’aumentare del controllo percepito (Carrozzi et al., 2019), cioè il livello di padronanza che gli utenti sentono di avere quando si trovano a dover fare qualcosa.

Non tutto si può replicare e di solito vengono utilizzate anche tecniche indirette per imitare alcune azioni, come l’eye tracking per selezionare oggetti a distanza se gli oggetti vengono visualizzati fuori dalla portata del braccio. Infine, una particolare forma di interazione nell’ambiente virtuale è la locomozione: se in AR ci si muove fisicamente attraverso l’ambiente, nella realtà virtuale si possono usare specifici movimenti dei controller per procedere, anche perché di solito ci si muove in uno spazio limitato come una stanza (Rauschnabel, 2022). Dato che i processi cognitivi rappresentano l’interazione tra strutture cognitive e azioni che compiamo nel e sul nostro ambiente circostante, una forma interattiva di gestione dello spazio, come appunto in realità virtuali, riesce a produrre quella che viene definita cognizione estesa, extended cognition (Smart, 2017).

Le proprietà dell’esperienza degli utenti

Il realismo deve riflettere non solo la propria fisicità. Gli utenti si aspettano che oggetti e altre persone si comportino analogamente a come farebbero nel mondo reale. La credibilità percepita aumenta man mano che vengono rafforzate alcune caratteristiche: in primo luogo, la presenza locale, cioè il grado in cui gli oggetti virtuali sembrano effettivamente presenti; la telepresenza, ovvero quanto un utente si sente presente nell’ambiente virtuale piuttosto che in quello fisico; ancora, quanto può interagire con l’ambiente, quindi l’interattività; e, in ultimo, la percezione complessiva, ovvero tutti quegli elementi (risoluzione, dimensionalità, qualità della grafica, campo visivo, ecc.) che caratterizzano l’esperienza nel suo insieme (Rauschnabel, 2022). Anche la presenza di altri utenti, ompresenza o co-esperienza, consente una forma di interazione più simile a quelle del mondo reale (Carrozzi et al., 2019) a patto però, anche in questo caso, che le rappresentazioni siano il più realistiche possibile: soprattutto i segnali di comunicazione non verbale, come movimenti della testa e degli occhi, sono particolarmente rilevanti. In generale, quanto più ambiente, oggetti, interazioni sono simili a quelle del mondo reale, tanto più l’utente riporta l’esperienza virtuale come soddisfacente.
Tuttavia, se gli elementi digitali devono essere verosimili per apparire credibili, c’è un limite oltre il quale finiscono per generare sentimenti di straniamento, inquietudine e repulsione.

L’effetto uncanny valley

Queste sensazioni spiacevoli vengono definite effetto uncanny valley. Presentato per la prima volta nel 1970 dallo studioso di robotica Mori, l’effetto uncanny valley rappresenta la nostra risposta emotiva nelle interazioni artificiali: quanto più l’interlocutore ci somiglia, tanto più avremo una percezione positiva; ma quando il livello di somiglianza supera una certa soglia, la piacevolezza si tramuta in sensazioni negative come smarrimento, fastidio e disorientamento; l’estremo realismo genera ancora oggi turbamento (Rauschnabel, 2022). Non abbiamo ancora superato questo effetto: mondi virtuali sì, ma che siano ancora distinguibili da quelli reali.

Bibliografia

Carrozzi, A., Chylinski, M., Heller, J., Hilken, T., Keeling, D. I., & de Ruyter, K. (2019). What’s mine is a hologram? How shared augmented reality augments psychological ownership. Journal of interactive marketing, 48(1), 71-88.

Liu, Y., Yiu, C. K., Zhao, Z., Park, W., Shi, R., Huang, X., … & Yu, X. (2023). Soft, miniaturized, wireless olfactory interface for virtual reality. Nature Communications, 14(1), 1-14.

Milgram, P., Takemura, H., Utsumi, A., & Kishino, F. (1995, December). Augmented reality: A class of displays on the reality-virtuality continuum. In Telemanipulator and telepresence technologies (Vol. 2351, pp. 282-292). Spie.

Mori, M. (1970). The uncanny valley: the original essay by Masahiro Mori. IEEE Spectrum, 6.

Silva, M., & Teixeira, L. (2021). eXtended Reality (XR) experiences in museums for cultural heritage: A systematic review. In International Conference on Intelligent Technologies for Interactive Entertainment (pp. 58-79). Cham: Springer International Publishing.

Smart, P. (2017). Extended cognition and the Internet: A review of current issues and controversies. Philosophy & Technology, 30, 357-390.

Rauschnabel, P. A., Felix, R., Hinsch, C., Shahab, H., & Alt, F. (2022). What is XR? Towards a framework for augmented and virtual reality. Computers in human behavior, 133, 107289.

Xi, N., Chen, J., Gama, F., Riar, M., & Hamari, J. (2023). The challenges of entering the metaverse: An experiment on the effect of extended reality on workload. Information Systems Frontiers, 25(2), 659-680.

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