Siamo entrati in un mondo fisico-cibernetico, dove i meccanismi di interazione tra componenti fisiche e digitali inducono forme di controllo delle seconde sulle prime. Di qui deriva l’ispirazione wieneriana (Wiener, 1989) dell’espressione mondo-fisico cibernetico, attualmente messo a dura prova dalle concomitanti crisi pandemica, sanitaria, climatica, energetica).
Al centro dell’attenzione di tutta l’umanità è infatti, consapevolmente o meno, l’enorme e crescente quantità di flussi informativi, prodotti da dispositivi computazionali ubiquitari, attraverso cui l’umanità possiede informazioni che vanno dall’infinitamente piccolo della scala sub-atomica a quella astronomica.
Verso un mondo cyber-fisico? Com’è iniziato e cosa sta accadendo
Parafrasando Koyrè (2000), “dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande” significa che si è aperta una nuova fase nella storia umana, caratterizzata da enormi potenzialità, insieme a rischi non meno rilevanti: la conoscenza approfondita dei secondi è fondamentale per cogliere e sviluppare le prime.
Nel perseguire questo obiettivo il presente contributo, primo di una serie, passa in rassegna alcuni degli aspetti essenziali del funzionamento della sfera digitale, che circonda e permea il mondo fisico, per cui i flussi informativi sono espressione e al tempo stesso in grado di influenzare i processi fisici.
Nel primo paragrafo sono mostrate evidenze relative alle grandi asimmetrie economico-finanziarie che contraddistinguono l’odierno assetto socioeconomico mondiale, che vede protagonisti i Techno-Giants, dotati di un potere esorbitante. Nel secondo sono illustrate le fonti di questo potere, mentre nel terzo sono esaminati alcuni dei meccanismi fondamentali che lo generano e sostengono.
Le grandi asimmetrie socioeconomiche del mondo fisico-cibernetico
Le notizie apparse su quotidiani internazionali confermano appieno una considerazione di Leena Nair, responsabile delle risorse umane di Unilever (150.000 occupati): “Uno degli insegnamenti più importanti di questo periodo per me è che siamo tutti nella stessa tempesta, ma non sulla stessa barca” (MGI, 2021).
Come darle torto? Mentre tutto il mondo era alle prese con gli effetti distruttivi della pandemia sul piano sanitario e socioeconomico, la tabella sulle dieci persone più ricche del mondo al Marzo 2021, riportata da Visualcapitalist, evidenzia come la crisi pandemica abbia svolto quasi una funzione acceleratrice della crescita della ricchezza.
È interessante notare che, nella lista, sei su dieci siano personalità di assoluto rilievo nel panorama delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione (ICT) a livello mondiale (Bezos, Gates, Zuckerberg, Ellison, Page, Brin), con tassi di crescita annuali al sopra del 30%, tranne Bill Gates, che si avvicina solo a quella soglia, ma certo non è da considerare più povero per questo. Non è peraltro da escludere che suoi investimenti di medio-lungo termine non gli consentano tassi di crescita ancora maggiori.
La ricchezza degli esponenti del mondo delle ICT è evidentemente espressione di quanto sta accadendo in quella vera e propria sfera illimitata di attività immateriali, la cui influenza sui processi reali sembra aumentare in modo esponenziale, specie durante l’evento pandemico. Come infatti afferma il New York Times, quella in atto sembra una vera e propria “tempesta perfetta positiva”[1], dal momento che i ricavi complessivi dei magnifici cinque (Amazon, Apple, Alphabet, Microsoft, Facebook) sommano a circa 1,2 trilioni di dollari, con un incremento del 25% rispetto all’inizio della pandemia. Tutti insieme vendono in una settimana più di McDonald in un anno.
L’espressione “tempesta perfetta positiva” è di Thomas Philippon, professore di economia finanziaria alla New York University, che ha sottolineato come un trend di ripresa fosse in atto da prima, in seguito alla crisi del 2007-2008. La pandemia deve aver svolto la funzione di potente acceleratore, che ha anche beneficiato gli investitori finanziari, in quanto i valori di borsa dei Big Five sono saliti a ritmi tali da farli sembrare “quasi invincibili”.
Dal nostro punto di vista, è più appropriato definirli Techno-Giants, perché performance così brillanti sul piano economico-finanziario non possono essere il frutto solo di innovazioni tecnologiche di successo, ma fo derivano da peculiari modelli di business, che è opportuno analizzare.
Un altro dato significativo: Amazon mostra la performance più brillante, con un tasso di crescita delle vendite del 44% nel quarto quadrimestre del 2020 e un più che raddoppio dei profitti lordi (8,9 miliardi di dollari). L’espansione dell’attività di Amazon è stata imponente nell’erogare sia servizi per il mondo del business (+32% la domanda di cloud computing), sia, soprattutto durante la pandemia, una serie di servizi tradizionali, diventati “insostituibili”, quali: intrattenimento, comunicazione, acquisti. Occorre peraltro mettere in rilievo il fatto che il trend positivo riguarda anche società tecnologiche “più giovani” come Snap e Zoom, che offrono servizi per la comunicazione su web.
Siamo quindi in presenza di global player che, operando già come “moligopoli”[2] in uno scenario competitivo globale, hanno estremamente amplificato la loro forza di attrazione verso consumatori e mondo del business.
Non è quindi incomprensibile il motivo per cui, nel mondo fisico-cibernetico, in quasi tutti i Paesi crescano le pressioni, pubbliche e private, per il contenimento della sfera di azione dei Techno-Giants. Anzi, come afferma Shira Ovide (sempre nel NYT del 21-4-2021), rispondendo alla domanda “perché i Big Tech sono sotto attacco?”, con una sola parola: il potere che esercitano.
Le grandi piattaforme parlano direttamente ai cittadini ed è preoccupante che un gruppo ristretto di manager tecnologici, non eletti, abbia un enorme potere: è giusto che Google, Facebook e Twitter siano de facto dipartimenti di Stato, con l’autorità di decidere se seguire le repressive speech law o combatterle?[3]
Qual è quindi la fonte di questo potere nel mondo fisico-cibernetico? Quali sono le ragioni del suo successo?
Perché i Techno-Giants hanno successo: i modelli di business
Le ragioni del successo dei Techno-Giants sono da trovare nel loro peculiare modello di business, che sfrutta al meglio alcune caratteristiche essenziali della infrastruttura materiale e immateriale che pervade il mondo fisico-cibernetico.
Esaminiamo quattro ingredienti fondamentali del modello, creato per particolari obiettivi-capisaldi, perseguiti con tecniche di notevole acume strategico e cognitivo.
Il primo può essere individuato nell’imperativo sotteso al funzionamento delle grandi piattaforme: “la verità di parte del contenuto è meno importante del fatto che esso sia condiviso e monetizzato” (Solon, 2016). Prendendo ad esempio Facebook, più che “connecting people”, sintesi della sua dichiarata mission, l’obiettivo perseguito dai Techno-Giants è l’engagement degli utenti, stimolato con una metrica (like, emoticon, ecc.), che attrae e quindi genera quasi spontaneamente l’espansione iperbolica del tempo personale dedicato al dispositivo mobile e allo spazio virtuale in generale.
Come ha affermato durante un workshop nella Silicon Valley Tristan Harris, ex product manager di Google (Cooper, 2017), lo scopo è attrarre “la nostra attenzione”, mediante meccanismi che esaltino la nostra esperienza di desiderio e piacere. Le “esche digitali” (clickbaits), con cui l’utente interagisce e che si abitua a utilizzare assiduamente, servono al fine di catturare il suo tempo per make money. Come ha chiarito, nel corso dello stesso workshop, il programmatore Ramsay Brown, sono gli inserzionisti a pagare per usare Facebook, I singoli utenti lo usano gratis perché in vendita ci sono I loro “bulbi oculari”, ovvero il loro tempo e la loro attenzione.
Il secondo obiettivo del modello, più o meno consapevolmente perseguito, è innescare, nella forma di overload informativo, che in questo modo si riversa sulle persone, un processo auto-generato di feedback cumulativi e generalizzati.
Per questa via si origina una sorta di “race to the bottom”, che tende a ridurre e forse annullare il ruolo e la funzione dei media tradizionali: i meccanismi competitivi sono tali da limitare l’attenzione ai contenuti, facendo leva su meccanismi che richiedono meno tempo per apprendere e al tempo stesso suscitano emozioni. L’introduzione e la diffusione dei social bot, sistemi di algoritmi in grado di generare contenuti e interagire con umani, emulandone in qualche modo il comportamento (Menczer et al. 2016), contribuisce all’innesco e moltiplicazione di feedback cumulativi in grado di “schiacciare” la riflessione ponderata, spiazzata dalla reattività immediata e massiva con i clickbait.
Il terzo obiettivo è quindi incentivare l’auto-selezione da parte degli utenti: sono loro stessi “il filtro informativo”. Le scelte individuali divengono Il contenuto e l’attrazione del consumatore di informazioni, essendo messe al centro delle strategie delle corporations e dei creatori di contenuti: le aziende e i creatori dei contenuti hanno voluto fin dall’inizio rendere il loro contenuto più coinvolgente possibile. (Gabe Zichermann, creatore di contenuti per dozzine di società della Silicon Valley, citato in Solon, 2016).
Come non essere attratti da similarità esperienziali, emotive e valoriali in un mondo fisico-cibernetico dove la velocità di reazione sembra essere diventata il motore primo della vita socioeconomica. Non deve quindi sorprendere il fatto che una recente ricerca metta in evidenza come che il 36% degli americani abbiano Facebook come primaria fonte di informazione (Pew Research Center, 2021).
Il punto di arrivo delle strategie operative dei Techno-Giants, coerenti con i capisaldi del loro modello di business, è quello di tenere le persone profondamente avvinte in un ambiente fortemente interattivo, apparentemente senza limiti spaziali e temporali. Queste forme di assorbimento della personalità, la cui attenzione è catturata in modalità profonde e tendenzialmente permanenti, sono basate non sulla passività individuale degli agenti, bensì su strutture interattive molto dinamiche, che hanno una peculiarità: indipendentemente dalla condizione individuale, chiunque può diventare e sentirsi protagonista di eventi e processi, in quanto legittimato automaticamente dall’esistenza di una infrastruttura globale “accogliente” e amplificatrice.
Per comprendere come tutto questo sia possibile, è necessario cercare di rispondere alla prima domanda sul mondo fisico-cibernetico: quali meccanismi sono messi in atto per favorire questa dinamica, il cui fine generale è generare profitto?
Mondo fisico-cibernetico: i meccanismi di potere delle piattaforme
In questo primo contributo, prendiamo in esame alcuni meccanismi basilari.
Occorre mettere in evidenza, come fanno Selinger e Frischmann (2016) che l’overload informativo delle piattaforme, insieme alla facilità con cui si può reagire, mediante facili e veloci click, spinge ciascuno ad alimentare flussi di dati e informazioni.
Questi ultimi, infatti, nel caso sono catturati e amplificati, nel caso di Facebook, dal News Feed Algorithm (d’ora in poi NFA), che fa leva sulla nostra inconsapevole propensione a creare intorno a noi quella che Pariser (2011) chiama “filter bubble”, una vera e propria bolla informativa, cioè un universo informativo personalizzato, costruito mediante la raccolta e sistematizzazione mirata di tutti i click effettuati, a seconda delle emozioni (piacere, rabbia, idionsincrasie, ecc.).
Nel mondo fisico-cibernetico, gli algoritmi impiegati dai Techno Giants sono progettati in modo tale che l’espressione delle nostre, libere o indotte, componenti emozionali si trasformano in schemi di riferimento stabili, consolidati dalle sequenze di associazioni algoritmizzate. Facebook ha sollevato obiezioni alla teoria di Pariser con uno studio del suo team, pubblicato su Science (Bakshy et al., 2015), dove l’analisi dei flussi di dati concernenti 10,1 milioni di utenti di Facebook, politicamente auto-dichiarati, si conclude con la tesi che sono le scelte selettive delle persone e non gli algoritmi a generare le tendenze all’omogeneità informativa e la scarsa propensione a “esporsi a prospettive diverse dalle proprie” (in gergo cross-cutting content).
L’ipotesi della filter bubble è quindi infondata? Pariser (2015a, 2015b) ha risposto immediatamente con alcune obiezioni tecniche alla ricerca, che ha impiegato metodi impeccabili sul piano formale, ma ha trascurato due problemi di fondo:
1) l’algoritmo di newsfeed accentua ed amplifica l’aspetto della ricerca di supporto alle proprie inclinazioni e ai propri punti di vista, restringendo così il campo visuale dell’utente;
2) al tempo stesso, però, viene trascurato un’altra componente cruciale: gli algoritmi tendono a declassare il tipo di media più necessari alla democrazia, notizie e informazioni sui temi sociali più importanti (Pariser, 2015b).
L’effetto dei filtering algorithm di Facebook non è quindi minimamente messo in discussione, anzi esula dall’indagine che pure osserva i canoni scientifici standard. Rimane un problema di fondo, che è in effetti molto più complesso di quanto sembri e non si può ridurre solo alle fake news, come argomenta Garrettt (2016), dal momento che nei social network le emozioni si diffondono con modalità estremamente contagiose (Kramer et al., 2014).
Kramer et al. mostrano, infatti, come piccoli mutamenti informativi, determinano grandi variazioni di percezione collettiva in seguito all’amplificazione algoritmica, che peraltro agisce in un contesto virtuale, dove è forte la tendenza intrinseca agli umani verso la ricerca di elementi che rafforzano la propria identità (Garrett, 2016), la quale è a sua volta precostituita sulla base delle esperienze pregresse e delle credenze-convinzioni maturate.
È superfluo sottolineare come in un mondo fisico-cibernetico segnato dalla pandemia il contagio emozionale (emotional contagion) sia destinato ad assumere forme esasperate e imprevedibili. Che la questione sia importante, unitamente a quella del rafforzamento dell’identità politica e culturale, ma crescono segnali di trend peggiori, lo dimostra indirettamente la stessa Facebook, che ha cambiato il NFA nel 2019, discusso e valutato tutto sommato positivamente da numerosi esperti, alcuni dei quali intervengono in Mullery (2021). Sempre Facebook ha comunque iniziato una serie di test per future modifiche del NFA (Perez, 2021).
In sostanza, quindi, è fondato ritenere che, nel mondo fisico-cibernetico in cui viviamo, i sistemi algoritmici delle piattaforme generano un overload informativo, che al tempo stesso limita l’accesso a informazioni rilevanti, con il rischio di predisporre il terreno per progetti distorsivi dei processi decisionali, sia a livello individuale che collettivo.
Esiste inoltre un altro fattore che favorisce la dinamica appena descritta, ovvero il fatto che l’ubiquità dei dispositivi mobili di “information processing” hanno generato una “deeply personal extension of the self” (Schklovski et al., 2014), modificando la concezione del proprio “spazio personale”, ovvero del confine intorno a una persona, la cui intrusione è spesso scomoda e generalmente non ammessa (Altman 1975, cit. in Shklovski).
Altman definisce inoltre il concetto di “territorio comportamentale” come un luogo o un oggetto che soddisfa certi bisogni o motivi e dove la proprietà è chiaramente trasmessa attraverso qualche forma di personalizzazione (Shklovsky et al., 2014: 2348). La pervasività dei dispositivi computazionali modifica radicalmente lo spazio personale e il “territorio comportamentale”, come mostra un rilevante ammontare di studi analizzati in Shklovski et al., 2014), determinando squilibri di potere tra individui, individui e istituzioni, individui e entità organizzate. Non si tratta, quindi, solo di erosione della privacy, bensì di una più complessa dinamica, che investe trasversalmente molti ambiti della vita socioeconomica, ben sintetizzati dal concetto di contesto, inteso come ambiente sociale strutturato, caratterizzato da attività canoniche, ruoli, relazioni, strutture di servizio, norme (o regole) e valori interni (obiettivi, fini, scopi) (Nissembaum, 2010: 132).
I dispositivi mobili modificano l’ampiezza dello spazio personale, perché costituiscono di fatto “un’estensione del corpo” di chi prende decisioni (Shklovski et al., 2014), permettendogli, grazie alla tecnologia che amplia i confini del sé, di intercettare l’ignoto nella zona tradizionalmente off limits dello spazio strettamente personale.
Sorge a questo la possibilità che il contesto, inteso come ambiente sociale strutturato à la Nissenbaum, perda la sua integrità. L’’integrità contestuale è infatti definita in termini di norme informazionali: è preservata quando le norme informazionali sono rispettate e violata quando le norme informazionali sono violate (Nissenbaum, 2010: 140). Le norme informazionali sono quelle che riguardano la trasmissione, comunicazione, distribuzione e disseminazione delle informazioni. L’integrità contestuale viene meno quando per ignoranza o intenzionalmente quelle norme sono disattese o trascurate (Shklovski et al., 2014).
Le tecnologie digitali rendono molto arduo il compito di tutela del rispetto dell’integrità contestuale, cioè delle norme che strutturano le varie dimensioni delle attività umane, alla luce dei fenomeni estremamente diffusi, quali ad esempio: 1) Data leakage (trasmissione a terzi di dati senza informare gli interessati, Lin e Loui, 2012). 2) Tracking (raccolta sistematica d dati e profilazione degli utenti). 3) Targeting (politiche di marketing mirate in base alla personalizzazione dei flussi informativi).
In tale quadro, il venir meno delle barriere che impediscono l’invasione della privacy rende molto concreto il pericolo di perdere il controllo della propria vita, con effetti tali da pregiudicare l’autonomia e la dignità personale.
Il che è una logica conseguenza del fatto che di fatto, nel mondo fisico-cibernetico, pensiamo e agiamo in “algorithmic social systems” (Hosanagar e Miller, 2020: 107-110), al cui interno operano i sistemi algoritmici dei Techno Giants e il NFA di Facebook.
Per comprendere appieno gli effetti di quest’ultimo, secondo Hosanagar e Miller, bisogna considerare l’interazione di tre fattori: 1) quali sono i nostri amici e quali nuove storie condividono. 2) Quali di queste nuove storie l’algoritmo seleziona e sceglie. 3) Su quali nuove storie noi stessi effettuiamo il click.
Il primo e il terzo sono da considerare alla base della filter bubble, ma resta vero che l’algoritmo influisce sull’esposizione a contenuti più o meno eterogenei rispetto all’identità precedentemente costituita delle persone. Lo studio del team di Facebook, prima citato, mostra che nell’universo indagato l’effetto filtro dell’algoritmo è più contenuto di quello esercitato dall’autoselezione delle persone, ma l’effetto amplificatore e quindi di marcato orientamento del sistema algoritmico non è messo in discussione, per cui è legittimo dedurre che, comunque lo si guardi, il fenomeno della polarizzazione informativa e dell’orientamento selettivo appare indubbio.
La complessità dei fattori in gioco (componenti personali, ricerca individuale di similarità, algoritmi) rende molto ardua l’attività di ricerca in questo campo, come confermano Hosanagar e Miller (2020), con risultati che dipendono dal modello adottato e da come vengono condotti gli esperimenti. Un’ampia analisi, sviluppata su tutta una serie di canali e strumenti operativi sui social (aggregazione di notizie, motori di ricerca, riferimenti diretti, ecc.), conferma però che la stragrande maggioranza del consumo di notizie online ha imitato le tradizionali abitudini di lettura offline, con gli individui che visitano direttamente le home page dei loro punti vendita di notizie preferiti, tipicamente mainstream (Flaxman et al., 2016: 318).
In definitiva, gli algoritmi accentuano ed esaltano le tendenze umane alla ricerca di affinità “elettive”, emozionali, contenutistiche in genere.
La complessità dei fattori in gioco rende problematica l’analisi dei processi, condizionata dai contesti specifici di indagine (musica, news, temi socioeconomici, ecc.), per cui i “recommendation systems” algoritmici possono avere effetti differenti, anche se è indubbio che essi perseguono la similarità di contenuti e favoriscono il cosiddetto “popularity-biased tool”, cioè l’indirizzamento verso prodotti già popolari (Fleder e Hosanagar, 2009).
Il punto di arrivo provvisorio di questo primo contributo di una serie sul mondo fisico-cibernetico è allora il seguente: entrati in un mondo basato su sistemi sociali algoritmici, le piattaforme digitali sono diventati motori propulsivi della dinamica interattiva, a sua volta alimentata da una molteplicità di fattori, individuali e collettivi, non tutti controllabili e conosciuti. La complessità evolutiva, che ne consegue, non permette di individuare immediatamente strumenti che possano rimediare alla situazione che si è venuta a creare. È però indubbio che siamo in un contesto strutturato in modo tale da generare insostenibili asimmetrie di potere, ricchezza e potenzialità cognitive.
I temi e le questioni da affrontare sono ancora molti e per approfondirli è assolutamente necessario adottare una visione sistemica multi-livello, che può favorire la comprensione di come funzionano meccanismi e disegni operativi posti in essere da tutte le tipologie di agenti presenti nel mondo fisico-cibernetico.
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- Shira Ovide, New York Times, “A Perfect Positive Storm: Bonkers Dollars for Big Tech”, 29-4-2021 ↑
- Il concetto di moligopoli è formulato da Petit (2016 Technology Giants, “The ‘Moligopoly’ Hypothesis and Holistic Competition: A Primer”, WP, LCII, Liege Competition and Innovation Institute) ↑
- Il riferimento è ovviamente alla chiusura del sito personale di Trump dopo l’esito elettorale e alla vera sfida che Twitter ha lanciato al Governo indiano, rifiutandosi di chiudere siti considerati sedi di incitamenti alla sovversione. ↑