A differenza che in passato al sistema dei musei e Beni culturali è oggi richiesto di motivare la propria esistenza e il costo per la collettività.
Gli operatori del settore devono confrontarsi con obiettivi chiari e misurabili. Devono fare i conti col numero dei biglietti venduti, dei follower sui social media, con l’incasso da merchandising, l’affitto spazi, l’indotto che generano, l’interesse degli sponsor, il crowdfunding, il crowdsourcing, etc.
Le parole d’ordine della trasformazione dei musei
Le parole d’ordine in questa trasformazione sono:
- misurazione d’impatto (economico, sociale, culturale, ambientale…),
- attrazione di nuovi pubblici (Audience Development),
- sviluppo del rapporto col pubblico esistente (Audience Engagement),
- proposta di Esperienze e Gamification, tutto questo per trasformare sempre più i visitatori in protagonisti.
Perché se si vuole uscire dal pubblico tradizionale, interessato ai contenuti in quanto tali, sempre meno assiduo e di età crescente, occorre proporre nuove ragioni di visita. Per i visitatori il tempo da dedicare a un Museo è alternativo allo shopping o al breve corso per fare la pizza, nulla di necessario e solo una scelta possibile tra ciò che l’Italia offre, e se non può essere raccontato come esperienza non merita attenzione. L’esperienza diventa la via d’accesso privilegiata al contenuto.
Il digitale per una diversa trasmissione di senso
Queste nuove categorie di visitatori e turisti non sono attratti da una struttura a Roma o a Palermo solo perché lì c’è qualcosa da ‘vedere’ ma piuttosto perché c’è qualcosa da ‘fare’. Privilegiano la relazione alla fruizione, l’interazione alla contemplazione. Una volta si tornava a casa raccontando quello che si era visto, magari con foto e diapositive, oggi si racconta in tempo reale sui social quello che si fa e con chi lo si fa. Dunque valgono gli incontri, più dei luoghi.
Per assecondare questa diversa trasmissione di senso si usano contenuti e tecnologie digitali in grado di interagire con i visitatori già nella fase di pre-visita quando, ad esempio, possono verificare le proprie aspettative e sedare le ansie studiando le recensioni e i percorsi di Google Art. Sempre attraverso le piattaforme avviene l’acquisto del biglietto e di molti servizi accessori. Ci sono poi casi di successo come l’app-gioco ‘Father and Son’, con oltre 3 milioni di download nel mondo, che consente ai giocatori di sbloccare alcuni livelli di gioco solo entrando nel magnifico Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Nelle visite, le tecnologie digitali modellano contenuti e esposizione su misura del visitatore. Le applicazioni di realtà aumentata (AR) e virtuale (VR) rendono l’utente protagonista attivo di storie e percorsi capaci di trasmettere il senso dei luoghi con un linguaggio immediato; i beacon orientano e mandano contenuti push, come accade al museo della Scienza e della Tecnica di Milano; i braccialetti con sensori consentono di attivare contenuti personalizzati, ad esempio, per lingua o fascia di età, e allo stesso tempo raccogliere dati sui tempi di permanenza, le opere di interesse, etc.
Ecco ancora le visite in soggettiva degli spazi non accessibili al pubblico del Teatro la Scala coi i visori VR in cui i visitatori possono scoprire il teatro accompagnati dalla prima ballerina; le ricostruzioni digitali delle Terme di Caracalla e della Domus Aurea; la consegna di un passaporto ai visitatori del Museo del Mare di Genova affinché nel percorso di visita facciano esperienze ispirate a quelle dei migranti italiani sui transatlantici diretti verso le Americhe. E la splendida riproposizione in VR e AR dell’Ara Pacis nei colori originari, con l’incontro con Augusto e la partecipazione in prima persona ai sacrifici rituali.
Sono applicazioni che trasmettono contenuti altrimenti impossibili da fruire portandoli nella vita del visitatore. Perché se i contenuti digitali sono di qualità il mezzo diventa un veicolo e il messaggio funziona se ha una forma adatta al mezzo. Come è accaduto ad esempio con la Mostra su Fabrizio De André realizzata da Studio Azzurro (che presto verrà ripresa nel nuovo Museo dei Cantautori Genovesi) o nell’allestimento ‘Ripopolare la Reggia’ per la riapertura della Reggia di Venaria commissionato a Peter Greenaway.
I tentativi riusciti a metà
In molti prototipano. Tra i tentativi riusciti a metà metto le varie Caravaggio Experience, Van Gogh Experience, Virtual Uffizi, in cui l’assenza fisica delle opere è sostituita da proiezioni e animazioni delle stesse. Particolare è l’allestimento de ‘Il Giudizio Universale’ di Michelangelo in scena nell’Auditorium Conciliazione a Roma dove l’intero teatro fa da schermo e fondale per la riproduzione animata degli affreschi della Cappella Sistina; attori recitano in playback e il pubblico rimane seduto senza dover scarpinare dentro i Musei Vaticani per arrivare alla Sistina. Funziona? Di certo fattura.
È vero, anche le Grotte di Altamira e di Lascaux sono state riprodotte in scala 1:1, ma in quel caso si trattava di preservarne la fragilità e non di mettere comodo un visitatore più abituato alla televisione che alla realtà.
Come fare in modo che il visitatore diventi ambasciatore
Finita l’esperienza si torna a casa! Anche da lì sono contenuti e piattaforme digitali a mantenere viva la relazione e a trasformare il visitatore in ambasciatore, follower, tester, codesigner, magari finanziatore. Questo accadrà se l’abbiamo progettato così e investiamo perché avvenga, consci che il l’impatto si misura nel medio-lungo periodo.
Ogni progetto di valorizzazione di qualità è dunque unico e differente, puro artigianato digitale, in quanto unici sono i contenuti di un museo o di un territorio. Questo non è parte della comunicazione ma diventa il core business della valorizzazione.
Come tutto il business design anche quello dei servizi culturali non può prescindere dall’avere chiarezza negli obiettivi, dalla comprensione dei bisogni, da un’analisi della concorrenza e da un business model sostenibile. Si tratta di un processo tutt’altro che ovvio: sono numerosi gli allestimenti ipertecnologici che dopo poche settimane si sono afflosciati per mancanza di competenze specifiche, di una strategia di gestione, un piano e un budget di manutenzione tecnica e di contenuto.
Se diventare accessibili e coinvolgenti è imperativo per far quadrare i conti di molti beni culturali, simmetricamente molte attività commerciali e industriali innovano per essere riconosciute attori culturali, e rafforzare la propria reputazione. Ciò si riflette, ad esempio, negli splendidi Musei Lamborghini e Ferrari dove il rombo dei motori affascina come i simulatori e i modelli esposti; il Museo della Ceramica di Fiorano in cui il lavoro dell’uomo sulla materia diventa oggetto di narrazione fisica e digitale; la Galleria Campari con un’immersione nella storia del marchio; il Museo Archivio Storico del Banco di Napoli con la restituzione dei materiali digitalizzati per uno sguardo contemporaneo; questi e molti altri spazi come veri templi del made in Italy e vetrine per i territori.
Le regole di fondo per la trasformazione digitale
Le regole di fondo per una trasformazione digitale capace di creare nuove relazioni tra cittadini e fruitori dei beni culturali sono:
- sintesi, che vuol dire anche mostrare meno per raccontare meglio;
- concretezza, con linguaggi altamente visuali anche per superare le differenze linguistiche;
- descrizione del perché, come e per chi le opere sono state realizzate, non solo del cosa sono;
- mettere il visitatore a confronto tra il proprio vissuto e le ragioni dell’esposizione.
Questo si fa, si sta facendo. Per portare i templi della cultura alle emozioni del fare e le realtà del fare a trasmettere la loro anima culturale, in Italia cominciano a esserci sia le competenze per riuscirci che la visione necessaria.
Non dimenticando mai che il protagonista di una storia che funziona non è mai chi propone l’offerta culturale, o una collezione, un museo, un prodotto, una proiezione, un mondo virtuale, ma chi messo in relazione con quell’offerta soddisfa un proprio bisogno.