“Un patron plus ordinaire que visionnaire” ha titolato Libération, per commentare, lo scorso 6 novembre, la nuova era di Twitter sotto il peso del lavandino di Elon Musk. Sottotitolo: “Purge sévère dans les effectifs, augmentation du temps de travail, mise à contribution financière des usagers… Le méga milliardaire recourt à une stratégie des plus basiques”.
I licenziamenti di massa in Twitter
Appunto, la nuova era di Musk è iniziata nel più classico dei modi tipici del peggiore capitalismo ovvero e in primo luogo, licenziamenti del personale. “Sfortunatamente non c’è scelta quando un’azienda perde oltre 4 milioni di dollari al giorno”, ha poi twittato, cercando di giustificarsi, lo stesso Musk, sottolineando che però, a tutti coloro che sono stati licenziati – o passati per lo scarico del lavandino – “sono stati offerti tre mesi di stipendio” come buona uscita, “che è il 50% in più di quello che è richiesto” dalla legge. Il che, detto dall’uomo più ricco del mondo, fa un certo effetto. Musk dunque è un buonista che ha tanto a cuore le sorti dei suoi dipendenti, oppure è un robber baron di antica memoria? O forse Musk è semplicemente un pazzo che spende 44 miliardi di dollari per comprare un’azienda che appunto perde più di 4 milioni di dollari al giorno – e quindi ha ragione Libération a definirlo plus ordinaire que visionnaire, come invece quasi tutti dicevano fino a ieri – e troppi, ancora oggi?
Anche l’Onu contro Elon Musk
Quello che fino a ieri sembrava a molti un capitalismo diverso dal passato, si è dimostrato essere dunque il capitalismo di sempre. Lo sapevamo da tempo, ma ora con Musk ne abbiamo la riprova. Smetteremo allora e finalmente di parlare e scrivere di capitalismo intelligente, di economia della conoscenza, di nuovo che avanza e che non si deve fermare, del digitale come di un cambio di paradigma, di imprenditori visionari? Smetteremo finalmente di scrivere pagine e pagine e di pubblicare libri e libri di management sostenendo che l’impresa è oggi una comunità prima che una fabbrica di profitto e che i dipendenti sono ora diventati collaboratori dell’imprenditore e non più suoi subordinati, organizzati, comandati e sorvegliati a sua totale e insindacabile discrezione?
Il capitalismo è in realtà sempre capitalismo, per quanto cerchi di presentarsi sempre nuovo e diverso dal passato, in realtà restando sempre uguale a se stesso; e lo si vede anche da come e da quanto sta investendo per nascondere il disastro ambientale e climatico globale che ha prodotto in tre secoli di ricerca forsennata del profitto privato, tra mascheramenti stile green-washing, cancellazione del concetto/processo di transizione ecologica dal nuovo governo filo-industrialista italiano, dal saper cogliere l’occasione della guerra in Ucraina per rilanciare l’estrazione di gas e il ritorno al nucleare: tutto pur di non mettere in discussione – per evitare con ogni modo e con ogni mezzo che sia messa in discussione – la sua irrazionalità sistemica e strutturale. Tornando sempre, appena ne ha l’occasione ai suoi peggiori istinti animali, espressi da un lato dallo stesso Musk con l’inizio della sua gestione di Twitter; e dall’altro dalla Gkn italiana di Campi Bisenzio, dove nel 2021 un fondo di investimento (Melrose) chiuse dalla sera alla mattina un’importante impresa del settore automotive italiano, all’avanguardia nella produzione di semiassi per auto: due esempi, tra i molti possibili, di robber barons del capitalismo industriale, del capitalismo finanziario e del capitalismo della sorveglianza di massa.
Ma di Musk e di Twitter si sono occupate anche le Nazioni Unite che, con un appello hanno chiesto al nuovo proprietario di assicurarsi che la sua piattaforma rispetti i diritti umani. “Come tutte le aziende, Twitter deve comprendere i danni associati alla sua piattaforma e adottare misure per affrontarli. Il rispetto dei nostri diritti umani condivisi dovrebbe stabilire le barriere per l’uso e l’evoluzione del social” ha scritto l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Turk, che in una lettera aperta ha esortato Elon Musk “a garantire che il rispetto dei diritti umani sia centrale sul social network”. E anche la Casa Bianca, con la portavoce Karine Jean-Pierre, ha espresso nei giorni scorsi l’auspicio che tutti i social media, da Twitter a Facebook, bandiscano l’istigazione all’odio, il razzismo e l’antisemitismo dalle loro piattaforme e tengano alta la guardia su disinformazione e fake news.
Già, perché il capitalismo non si è mai fatto problemi di trarre profitto anche dall’odio, dal razzismo e dall’antisemitismo che i social veicolano e che – garantendo una lunga permanenza degli utenti su social e dintorni – garantiscono appunto alti profitti. Musk rispetterà i diritti umani? Oppure proprio il dimezzamento dei dipendenti di Twitter potrebbe rendere ancora più difficile il controllo e la verifica di account e post e fake news?
Robber barons di ieri e di oggi
Ma chi erano i robber barons, tra i quali abbiamo ricompreso anche Musk e i padroni della Gkn? Leggiamo Wikipedia: “Negli Stati Uniti dell’Ottocento, il termine robber baron […] designava quella tipologia di imprenditori e di banchieri che ammassavano grandi quantità di denaro, costruendosi delle enormi fortune personali, di solito con pratiche senza scrupoli e attraverso forme di concorrenza sleale. Il termine è divenuto di uso comune in area anglofona dove viene impiegato, con uno slittamento semantico, per riferirsi alla stessa categoria di persone che mettono in pratica dei metodi imprenditoriali non trasparenti per ottenere potere e ricchezza.
E allora, Musk, ma anche Zuckerberg che sta per annunciare un grande piano di licenziamenti in Meta. E Bezos di Amazon e il fondo Melrose – e molti altri ancora – sono tutti robber barons, imprenditori senza scrupoli nei confronti dei propri dipendenti trasformati in lavoratori usa e getta; ma anche nei confronti dei consumatori, così come delle istituzioni, che pure stendono loro tappeti rossi fiscali e normativi pur di attirarne gli investimenti.
Tutti imprenditori-padroni che ammassano grandi quantità di denaro costruendosi delle enormi fortune personali manipolando i comportamenti individuali e collettivi in termini di economia comportamentale/spinte gentili, di conformismo digitale, di attivazione di falsi bisogni e di dopamina, insieme creando disinformazione o pilotando l’informazione, comunque circuendo la democrazia e il libero arbitrio.
Ipocrita è quindi il mea culpa del co-fondatore di Twitter, Jack Dorsey, che ha scritto: “La gente di Twitter, del passato e del presente, è forte e resiliente. Troveranno un modo per risollevarsi, non importa quanto sia difficile il momento. Mi rendo conto che molti sono arrabbiati con me. Sono responsabile per tutto quello che sta succedendo, ho fatto crescere l’azienda troppo velocemente. Chiedo scusa”. Aggiungendo: “Sono grato e voglio bene a tutti coloro che hanno lavorato per Twitter. Non mi aspetto che questo sentimento sia reciproco in questo momento… o mai del tutto… e lo capisco”. E guarda caso Dorsey sta lanciando una nuova piattaforma di social media – Bluesky – ancora in fase di test ma che, secondo il suo fondatore avrebbe già oltre 30’000 abbonati; e che sarebbe stato studiato e progettato proprio per risolvere una serie di problemi di Twitter. Ma sarà vero?
L’aziendalizzazione della vita
Ma c’è di più. E, come abbiamo scritto altrove, dobbiamo partire dalle retoriche muskiane. Musk infatti “dice di essere stato spinto ad acquistare Twitter dall’amore e dalla voglia di aiutare l’umanità, per dare un futuro alla civilizzazione. Ma come definire queste retoriche, se non come il frutto di una egolatria, di un egocentrismo, di un narcisismo patologici e portati all’ennesima potenza? E possiamo affidare il futuro della civilizzazione – Musk senza però specificare a quale si riferisca in particolare: quella scientifica o quella umanistica, quella capitalistica o quella ecologica, quella del profitto o della solidarietà? – a un monopolista miliardario che va in giro tenendo in mano un lavandino? È questa la civilizzazione? Musk afferma inoltre di essere un assolutista della libertà di espressione, ma lo scorso maggio aveva detto di voler riammettere nel social media l’ex-presidente degli USA Donald Trump, che era stato invece bandito dalla precedente gestione per alcuni tweet che legittimavano l’assalto golpista al Congresso americano del 6 gennaio 2021. E allora: ci può essere libertà di espressione – e libertà tout court e democrazia e vera partecipazione e poi decisione consapevole e condivisa – se un solo padrone [anzi, un robber baron] che opera in nome del solo profitto privato, gestisce tutta la piazza virtuale […]? Ci può essere libertà e democrazia se tutto – la vita, l’informazione, la socialità, la comunicazione, la politica, eccetera – è gestito da imprese private e da un uomo solo al comando, figura tanto vicina a quella di un dittatore? Evidentemente no, per la contraddizione che non lo consente”.
E ancora ciò che avevamo scritto: “Musk e Zuckerberg (e molti altri) devono essere usciti dalla stessa scuola di management, visto che anche il padrone di Meta affermava anni fa che Facebook era stato creato per rendere il mondo più aperto, con la mission di dare alle persone il potere di costruire comunità e unire sempre di più il mondo. Sappiamo come è andata a finire e sappiamo appunto che queste erano solo retoriche propagandistiche per estrarre sempre più plusvalore dai dati della vita delle persone e dal loro chiudersi in comunità di massa (di dati), per accrescere il profitto privato di pochi”(1).
Appunto e di nuovo: non imprenditori innovatori e visionari, ma vecchi/nuovi robber barons.
Sottolineando poi – last but not least – che il problema Twitter+Musk (come di tutti i social e dei motori di ricerca e delle piattaforme e degli algoritmi), è che esso è un pericolo concreto, serissimo e inquietante – forse già mortale – per la libertà e per la democrazia. Dovremmo invece evitare (e dovremmo farlo in fretta) di fare un altro passo verso la totale aziendalizzazione della vita e del mondo, specie se viene propagandata in nome della civilizzazione, dell’amore, dell’aiuto per l’umanità.