Il dottor Annthok Mabiis ha annullato tutte, o quasi, le memorie connesse della galassia per mezzo del Grande Ictus Mnemonico. “Per salvare uomini e umanidi dalla noia assoluta” perché le memorie connesse fanno conoscere, fin dalla nascita, la vita futura di ciascuno, in ogni particolare. La Memory Squad 11, protagonista di questa serie, è incaricata di rintracciare le pochissime memorie connesse che riescono ancora a funzionare. Non è ancora chiaro se poi devono distruggerle o, al contrario, utilizzarle per ricostruire tutte quelle che sono state annientate, se devono cioè completare il lavoro del dottor Mabiis o, al contrario, riportare la galassia a “come era prima”. Dopo cento missioni troviamo gli agenti in un savana. L’agente Stefano Magli crede di aver intercettato delle memorie ancora attive in Arib, compagno di Esta. Che fuggono verso il centro antico della metropoli.
Esta si ferma ai vetri di un immenso bar. Arib s’appoggia all’entrata. Esta ai tavoli in fondo. Arib al banco.
Le birre schiumavano. I piatti accoglievano. Le panche assiepavano. Arib si piegava. Esta pregava. L’agente Afro Allaa snocciolava gli agenti della squadra nella disperazione delle tracce perdute. Di Arib e di Esta.
Il bar affollava le gioie e i dolori. Le memorie mancanti non supplivano più gli amori e gli odi.
Silenziava la notte. Il bar svuotava le viscere. La neve gonfiava le balaustre. L’agente Afro Allaa allupava un’altra caccia: “Non possono essere scomparsi!… L’uomo non aveva memorie… e allora è la donna che le nasconde!”
La comandante Khaspros punzonava gli agenti: “La donna è incinta, si è visto… Nasconde la pancia… niente di più, agenti!”
“Le memorie dentro il ventre! Ecco dove!” L’agente Afro Allaa gelido. Cercava consenso.
La sfera bianca picchiava la blu. La blu picchiava la gialla. La gialla la nera. La verde.
Il re del biliardo ordinò la strage. Uova bollenti. Bacon croccante. Pane abburrato. Birre panciute. Le stecche penetrarono. Annientarono. Risero. I tuorli schizzarono. Le schiume esplosero. I piatti innocenti. Spezzati. Agonizzati. Fra le scarpe.
Gli agenti attratti. Dal bar infinito. I fiocchi fittanti. Pungenti. Gli agenti entranti. Gli agenti abbirranti. Sguazzavano poltiglia. Sbrecciavano i cocci.
“Sento profumo di memorie attive… connesse” esaltava l’agente Allaa. “Troppe volte siamo andati a vuoto, agenti… non ci sono prede sicure…” tormentava la comandate Khaspros. Le prede sono i trofei ammassati della nostra inutilità.
Il bar nella penombra. Le antiche luci sui panni verdi. Lisi. Le sponde rimbalzavano. La sfera rossa s’imbucava. I birilli investiti tramortivano. Sciabolavano le stecche. Da sole. Gli umani distanti. Attorno. Immobili. Braccia conserte. Il silenzio dei pensieri. Dei comandi. Le punte strappavano. Le bocce impazzivano. Le punte trafiggevano. I ventri strillavano. Le punte si piegavano. Le dita grondavano.
Gli agenti avanzavano. Le labbra scolavano. Le facce tornivano. Il bar era un antro. Scorgevano la rissa nel fondo affollato. “Là agenti! Là le memorie combattono!… Sono nelle stecche! L’uomo e la donna non c’entrano niente!… Di corsa agenti! Prima che le stecche si spezzino!”
Nello sgabuzzino delle pulizie l’uomo Arib si chinava. La donna Esta si doglieva.
Là, oltre alle stecche insanguinate, spoglie di memorie. Splendeva una nascita.
(102-continua)