La pandemia ci pone, con più evidenza e in modo più traumatico, di fronte al bivio già prospettato dalla crisi ecologica: o la resa al collasso della civiltà moderna, tecnica, scientifica, economica e del paradigma che l’ha sinora sostenuta. O il cambio di rotta al servizio di una nuova civiltà da realizzare tutti insieme, nella consapevolezza che nessuno si salva da solo. Vediamo come la rete sta rappresentando la leva di una nuova “rinascita”.
Covid-19 cartina al tornasole della crisi globale
La correlazione biunivoca tra i due cambiamenti appare chiara, se si comprende che la crisi che stiamo attraversando, già da qualche decennio, non è solo economica, finanziaria, sociale, ecologica, sanitaria, istituzionale, politica, ma è soprattutto una crisi cognitiva, cioè una crisi che concerne il nostro rapporto con la realtà. La “potenza del negativo” del virus che si è abbattuta su quasi tutti i popoli e gli Stati del mondo, svelandone l’accresciuta interdipendenza, ha catapultato in superficie la talpa della complessità che li stava aggrovigliando tra di essi, mediante l’intensificazione degli scambi economici, tecnologici, culturali, e con i processi di trasformazione antropocenica degli ecosistemi del pianeta.
Tutto è connesso, tutto è in relazione, tutto è ibrido, nella realtà. Ma non ancora nella nostra consapevolezza. E questo si riflette nella tendenza del mondo a disgregarsi o a contrapporsi politicamente, culturalmente, religiosamente… Sagomate per secoli dal paradigma di matrice cartesiana, la nostra mente e la nostra forma di intelligenza tendono a semplificare, disgiungere, scomporre, polarizzare, circoscrivere e recintare identità precise, a frammentare gli oggetti e i saperi. Ogni cosa è quella cosa e solo quella cosa.
Eppure, senza scomodare sistemi complessi raffinati, sono sufficienti esempi quotidiani per smascherare le “cattive abitudini”. Diciamo: io sono io, una libreria è una libreria, un telefonino è un telefonino. Eppure, ciascun “io”, oltre che un soggetto dotato di una personalità singolare e irripetibile, è, nello stesso tempo, un essere biologico, sociale, è il rappresentante di una specie vivente evoluta e in evoluzione. In una libreria, oltre che comprare o ordinare libri, possiamo oggi prendere un caffè, accomodarci in poltrone per conversare, ascoltare musica. Il “telefonino” non si limita alla funzione del telefono – forse, tra l’altro, la meno utilizzata – perché è anche un apparecchio fotografico, una sveglia, uno scanner, un GPS, un’agenda di appuntamenti…
Il nuovo paradigma della complessità
Il paradigma della complessità indica la fuoriuscita dalla malattia della semplificazione e dalla “preistoria” della mente umana, un nuovo metodo per formulare problemi sempre più multidimensionali e globali. Una via per cercare di dissipare quelle “nebbie globali” che, come diceva Zygmunt Bauman, nascondono agli occhi della gente qualunque prospettiva, inducendola a cercare disperatamente complotti o colpevoli per le proprie pene e tribolazioni. Foriero senz’altro di successi enormi e utile per un tratto importante del viaggio nella modernità e nell’era planetaria, che l’umanità ha intrapreso da cinque secoli, il paradigma di semplificazione si rivela inadeguato e catastrofico per il futuro dell’umanità, fonte di pericolose cecità nella conoscenza e veicolo di pulsioni regressive.
Abitiamo un mondo sempre più complesso, siamo connessi inestricabilmente al mondo globalizzato, alla biosfera, alla natura, l’elevata complessità dei problemi spalanca a noi l’ignoto ogniqualvolta progrediamo nella conoscenza e ci confronta con l’imprevedibilità del futuro: perciò, non possiamo continuare a operare con una mente e un pensiero che ci “distinguono” e ci separano dal mondo, dalla natura, che generano l’illusione del controllo totale e dell’onniscienza, e che placano l’angoscia e il senso di insicurezza con la logica dei “confini” rigidi e protettivi: fra nazioni, culture, religioni, saperi, fra identità irrigidite.
Proprio Internet, di colpo, ha distrutto lo spazio cartesiano, metrico, delle distanze, e ci ha consegnato la possibilità di abitare uno spazio topologico della vicinanza, contribuendo all’intensificazione e alla complessificazione delle relazioni umane e planetarie. Non abitiamo più o abitiamo sempre meno lo spazio cartesiano.
Ma non abitiamo ancora la complessità, perché la nostra mente è ancora troppo cartesiana: in un mondo complesso, più ci sforziamo di avere “idee chiare e distinte”, più esse oscurano la realtà. Più conosciamo, incasellando, classificando, riducendo in elementi semplici, parcellizzando, estrapolando dal contesto e dalle relazioni, e meno conosciamo in verità, perché scartiamo aspetti decisivi, significativi, importanti di ciò che vorremmo conoscere.
Infosfera e pensiero complesso
Tuttavia, qui, è anche la “buona novella”: più abiteremo la rete e l’infosfera, ormai essenziale per noi come la biosfera, e più impareremo ad abitare la complessità, mutando il nostro “abito” mentale, sviluppando l’attitudine al “pensiero complesso”.
Innanzitutto, la rivoluzione digitale è una rivoluzione nelle forme di comunicazione, alla stregua del passaggio dall’oralità alla scrittura, dalla scrittura alla stampa, che, come queste ultime, avrà conseguenze su tanti fattori della civilizzazione. Ad esempio, è probabile che la moneta sarà completamente “elettronica”; così come l’invenzione della scrittura ha consentito l’invenzione della moneta, sostituendosi al baratto e dando impulso al commercio, su scale sempre maggiori.
Ma le tecnologie della comunicazione incidono anche sui nostri modi di conoscere, plasmano il nostro apparato cognitivo. L’avvento della stampa ha consentito alla mente umana di scrollarsi del fardello della memoria, di smettere di riempirsi, di erudirsi, per volgersi all’osservazione, alla sperimentazione, alla ricerca di un metodo “scientifico”. Oggi, i nativi digitali gestiscono molte informazioni in poco tempo, apprendono in gruppo, collegano di più e astraggono di meno, sono più “algoritmici”, potrebbero essere più creativi perché devono calcolare di meno, nella Rete si abituano a vivere in un circuito di flussi comunicativi che consente sempre la ricorsività e la inter-retroazione…
Cooperazione fra pensiero e tecnologia
D’altra parte, la Rete consente di estendere l’attività di pensiero. Solo il riduzionismo cognitivista può farci credere che il pensiero è un’attività che si svolge esclusivamente nel cranio della nostra testa e nel cervello. È, invece, un’attività che coinvolge dispositivi socio-tecnici esterni al cervello umano. Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno permesso di esternalizzare e anche di velocizzare molte delle nostre capacità cognitive, come il calcolo o il trattamento dei dati, a macchine e software. E i social media consentono di diffondere e discutere i risultati della nostra attività pensante, che è una cooperazione complessa tra il nostro cervello e questi dispositivi esterni “intelligenti”.
La presa di coscienza di essere una grande e unica popolazione umana planetaria, un continuum fisico tra di noi e tra noi e altre forme viventi sulla terra, che la crisi della pandemia ha intensificato, è potuta veicolare di più in uno spazio pubblico, che, anche a causa del rallentamento della mobilità e per il ricorso al distanziamento fisico come misura di prevenzione, si è traslocato massicciamente nello spazio web. Non solo. Grazie alle piattaforme digitali, nell’emergenza, sono aumentati la medicina a distanza, la formazione a distanza, il lavoro a distanza, la compravendita a distanza, e tutto lascia presagire che la necessità potrà trasformarsi in innovazione permanente. E tutto sarà ancora più interconnesso e ibrido nel mondo lavorativo e sociale e richiederà competenze pluridisciplinari e diversificate per viverci.
Certamente, ancora più ampia e pericolosa si fa la rottura degli argini che apre il varco alle “guerre d’informazione”, alle fake news, alla propaganda. Ma, proprio per questo, la capacità di analisi dei dati deve diventare una competenza chiave da insegnare già nella scuola, e collimare con la richiesta continua di trasparenza ai poteri politici, scientifici, economici.
Ogni rivoluzione scientifica o tecnica apre porte che possiamo sfruttare bene o male, come è accaduto con la fisica delle particelle, nel secolo scorso, d’altra parte. Ma Internet dota, per la prima volta, l’umanità planetaria di un sistema nervoso-cerebrale artificiale, che si rivela una risorsa cruciale per farsi carico del nostro destino comune e per costruire una cittadinanza terrestre, e non più solo nazionale, regionale, locale.
Le sfide per i “figli della complessità”
La sfida di un destino comune è la sfida della complessità, ed è la sfida del XXI secolo. Essa ci traghetta a un nuovo modello di razionalità, che ridisegna i contorni delle attività umane e umanizzanti fondamentali: curare, educare, governare. E i protagonisti del mutamento ineludibile di paradigma che accompagna e sostanzia questa sfida non saranno solo i filosofi o i matematici, come avvenne nel XVII secolo, con l’avvento della scienza moderna. Saranno, tutte insieme, anche le figure del mondo della formazione, della gestione e di quelle che Giambattista Vico chiamava già le “scienze d’ingegno”. E soprattutto i nativi digitali, i “figli della complessità”.
In un frammento postumo del periodo 1887-1888, Friedrich Nietzsche scriveva: “Il nichilista è colui che, del mondo qual è, giudica che non dovrebbe essere e, del mondo quale dovrebbe essere, giudica che non esiste”. Al contrario, oggi, possiamo dire che per i figli della complessità non c’è tempo e non c’è spazio per la rassegnazione o per l’indifferenza dello spirito nichilista, ma si profila la grande e inedita opportunità di essere costruttori attivi del mondo quale dovrebbe essere e che, oggi, coincide con il mondo quale è: una comunità di destino terrestre.