Nella società contemporanea si realizza una socializzazione sempre più debole, povera, priva di ethos, perché il cambiamento culturale delle società ha portato all’incertezza nelle strategie e nelle pratiche a essa connesse.
Il mutamento sociale e la crisi delle agenzie di socializzazione tradizionali
Il mutamento sociale ha inciso inevitabilmente sull’insieme delle realtà condivise da un gruppo sociale, che riguardano i modelli di comportamento, gli orientamenti di valore, le ideologie ed il linguaggio. Questo ha fatto in modo che l’identità soggettiva appaia come una conquista difficile da rinegoziare giorno per giorno, anche a causa della velocità e dell’l’intensità del cambiamento sociale che condizionano le certezze ed i valori della socializzazione, determinando continui mutamenti nelle aspettative culturali e nei comportamenti collettivi [1].
Tutto questo ha fatto venir meno il passaggio graduale, evolutivo a più stadi che prevedeva in primis la famiglia, poi la scuola e quindi la comunità. É tramontato il percorso unico, normativo e garantito della formazione e sono subentrate altre agenzie o meglio nuove forme di socializzazione che però non possono considerarsi intenzionalmente educative.
C’è evidentemente una forte contrapposizione tra vecchie e nuove agenzie di socializzazione, che sono strutturate attraverso una tipologia differenziata di codici, linguaggi e modalità trasmissive [2].
L’affermazione della socializzazione IM-mediata
Questo lascia emergere la convinzione riduttiva che sussista un sistema di socializzazione duale dai confini delimitati e circoscritti [3]. Nella socializzazione tradizionale nella quale prevale la capacità di imprinting del patrimonio socio-culturale, ha importanza la classe sociale, la famiglia, la scuola, la comunità, l’ambiente socio culturale. Nelle nuove tipologie di socializzazione si nota un certo distacco e una sorta di emarginazione rispetto ai media della socializzazione tradizionale e questo determina una certa instabilità e un deficit di coinvolgimento [4]. Ciascun soggetto non si fa coinvolgere sempre completamente dalle agenzie tradizionali o dalle nuove agenzie, ma via via che si trova a vivere le situazioni sceglie a quale tipo di socializzazione fare riferimento spesso orientandosi ad un tipo di fruizione ‘misto’. Soprattutto tra i giovani è la socializzazione IM-mediata quella più utilizzata. I ragazzi creano il cosiddetto pianeta a parte che tende ad appropriarsi di vari linguaggi, codificandoli e rilanciandoli verso il mondo adulto, per distinguersene, e al contempo per misurarsi inevitabilmente con esso [5]. Pertanto, i pianeti degli adulti e delle istituzioni debbono avvedersi del fatto che si è instaurato un ‘mercato nero’ della socializzazione. Ciò che emerge da tutto ciò è che il potere di socializzazione si è spostato dalla società all’individuo, che decide autonomamente la forza di orientamento e la misura di coinvolgimento da attribuire alle diverse agenzie di normazione e di influenza [6].
L’ambiente in cui si vive oggi, proponendo differenti norme comportamentali, diversi modelli etici, differenti prototipi estetici, nuova attribuzione di ruoli, realizza un codice di immagini e raffigurazioni culturali tali che ogni individuo, soprattutto giovane, avvia un processo di identificazione in base ad un mondo di segni e significati del tutto nuovo. Inoltre, un atteggiamento tipico dell’età adolescenziale è la creazione di uno spirito critico, di una capacità riflessiva, che induce i ragazzi ad interrogarsi su sé stessi e sul mondo che li circonda, a porsi domande sul senso della vita, verso dimensioni più profonde e spirituali [7].
Si fanno strada criteri di valutazione, comprensione di logiche esistenziali e facoltà di giudizio. Un atteggiamento critico viene rivolto verso i propri coetanei, sui membri della famiglia, sugli adulti in generale, sugli eventi che imperversano quotidianamente e sulle tematiche di attualità.
L’impatto delle tecnologie digitali
In questa prospettiva giocano un ruolo fondamentale i media, tra cui anche Internet, che, negli ultimi anni, non si limitano più a proporre contenuti di intrattenimento, ma sono diventati anche opportunità di accesso alle fonti di informazione. Sempre più frequentemente è l’utente a spostarsi autonomamente all’interno dell’ampio e variegato sistema di strumenti mediatici disponibili per costruire i propri palinsesti personali e autogestiti, fatti su misura, rintracciando i contenuti di proprio interesse secondo i tempi e i modi a lui più consoni, secondo le sue preferenze e i suoi bisogni, facendo individualmente arbitraggio tra vecchi e nuovi media, per arrivare a comporre in modo assortito una nicchia di consumi mediatici a misura di sè stesso [8]. Questa tendenza si è rafforzata grazie alla miniaturizzazione dei device tecnologici e alla proliferazione delle connessioni mobili, e grazie alla tecnologia del cloud computing e alla diffusione delle app per smartphone e tablet: tutti strumenti in grado di ampliare le funzioni delle persone, potenziarne le facoltà, facilitarne l’espressione e le relazioni, sancendo così il primato dell’io-utente e dando inizio ad una fase nuova, in cui l’io è il contenuto e il disvelamento del sé digitale è la prassi. Grazie alle tecnologie digitali, il singolo non è più semplicemente uno spettatore inattivo, ma diventa un potenziale produttore di contenuti attraverso media diversi e integrati tra loro, secondo una nuova fenomenologia di produzione di massa individualizzata [9].
Nuove modalità di apprendimento: learning by doing ed imparare dagli errori
Le nuove tecnologie hanno modificato anche le modalità di apprendimento. C’è sempre più enfasi nel learning by doing e nell’imparare provando, orientandosi molto di più che in passato sulla ripetizione di tentativi e facendo tesoro anche dagli errori [10].
In recenti studi, sono stati valutati gli effetti che i ragazzi possono avere ad essere collegati all’utilizzo del computer e all’accesso a internet nel processo di apprendimento e ne è emerso che:
– il 72,4% ritiene che l’uso del pc (e di internet) abbia effetti positivi sull’apprendimento;
– il 36,3% ritiene, invece, che rispetto al rendimento scolastico, gli effetti possano essere neutri, per il 28,9% addirittura negativi e, positivi “solo” per il 34,9%;
– una consistente maggioranza valuta positivamente l’uso delle tecnologie digitali, per dare seguito alla propria curiosità e al proprio spirito di iniziativa;
– il 39,7% e il 33,5% considerano negativi rispettivamente gli effetti sulla volontà di studiare e sulla capacità di concentrazione e riflessione[11].
Opinioni contrastanti sull’impatto delle tecnologie sull’apprendimento
Questa compresenza di opinioni, mette in evidenza la presenza di una tendenza che accomuna studenti, docenti e genitori, una sorta di diffidenza generalizzata, un “pregiudizio negativo”, forse influenzato dall’opinione degli adulti, di cui non sono esenti neanche i più giovani. Nonostante questa sorta di diffidenza, però l’uso intensivo delle tecnologie digitali non risulta essere causa di quei fenomeni particolari, isolati e riconducibili a situazioni eccentriche, evidenziate da una stampa e una comunicazione spesso sensazionalistiche. Dai comportamenti che emergono dall’indagine e dai focus goup non emerge nessuna tendenza patologica, né il cosiddetto ‘multitasking’ e la perdita della capacità di memorizzazione da parte dei giovani [12].
Il ruolo (carente) dei genitori nell’educazione digitale
In tale prospettiva è opportuno considerare anche il ruolo che hanno i genitori sull’educazione mediatica dei giovani. Infatti, risulta che il controllo da parte dei genitori sui giovani internauti è veramente molto blando [13]. Le indagini fanno emergere che i minori dai 6 ai 10 anni sul web senza la presenza del genitore sono il 31,2%, percentuale che sale, 7 su 10 (72,5%), per la classe dagli 11 ai 13 anni, fino ad arrivare alla quasi totalità nella fascia che prevede i ragazzi dai 14 ai 20 (8 ragazzi su 10 sono privi del controllo diretto di un adulto). La socializzazione e il divertimento sono le motivazioni principali che appassionano i ragazzi al web: chattare (22,6%) è l’attività preferita dai giovani internauti, seguita dalla possibilità di ascoltare musica (20,3%), e anche giocare (17%)
Le rappresentazioni che i genitori hanno nei confronti della tecnologia e le loro modalità di appropriazione degli strumenti informatici e telematici sono fondamentali per comprendere le modalità e le pratiche di appropriazione digitale dei bambini e ragazzi. Infatti, è proprio in famiglia che avviene il primo contatto dei giovani con i computer, i cellulari e tutti gli strumenti digitali. Dunque l’approccio dei bambini alla tecnologia risulta fortemente influenzato dalle modalità d’uso delle tecnologie adottate dai genitori [14].
Ma, come sostenuto da Seymour Papert nella sua monografia Connected Family, il problema è il differente livello di competenza e capacità d’uso delle tecnologie tra bambini e genitori [15]. La coesistenza nelle passate e nelle future generazioni di stili di apprendimento e di insegnamento e di modelli di alfabetizzazione tecnologica radicalmente differenti rischiano, senza opportune politiche formative, di diventare un problema di coesione sociale e di educazione. Questo fa sì che i nuovi media attecchiscano con una impressionante rapidità presso le nuove generazioni e non allo stesso modo presso le vecchie. La posizione dei genitori, a questo proposito, è strutturalmente contraddittoria. Sono spesso entusiasti del fatto che i propri bambini acquisiscano conoscenze tecnologiche che essi stessi non hanno o comunque hanno acquisito tardi, ma si sentono allo stesso tempo frustrati dalle nuove abilità che i figli manifestano e a volte rifiutano di non essere in grado di comprendere il loro linguaggio e le loro pratiche comunicative [16].
Di conseguenza i bambini, che come verrà specificato più avanti sono i protagonisti della Generazione Z o Alpha, avranno grande facilità a padroneggiare gli strumenti della comunicazione digitale, ma dovendo farlo da soli, senza l’aiuto dei genitori (Generazione X), corrono il rischio di acquisire una competenza critica rispetto all’uso degli strumenti tecnologici e agli elevati gradi di libertà di accesso e interazione che questi consentono [17]. «Le ricerche poste in essere hanno confermato la totale assenza di percezione, da parte dei minori, della pericolosità e delle conseguenze dei propri comportamenti in rete. Il facile accesso al mondo virtuale induce i giovani ad adoperarlo con estrema naturalezza e manca, al riguardo, un’istituzione cui sia affidato il compito formativo e che sia in grado di mettere i minori in guardia dai pericoli del Web» [18].
Le diverse generazioni digitali
L’incessante sviluppo tecnologico ha portato le nuove generazioni a vivere ed esperire una vita completamente diversa rispetto a quelle precedenti.
Nel 1985 comincia la diffusione dei personal computer con interfaccia grafica e dei sistemi operativi Windows, un mezzo di comunicazione e di elaborazione che avrebbe mutato la vita e la socialità e le dinamiche relazionali dell’intera umanità.
Mark Prensky, scrittore statunitense, ha coniato il termine nativi digitali, per indicare tutti gli individuicresciuti in simbiosi, immediatamente alfabetizzati alle nuove tecnologie e ai relativi strumenti: dall’iPod agli smartphone, dai tablet ai visori per la realtà aumentata fino alle smart TV. Tecnologie che rappresentano un mistero per molti appartenenti alle generazioni precedenti, privi di quel know how digitale “nativo” presente in ogni millennial.
Dalla Silent Generation alla Generazione Z: una classificazione
Ecco una classificazione per definire le generazioni che si susseguono dall’inizio secolo scorso ad oggi:
- The Silent Generation: i nati tra 1928 e 1945 (oggi hanno dai 76 ai 93 anni).
- Baby Boomers: i nati fra il 1946 e il 1964 (adesso hanno fra i 57 e i 75 anni).
- Generation X: i nati fra il 1965 e il 1980 (dai 41 ai 56 anni).
- Millennials: i nati tra il 1981 e il 1996 (25-40).
- Post-Millennials o Generazione Z: i nati dal 1997 ad oggi che, quindi, non hanno più di 24 anni.
Inoltre, è possibile aggiungere anche un’ulteriore generazione che si pone tra la Generazione X ed i Millennals: i cosiddetti Xennials il cui nome nasce dalla crasi degli altri due. Essa comprende tutti i nati tra il 1977 e il 1983, ossia tutti coloro che sono nati in un mondo ancora analogico ma in prossimità cronologica rispetto al cambiamento digitale e hanno saputo adattarsi all’evoluzione.
I Millennials nativi digitali e l’integrazione tra reale e virtuale
La familiarità dei millennials nativi digitali con la tecnologia ha contribuito a creare in loro una sorta di integrazione sintetica tra il mondo reale e quello virtuale[19]. L’emersione di questa prepotente simbiosi tra realtà e mondo virtuale è opera dei social network. Le nuove tecnologie vengono identificate come una estensione vera e propria della socialità, strumenti[20] con cui potersi connettere al mondo, condividere le proprie esperienze, le capacità e i momenti quotidiani.
Tutto questo avviene attraverso una modalità multitasking, si compiono diverse azioni contemporaneamente, attualizzando un approccio cooperativo e libero. Si naviga sul web mentre ascoltiamo musica e consumiamo contenuti multimediali, si postano foto e si interagisce sui social mentre scarichiamo un film o un libro.
Tale incessante attività influisce sull’attenzione selettiva e sulla memoria associativa a lungo termine. Ciò significa che i nativi digitali si distraggono più facilmente, in quanto non riescono a mantenere un alto livello di concentrazione a lungo, una questione che apre nuovi scenari per la formazione e lo sviluppo futuro della società umana.
In questo senso emerge una sostanziale differenziazione all’interno della categoria dei nativi digitali. I nati dal 1985 fino alla fine del millennio palesano esperienze digitali totalmente diverse rispetto a chi è venuto al mondo negli anni successivi: interfacce grafiche diverse, dispositivi, abitudini e competenze differenti. Insomma, risulta difficile collegare queste generazioni attraverso un ideale filo digitale, semplicemente perché la tecnologia ha viaggiato a una velocità elevata secondo dinamiche fluide[21], elidendo tempi e modalità di attuazione.
Queste differenze sono trasversali a tutte le nuove generazioni. Anche quelle più datate si sono adeguate alle innovazioni, o provano a farlo, interpretando con strumenti del tutto nuovi gli stimoli del proprio tempo. Tuttavia, per i nativi digitali le differenze rispetto ai loro predecessori sembrano essere maggiori, addirittura a livello anatomico.
Differenze e sovrapposizioni tra le generazioni digitali
Lo stesso Prensky teorizzava che i cervelli dei nativi digitali potrebbero essere diversi rispetto agli immigrati digitali, perché alfabetizzati a ricevere e gestire le informazioni secondo modalità differenti. Basti pensare che questi ultimi sono cresciuti e hanno attivato i processi di socializzazione attraverso l’interpretazione del mondo elargita dagli old media. Attualmente invece, la velocità del web influenza le esistenze, l’evoluzione dei mezzi di comunicazione le connota e la travolge letteralmente. I millennials si distinguono in questo, palesando un approccio naturale, spontaneo e disinvolto a tali mutamenti. Inoltre, essi attualizzano una concezione del mondo, dei suoi confini e delle distanze completamente diversa, attraverso la compressione della dimensione spazio-temporale concretizzano una socialità globale in tempo reale[22].
Culture diverse interagiscono, attraverso un pc, uno smartphone o un tablet, in pochi secondi tramite la condivisione di immagini, esperienze e obiettivi, instaurando relazioni impensabili fino a qualche anno fa.
Anche il mondo del lavoro subisce e metabolizza gli effetti di tale rivoluzione tecnologica e la maggior parte della millennial generation conosce gli strumenti, i codici e i linguaggi per trovare opportunità sul web, ricercando su Google gli annunci di posizioni vacanti, come imparare nuovi mestieri facendo videocorsi in streaming, come fare formazione seguendo lezioni in e-learning o, addirittura, come essere assunto sostenendo un colloquio on line. Questi cambiamenti hanno modificato in modo irreversibile il concetto stesso di lavoro, ampliandolo tecnicamente e semanticamente: sono nate nuove professioni, che richiedono capacità diverse rispetto a quelle tradizionali, le quali, a loro volta, sono state stravolte. Un indigeno digitale non saprebbe come muoversi nei nuovi settori, non saprebbe da dove cominciare, mentre un millennial sa benissimo quali sono le opportunità digital e come ottimizzare i propri guadagni con vlog, blog, eshop, siti web e molto altro. Una sfida continua, che annovera risorse alla portata di tutti, piattaforme informatiche semplici da utilizzare in un mercato profondamente concorrenziale.
I nativi digitali della prima ora ragionano in modo diverso. Non fruiscono il web in modo completo, ma preferiscono social e aggregatori di contenuti. Facebook e YouTube sono i siti che visitano e considerano prevalentemente come Rete. Pertanto, non interpretano il web come mezzo infrastrutturale e strumento di connessione globale[23]. Internet è per loro un bisogno generazionale, fa parte di quelle esigenze quotidiane necessarie come qualunque altra attività. Tale visione impedisce ai millennials di conoscere a fondo la creatura che li “nutre” quotidianamente. Infatti, non attualizzano completamente le potenzialità dei servizi commerciali, utilizzano WhatsApp e Messenger di Facebook per comunicare informazioni importanti, non hanno percezione dei limiti e del consumo di banda, si scambiano foto personali o dati sensibili tramite software pensando di agire nella privacy più totale, e interagiscono su Facebook senza pensare troppo alle conseguenze che questo può comportare.
Nel tempo è cambiata anche l’abilità manuale a causa di queste trasformazioni. La comprensione di come funzionano i dispositivi e le tecnologie è ridotta ai minimi termini. I nativi digitali crescono senza saper smontare, vedere, testare, gli strumenti che utilizzano. L’evoluzione tecnologica user friendly e il ciclo di vita minore dei dispositivi non gli permette di imparare le capacità tipiche degli immigrati digitali, obbligati ad imparare, a trovare soluzioni per far funzionare gli oggetti a propria disposizione.
Intorno alla nuova generazione di nativi digitali si sta strutturando un mondo virtuale chiuso ed eterodiretto, che nega le competenze e la comprensione delle dinamiche intrinseche.
La Generazione Z: i primi senza un mondo “non digitale”
La formazione digitale delle nuove generazioni non dovrebbe essere lasciata all’intuizione individuale. Dovrebbero essere la scuola, l’università, le classi dirigenti, le agenzie di socializzazione a capire i movimenti e le traiettorie dell’attualità in cui le nuove generazioni si muovono, a aiutare a gestire il cambiamento finalizzato a un utilizzo consapevole dei mezzi tecnologici non unicamente basato sulla mera partecipazione e sulla condivisione in senso stretto.
La Generazione Z, è quella dei nati tra il 1997 e il 2012. I suoi componenti sono i primi a non aver conosciuto un mondo senza tecnologie digitali, cosa che ha influito sulla loro socializzazione, sui loro consumi e le relative aspettative[24].
L’evoluzione dalla Homeland Generation alla iGeneration
La prima definizione maturata all’interno del mondo giornalistico per definirli fu Homeland Generation. Cresciuti all’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle, in un clima di paura e sfiducia, infatti, si ritenne inizialmente che potessero essere una generazione meno propensa a viaggiare e che considerasse più sicuro restare tra le proprie mura domestiche. Più tardi si cercarono altre espressioni più adatte per descrivere al meglio la generazione successiva a quella dei millennials: per questo, adottando un semplice ordine diacronico rispetto alle precedenti, si definirono i post-millennials come Generazione Z. Successivamente, con la comparsa della cosiddetta generazione Alpha[25], il termine divenne una categoria ombrello per riferirsi genericamente a tutte le generazioni successive a quella dei Millennials. Venne utilizzata anche l’espressione iGeneration per sottolineare la familiarità di questi nativi digitali con dispositivi hi-tech e gli ambienti digitali 2.0.
Se c’è un dato incontrovertibile è che la Generazione Z è la prima nata dopo la nascita e la diffusione del web. Il rito di passaggio dall’infanzia all’adolescenza che la caratterizza è rappresentato spesso dal possesso di uno smartphone o di un cellulare connesso a Internet: secondo una statistica del Pew Research Center, quasi tre quarti degli adolescenti di oggi ne ha uno, mentre appena il 12% di adolescenti non possiede un telefonino. Ogni loro azione quotidiana non passa attraverso la tecnologia che si portano tutto il giorno dietro: la distinzione tra online e offline, tra vita reale e vita virtuale ha perso significato[26].
Per lungo tempo si è creduto, per esempio, che i componenti di questa generazione evitassero Facebook e gli preferissero alternative, come Instagram, Snapchat o Tik Tok, a causa della massiccia presenza genitoriale all’interno della creatura di Zuckerberg.
Le sfide della dipendenza tecnologica per la salute mentale
Attualmente i temi su cui si dirige l’analisi e la ricerca, rispetto alla dipendenza generazionale dalle tecnologie digitali, vertono sugli effetti che una costante connessione può avere su felicità e soddisfazione percepite, se non, nei casi più esasperati, sulla salute mentale degli adolescenti. Le opinioni in merito sono contrastanti ma lasciano emergere un’unica, incontrovertibile evidenza: per la generazione Z la vita online annulla i confini con quella reale, a volte sovrapponendosi a quest’ultima.
Bibliografia
[1] A. Dal Lago, A. Molinari (a cura di), Giovani senza tempo. Il mito della giovinezza nella società globale, Ombre Corte, Verona, 2001.
[2] G. Amato, Le istituzioni della democrazia, Il Mulino, Bologna, 2014.
[3] P.C. Rivoltella, Nuovi Alfabeti. Educazione e culture nella società post-mediale, Editrice Morcelliana, Brescia, 2020.
[4] C. Dubar, La socializzazione. Come si costruisce l’identità sociale, Il Mulino, Bologna, 2004.
[5] M. Danesi, Eternamente giovani. Il mito dell’adolescenza della cultura moderna, Armando editore, Roma, 2006.
[6] P. Magnante, S. Savino, Società, cultura, socializzazione, SaMa, Roma, 2017.
[7] E. Amaturo, L. Savonardo, I giovani: la creatività come risorsa, Alfredo Guida Editore, Napoli, 2006.
[8] R. Memoli, B. Baldazzi, S. Bodavilla, M. Lori, A. Passero, M.E. Pontecorvo, S. Sarlo, Diffusione delle tecnologie di comunicazione e capitale culturale, in I. Mingo, M. Savioli (a cura di), Tempi di vita moderni, Guerini, Milano, 2011, pp. 185-215.
[9] P. Airoldi, Famiglie connesse. Social network e relazioni familiari online, in Media Education. Studi, ricerche, buone pratiche, Centro Studi Erickson, Trento, vol. VI n. 1, 2015.
[10] G. Riva, Nativi Digitali. Crescere ed apprendere nel mondo dei nuovi media, RCS MediaGroup S.p.A. Divisione Media, Milano, 2023.
[11] G. Riva. Op. Cit.
[12] S. Banerjee, L. Chai, Effect of individualism on Online User Ratings: Theory and Evidence, in «Journal of Global Marketing», gennaio 2019.
[13] M. Luzi, Manuale di sociologia generale, Edicusano, Roma, 2019.
[14] A. Marinelli, Networked famiglie, in E. Scabini, G. Rossi (a cura di), Famiglia e nuovi media, Vita e Pensiero, Milano, 2013.
[15] S. Papert, The Connected Family: Bridging the Digital Generation Gap, Longstreet Press, Atlanta, 1996; trad. it., Connected family. Come aiutare genitori e bambini a comprendersi nell’era di Internet, P. Ferri (a cura di), Mimesis, Sesto San Giovanni, 2006.
[16] P.C. Rivoltella, I ragazzi del web. I preadolescenti e Internet. Una ricerca, Vita e Pensiero, Milano, 2001.
[17] D. La Barbera, Dis-social network: gli schermi digitali e gli adolescenti che odiano, “Minori e Giustizia” 2/2021, pp. 81-92.
[18] A. Allegria, M. Di Stefano, F. Federici, Il diritto del Web, rete, Intelligence e Nuove Tecnologie, Padova, Primiceri editore, 2017, p. 324.
[19] Cicolani F., Millennials, La Corte Editore, Torino 2017.
[20] McLuhan M., Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano 2008.
[21] Bauman Z., Modernità liquida, Laterza, Bari 2006.
[22] Harvey D., La crisi della modernità, Il Saggiatore, Milano 2015.
[23] Khanna P., Connectography. Le mappe del futuro ordine mondiale, Fazi, Roma 2016.
[24] Bignardi P., Marta E., Alfieri S., Generazione Z – Guardare il mondo con fiducia e speranza, Vita e Pensiero, Milano 2018
[25] Con il termine Generazione Alpha s’identifica la generazione che segue alla Generazione Z. Viene comunemente identificata con i nati nella decade tra il 2010 fino alla metà degli anni 2020. Chiamata con la prima lettera dell’alfabeto greco, è la prima generazione ad essere nata interamente nel ventunesimo secolo. La maggior parte dei membri della generazione Alpha sono i figli dei Millennials
[26] Rheingold H., Perché la rete ci rende intelligenti, Cortina Raffaello, Milano 2013.