La scuola come la conosciamo è al capolinea. Il modello di insegnamento frontale, con il docente dietro la cattedra intento a raccontare sempre la stessa lezione allo studente solo al suo banco, seduto davanti a un libro aperto, è un modello che non funziona più. Una modalità d’insegnamento resa obsoleta dagli stessi giovani che, vivendo immersi nella tecnologia e nella rete, hanno mutato radicalmente il loro modo di acquisire, organizzare e condividere la conoscenza. Di fatto, imponendo dal basso una vera e propria rivoluzione copernicana del nostro sistema scolastico.
“I nostri ragazzi sono cambiati – conferma Dianora Bardi, insegnante presso il Liceo Scientifico Lussana di Bergamo e anima del Centro Studi Impara Digitale – specie per quelli che oggi hanno tra i 14 e i 15 anni. Per loro la tecnologia è trasparente, una protesi della mente con cui fruiscono il sapere, tramite la quale interagiscono con reti di amici create superando i tradizionali limiti geografici. Se non ne teniamo conto – continua – non comunicheremo più con loro, né saremo in grado di trasmettere loro il sapere”. Rinnovare la scuola affinché sia ancora capace di formare i futuri cittadini digitali: è questa la sfida raccolta dal Centro Studi Impara Digitale, associazione nata nel marzo 2012 “per promuovere lo sviluppo di una modalità didattica innovativa”, questione centrale nella realizzazione di una vera Scuola Digitale.
Affinché quest’ultima diventi realtà, non basta infatti dotare gli istituti scolastici di tablet e Lavagne Interattive Multimediali (LIM), né è sufficiente digitalizzare i testi scolastici tradizionali. Ciò che deve cambiare radicalmente è la didattica: “Normative europee e italiane dicono chiaramente che noi dobbiamo andare verso una didattica laboratoriale, una didattica per competenze – spiega ancora la professoressa Bardi – lo studente deve essere protagonista della propria formazione e deve capire i processi dell’apprendimento, lavorando in gruppo secondo quelle logiche di rete e di condivisione cui è abituato vivendo quotidianamente nella Cloud”.
E’ un cambiamento che parte dal basso, perché viene richiesto a gran voce dagli stessi studenti, molti dei quali seguono con crescente interesse l’evoluzione del progetto Impara Digitale e di altre iniziative simili che in questi mesi vedono la luce in Italia. E che in massa sono accorsi per iscriversi all’evento Tablet School, convegno organizzato dall’associazione a Bergamo il prossimo 5 aprile. Un incontro costruito intorno ai ragazzi cui sarà dato modo di fare domande, porre istanze, avanzare proposte a insegnanti, esperti e rappresentanti delle Istituzioni, nell’ottica della collaborazione e condivisione. Un’occasione per lavorare insieme alla creazione una scuola veramente digitale che non è passata inosservata: “Abbiamo avuto ottocento iscrizioni in una settimana”, rivela infatti con soddisfazione Dianora Bardi.
Inutile dire che l’entusiasmo e la partecipazione degli studenti da soli non bastano a cambiare le carte in tavola: “La scuola ha una filiera lunga: ragazzi, professori, Istituzioni, case editrici, genitori. Siamo e dobbiamo essere tutti coinvolti – Spiega Marco Zamperini, Chief Innovation Officer presso NTT DATA e anche lui parte del progetto Impara Digitale – la scuola digitale non è una cosa che si fa per Decreto Legge. Richiede cooperazione e si fa solo se c’è amplissimo consenso. La tecnologia c’è – aggiunge – magari serve un po’ più di banda e più infrastruttura negli edifici, ma c’è. Devono cambiare la mentalità e il metodo d’insegnamento”.
Quanto detto finora rende palese sia la centralità del ruolo degli insegnanti, sia la sfida che si prospetta loro di fronte. Lasciarsi la didattica “lineare” alle spalle per entrare in una dinamica di collaborazione con gli studenti, per quanto agevolata da nuove tecnologie e strumenti digitali, non è cosa da poco. Un passaggio che impone la ridiscussione dalle fondamenta del ruolo stesso di formatore. “Quando dico che oggi gli insegnanti sono sempre più dei ‘community manager’ che usano le tecnologie per coordinare il lavoro di gruppo degli studenti, per guidarli nella scelta e nella selezione delle fonti, nella costruzione del loro percorso formativo, spesso leggo perplessità e spaesamento negli occhi di chi mi ascolta”, spiega Frieda Brioschi, presidente di Wikimedia Italia, che per Imparare Digitale si occupa anche della formazione dei docenti.
“Il problema più grande non è far adottare le tecnologie ai professori, quanto farli lavorare insieme, secondo lo stesso modello collaborativo adottato dai ragazzi”, aggiunge ancora Dianora Baldi. Secondo la professoressa che per prima in Italia ha introdotto nella scuola i tablet tre anni fa, “nell’era digitale, orari e programmi non hanno più alcun senso quando tutti siamo in rete e possiamo condividere nella ‘nuvola’ materiali, appunti, testi, progetti, di fatto abbattendo le pareti delle classi e creando una scuola che finalmente è aperta”.
In questo contesto, il docente diventa sempre più una guida, che deve essere capace di comunicare con i ragazzi usando il loro linguaggio, di proporgli percorsi di apprendimento compatibili con le loro nuove modalità di acquisire conoscenza. E che – cosa non banale – deve sapersi mettere in discussione al punto da accettare il “reverse mentoring”, ovvero di apprendere dagli stessi studenti quello che non sa delle tecnologie, in un’ottica di collaborazione e crescita comune costanti.
“Grazie al tablet e alla nuvola, i ragazzi hanno accesso ad archivi online dove dal primo giorno trovano tutto il materiale che useranno nel corso dell’anno scolastico, dove caricano i loro appunti – spiega la professoressa Bardi – e senza una guida opportuna, senza una progettualità che deve venire dai docenti, rischiano di perdersi. E’ tempo di comprendere che non esiste più il programma, esiste solo il progetto, concepito in modo multidisciplinare e trasversale”.
L’apprendimento come esperienza creativa, sperimentata partendo da fonti certe (i libri di testo digitalizzati e resi multimediali, ma anche la rete e le sue voci), che impone agli studenti la selezione e l’organizzazione delle fonti e dei contenuti, così come la rielaborazione critica dello scibile messo loro a disposizione, da ricostruire dinamicamente in un contesto collaborativo e creativo. Un paradigma semplicemente opposto rispetto al passato.
Ma la scuola italiana è pronta a tanto? “Ovviamente no – risponde Giovanni Biondi, capo dipartimento del MIUR – gli insegnanti non sono nativi digitali, e le strutture scolastiche attuali sono fatte per una scuola di tipo industriale: una sorta di catena di montaggio per la trasmissione del sapere. Però ci stiamo lavorando. Per esempio è per questo che nel piano d’innovazione della Scuola Digitale – continua – abbiamo dato linee guida anche su come si devono costruire le nuove scuole, i nuovi luoghi dell’apprendimento, dove i ragazzi non devono venire solo per prendere appunti, ma per essere protagonisti della didattica”. Intanto altri passi sono stati fatti, come l’introduzione del libro digitale a partire dall’anno scolastico 2014/2015. “Una scelta che sicuramente darà spinta al cambiamento – precisa Biondi – e che speriamo contribuisca a diffondere viralmente l’innovazione nelle nostre strutture scolastiche”.
La strada è segnata e non ci sono alternative. La sperimentazione è avviata e come tale, aggiusta il tiro strada facendo, procede alla ricerca di nuovi modelli grazie al confronto costante con il mondo della scuola e i suoi attori. Tra questi figurano anche i genitori, che devono essere necessariamente sensibilizzati e coinvolti nel processo del cambiamento: “Come genitori dobbiamo comprendere che la scuola digitale non solo una cosa bella da avere – conferma infatti marco Zamperini – ma un passaggio fondamentale per il futuro dei nostri figli. Siamo prigionieri di un modello alla Montessori. Siamo contenti se sono educati ma non altrettanto attenti al fatto che gestiscano la tecnologia con consapevolezza, e il rischio – conclude – è che siano usati dalla tecnologia invece di essere loro ad usarla”.