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Pizzetti: “Un nuovo costituzionalismo per l’UE digitale”



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Nella transizione dallo Stato tradizionale a quello digitale è necessario andare verso un nuovo costituzionalismo in grado di tutelare i cittadini anche in questo nuovo contesto: vediamo perché

Pubblicato il 9 gen 2024

Franco Pizzetti

professore emerito in diritto costituzionale, Università di Torino, ex Garante Privacy



AI appello urgente

La società digitale richiede un nuovo costituzionalismo che sappia declinare i tradizionali diritti fondamentali degli esseri umani anche nel mondo digitale già riconosciuti nella UE. Non si tratta di un problema risolvibile solo declamando la immodificabilità dei diritti fondamentali già affermati dalla UE nella sua Carta dei diritti e nelle sue regole.

Occorre uno sforzo molto più impegnativo. Lo stesso sforzo che, a ben vedere, è già alla base dell’imponente sviluppo regolamentare della UE in materia di diritti digitali ma che, per essere pienamente compiuto, richiede ora la acquisizione da parte dei cittadini e degli Stati che fanno parte della UE di una nuova consapevolezza e di una nuova fiducia nella UE che vogliamo e dobbiamo costruire.

L’obiettivo della sovranità digitale

Da tempo si parla in ambito europeo dello sforzo in atto nell’Unione per conquistare la “sovranità digitale”.

In particolare il lancio nel 2010 della Agenda Digitale Europea come seguito della strategia di Lisbona, alla quale ha fatto seguito poi nel 2015 la Strategia per il Mercato Unico digitale Europeo, già anticipata nei discorsi di lancio della sua candidatura e poi in quelli di presentazione delle linee politiche della Commissione dalla Presidente Ursula von der Leyen, ha spinto gli osservatori a ritenere che l’obbiettivo strategico della UE fosse quello di affermare i propri valori fondamentali in un quadro regolatorio europeo che potesse contrapporsi e operare come un ecosistema capace di essere concorrenziale nella nuova competizione mondiale aperta dallo sviluppo dell’economia globale, legata anch’essa allo sviluppo delle TLC ma dominata dalle grandi Big Tech USA, in un lato del globo, e dall’enorme espansione tecnologica cinese nell’altra parte del mondo.

Questa prospettiva, che appunto è stata alla base della visione legata alla c.d. “sovranità digitale europea”, ha avuto e tuttora ha un suo fondamento forte, che trova attuazione in particolare nei due Regolamenti UE legati al Mercato digitale (DMA) e alla disciplina dei servizi digitali (DSA), ai quali si deve aggiungere ora il Data Governance Act (DGA), per quanto riguarda l’economia dei dati e, in prospettiva, anche lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale in Europa. Non a caso entrambi i Regolamenti affermano un nuovo criterio territoriale posto alla base della regolazione europea. Essa, infatti, si applica tenendo conto del territorio nel quale risiedono i destinatari dei servizi assicurati dai fornitori digitali, e dunque assicura che le regole europee siano quelle che regolano la fornitura di servizi digitali a destinatari residenti o operanti nell’Unione.

Il ruolo della normativa

Tuttavia sia le caratteristiche stesse del DSA e del DMA che, a maggior ragione, il contenuto del Data Governance Act, finalizzato a incentivare la circolazione e l’utilizzazione dei dati all’interno dell’Unione come strumento essenziale per sviluppare la economia dei dati pur salvaguardando i valori fondamentali riconosciuti dall’Unione e già alla base di gran parte della sua regolazione relativa al mondo digitale, a partire dal GDPR, ci spinge a ritenere che ormai lo sforzo regolatorio della UE vada molto oltre la sovranità digitale.

Esso, infatti, guarda piuttosto ad affrontare il passaggio dal Costituzionalismo off line come noi lo conosciamo e lo insegniamo nelle nostre Università, al Costituzionalismo digitale. In sostanza la regolazione UE è ormai così ampia e tocca così tanti aspetti delle relazioni umane, sociali ed economiche nell’ambito della società digitale che diventa sempre più restrittivo e fuorviante limitarsi a vederla come una regolazione dominata dalla prospettiva delle relazioni e delle attività produttive e della competizione economica.

Verso un nuovo Costituzionalismo

È sempre più chiaro, invece, che la UE, ben consapevole dell’essere un’Unione basata su due gambe consistenti non solo nello spazio unico economico europeo ma anche nello spazio unico valoriale dell’Unione, tenta, più o meno consapevolmente, di misurarsi anche con la costruzione di un nuovo Costituzionalismo, basato proprio sulla centralità dei valori fondamentali che sono alla base dei diritti di libertà come sviluppati nel mondo europeo. Diritti che devono necessariamente transitare anche nel nuovo mondo digitale se non si vuole mettere in crisi il fondamento stesso della UE.

In altri termini, se è ben vero quanto detto dalla Presidente von der Leyen quando ha ricordato, nel suo documento “My view of Europe” del 2022, che la Unione è prima di tutto lo spazio unico economico europeo, è non meno vero quanto ricorda la “Dichiarazione sui diritti e i principi digitali: i valori della UE al centro della trasformazione digitale” del 15 dicembre 2022. In questa Dichiarazione il Consiglio, il Parlamento europeo e la Commissione si sono impegnati “a favore di una trasformazione digitale inclusiva, equa, sicura e sostenibile che mette le persone al centro” e a “Preservare i valori fondamentali dell’UE on line è importante quanto preservarli nel mondo reale”.

Come sottolineato dall’Ufficio Stampa del Consiglio europeo nel Comunicato del 15 dicembre 2022, questa Dichiarazione “integra tra l’altro riferimenti alla sovranità digitale in modo aperto rispetto ai diritti fondamentali dello Stato di diritto, all’inclusione, all’accessibilità, all’eguaglianza, alla sostenibilità, alla resilienza, alla sicurezza, al miglioramento della qualità della vita, alla disponibilità di servizi e al rispetto dei diritti e delle aspirazioni di ognuno”.

Dallo Stato tradizionale a quello digitale

Insomma, man mano che la società digitale si afferma e lo Stato tradizionale deve cedere spazio allo Stato digitale, anche la cornice costituzionale che contiene le regole fondamentali della convivenza civile come sviluppatasi nei secoli che ci stanno alla spalle va ridefinita, adattandola alla nuova realtà digitale.

Non è dato sapere quanto di tutto questo siano consapevoli le Istituzioni e i cittadini europei ma quello che è certo è che, consapevolmente o no che accada, tutto lo sforzo regolatorio in corso nella UE è comprensibile solo in questa prospettiva.

Solo in questo quadro, del resto, si può davvero pensare di salvaguardare e irrobustire i diritti fondamentali che sono alla base della Unione.

Il controllo sugli influencer

A dimostrazione di tutto questo può essere richiamata ora anche la recente iniziativa della Commissione Europea finalizzata ad analizzare, con la collaborazione degli Stati che fanno parte del Consumer Protection Cooperation Network, le attività on line degli influencer, per accertare se vi siano, e quanto siano ampi, fenomeni di pubblicità e annunci ingannevoli che mettano a rischio, abusandone, la fiducia dei consumatori.

Si tratta di una iniziativa che si pone esattamente all’incrocio tra la tutela di una economia competitiva e aperta e la difesa dei consumatori, come sottolinea l’interesse con cui questa iniziativa è stata accolta in Italia dal Codacons.

Quello che conta, però, è sottolineare che al centro dell’iniziativa sta l’intento di tutelare i consumatori e, in particolare, i più giovani. Ha detto infatti il Commissario alla Giustizia Didier Reynders che “il business degli influencer è fiorente e molti consumatori, spesso giovani o addirittura bambini, si fidano dei loro consigli”.

La necessità di fiducia nelle relazioni

Si profila così un nuovo costituzionalismo europeo basato non solo sulla tutela dei cittadini dai poteri sovrani, compresi quelli economici fondati sull’uso delle piattaforme digitali, ma mirante anche a garantire una società digitale che garantisca ai cittadini di potere aver fiducia nelle relazioni che intrecciano grazie ad essa e alle tecnologie che essa mette a loro disposizione.

Una linea, questa, che rafforza un pilastro fondamentale del GDPR il quale fin dai primi considerando mette in rilievo che la protezione dei dati personali è essenziale affinché i cittadini possano avere fiducia nella società digitale. Tutti i diritti costituzionali classici sono sempre stati basati sul garantire i cittadini di poter sviluppare le loro attività senza incontrare vincoli e controlli che ne limitino la libertà.

È impressionante però vedere ora come la consapevolezza della realtà digitale spinga la UE a dettare regole finalizzate appunto a garantire ai cittadini di potere avere fiducia nelle relazioni che questa società consente e nei comportamenti che permette di tenere. Emerge dunque una idea di fiducia che va oltre il Digital Trust, concetto questo da tempo elaborato per indicare l’obbligo di proteggere, nel mondo connesso, gli utenti, i software, i server e in genere i dispositivi, i contenuti digitali i documenti e le identità generali da accessi illeciti.

Il diritto fondamentale a poter avere fiducia nella società digitale sta diventando oggi il diritto a conoscere se l’essere umano on line è in relazione con macchine o altri esseri umani o, se si preferisce, il diritto per gli esseri umani a poter sapere se la realtà che incontrano on line è la stessa che incontrano off line o se è una realtà costruita o modificata dalla tecnologia. È qui che, come dice il neo Presidente della Commissione italiana per l’IA Padre Benanti, l’etica e il diritto alla tutela della fiducia degli esseri umani nella società digitale si incontrano e si fondono in modo inestricabile.

Dunque vi sono ragioni solide per ritenere che il costituzionalismo digitale, che già si sta sviluppando, sarà un costituzionalismo capace di transitare nel nuovo mondo i diritti fondamentali del mondo che ci stiamo lasciando alle spalle anche se con esso dovremo convivere ancora non poco tempo. Un’epoca di grande interesse si apre dunque di fronte a noi, anzi già si è aperta.

È un epoca che interessa a fondo i giuristi, chiamati sempre a risolvere i problemi della regolazione sociale per consentire uno sviluppo solido della società stessa. Tuttavia è del tutto evidente che questi temi interessano tutti e, prima di tutto, i decisori politici degli Stati membri e della UE.

Una stagione sempre più ricca di sfide si apre dunque di fronte a noi. Ed è una stagione caratterizzata dal porre sfide che la UE, proprio per come è stata costruita e si è sviluppata in questi anni, può affrontare e vincere solo se gli Stati che ne fanno parte saranno capaci di essere all’altezza dei problemi che ci stanno davanti.

Di tutto questo gli attuali governanti europei sembrano esser consapevoli mentre meno sembrano esserlo i responsabili degli Stati, tutti impegnati a difendere i diritti degli Stati più che a costruire un quadro solido e forte di tutela dei diritti dei cittadini. Per questo le prossime elezioni europee sono importanti come mai finora era accaduto.

Conclusione

La transizione digitale pone una enorme sfida alla UE, più grande delle sfide già elevatissime, poste dalla competizione economica globale che proprio lo sviluppo della società digitale ha nel recente passato reso sempre più rilevanti.

Sarebbe bene che in questi mesi in tutti i Paesi europei, e per quanto interessa a noi soprattutto in Italia, ci si preparasse alle prossime elezioni europee con la consapevolezza delle sfide che il prossimo Parlamento UE e la prossima Commissione dovranno affrontare. La attuale Presidente della Commissione ha affidato a Mario Draghi il compito di preparare una relazione che guardi al futuro della UE nel mondo che cambia e ha fatto bene, anzi benissimo. Ma i cambiamenti in atto sono di dimensioni tali che non possiamo delegare soltanto ai tecnici, per quanto del livello di Mario Draghi, il compito di fornirci le ricette.

Come è avvenuto nei secoli che ci hanno preceduto, quando in ballo ci sono i diritti fondamentali e le regole costituzionali sono i cittadini che devono essere il motore della storia. Nel passaggio dalla società off line alla società digitale la parola torna dunque ai cittadini e ci torna perché è la storia che la dà a loro e solo a loro.

Più rapidamente comprenderemo tutto questo meglio sarà.

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