MEMORY SQUAD - 4° puntata

Nessun diritto riservato

Cronache dal futuro, a cura del docente visionario Edoardo Fleischner (Comunicazione crossmediale all’Università degli Studi di Milano, ma anche progettista crossmediale) per Agendadigitale.eu

Pubblicato il 22 Nov 2013

Edoardo Fleischner

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Nessun diritto riservato

“Davvero siete stati sempre tutti artisti? Da generazioni?”, Seriina Svanak stava sempre zitta. Non faceva mai domande. Non una da quando posava nuda per il maestro Maska Marithata. Si erano incontrati al Presence-Point, ormai senza memorie, ormai dismesso. L’aveva fantasticata, verificata e poi ingaggiata. Erano tre settimane che Seriina era entrata in quel dipinto.

“Davvero! Siamo stati tutti pittori dal lontano XXI secolo… Sempre con la stessa antica tecnica dei colori ad olio… Parliamo della vita. Noi Marithata parliamo da secoli della sua neritudine. E’ la nostra missione. E’ sempre stato così, chi vuol parlare della vita e chi, invece, vuol stupire”. Guardò a lungo, intensamente, la curva della spalla di Seriina.

La luce azzurrina, filtrata dalla vetrata, non era sufficiente a disegnarne il contorno. Fece gustare al pennello un poco di rosso cadmio, sfacciatamente rosso, e cambiò la giornata irritantemente piovosa in un tramonto coraggiosamente sfolgorante. Voleva confondersi le idee, contraddire la tradizione di famiglia. L’artista è il maggior combattente della noia, anche quando vuol trafiggersi.

“Non siamo collegati, vero?”

“No, Seriina, lo sai bene… E’ un anno che ogni memoria è cancellata… E quindi ogni telepresenza, ogni olopresenza… E la nostra secolare ‘copia di sicurezza’, quella di ‘nessun diritto riservato’, sai… quella! E’ introvabile!”

“Siamo soli, veramente soli?” replicò Seriina con esibita preoccupazione, ma incrinata da qualche artificiosità.

“Sì, siamo io e te, il pittore e la modella. Non più Platea Olografica Estesa… Non più l’opera in divenire in milioni di case e piazze mentre l’artista la compone nel suo studio… stai tranquilla…”

“Era meglio o peggio di adesso?” Seriina, non si mosse, rimase di spalle, braccia e gambe distese, ad abbracciare l’infinita città oltre la vetrata, al 521esimo piano, seduta sulla stessa sedia di vimini, usata da quattordici generazioni dai Marithata nei propri atelier inaccessibili. Tutti gli atelier erano inaccessibili, in forza dell’articolo 8 della Costituzione della Galassia.

“Guadagnavo di più quando c’era memoria per tutti…” Disse in un soffio il maestro Marithata. Svitò di scatto il tubetto del giallo primario, ne spinse fuori un poco, ne mischiò una goccia col rosso che era platealmente in attesa di compagnia.

Undici giorni prima Stefano Magli fotografava i sessantasei dipinti dell’ultima mostra di Maska Marithata. Dovette imparare come si usavano le memorie solide delle vecchie fotocamere. Nessun laboratorio era stato in grado di ripristinare le biomem neuronali in uso fino a un anno prima, prima del Grande Ictus Mnemonico.

Portò gli scatti sull’autobus, apparentemente di linea, a due piani, sempre in moto, base di copertura della sua Memory Squad. Numero “30 Express”, percorso della circonvallazione esterna, in questa missione le scritte sulle fiancate erano in chinglish. Al piano di sopra i vetri erano oscurati con cartelli ben visibili di “fuori uso”. Il piano strada era sempre tenuto strapieno con figuranti. Erano molti i vecchi bus ricostruiti fedelmente sui modelli inglesi del XX secolo. I turisti continuavano a preferirli al trasporto in sospensione.

Akil Khaspros, responsabile della squadra, scorreva le foto ed ogni tanto girava lo schermo a favore di Stefano Magli. “Stefano, io dico che nei suoi quadri c’è la traccia che cerchiamo.” Stefano scuoteva la testa: “Ma un uomo così scaltro, così intelligente, un artista, un nostro genio, perché mai dovrebbe regalarci un indizio, uno spunto, per farci arrivare alla formula di “nessun diritto riservato” che la sua famiglia costudisce impenetrabile da più di duecento anni? Che rende gli artisti leader condivisi della Galassia…”

La squadra usò l’ascensore d’emergenza. Arrivò al 522esimo piano. Entrò con la simul-key nell’appartamento sopra l’atelier inaccessibile di Marithata. Attivarono i visori. I cinque della Memory Squad ora monitoravano la vita del piano di sotto. Il pittore parlava con la modella. La modella col pittore. Parlava, parlava. Per la prima volta. Troppo.

“Maestro, si dice che lei sia il pessimismo puro. Così come suo padre e suo nonno, i suoi avi… Generazioni di quadri cupi, tinte forti ma senza un biancore…” Seriina parlava alla vetrata, a voce alta. Le parole rimbalzavano sulla vetrata. Le parole riempivano l’atelier. E salivano chiare al piano di sopra.

Nel visore di Khaspros, Maska Marithata prese il tubetto del nero. Quello del bianco era intonso. Più grosso degli altri. Impietrito dalla ruggine.

“Nel tubetto del bianco!” gridò Stefano Magli.

Dalla vetrata perfettamente sfondata i cinque della Memory Squad violarono l’immenso atellier. Marithata perdeva in quell’istante la sua inviolabilità ma guadagnava i diritti per l’intera umanità.

Mentre la piccola memoria degli artisti, la “copia di sicurezza”, sigillata in una capsula d’avorio, usciva dal tubetto del bianco titanio squarciato Marithata si girò verso Khaspros: “Vi siamo tutti riconoscenti” mormorò, “Si torna a quando si stava meglio… nessun diritto riservato…”

(4 – continua)

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