Neuroscienze e sicurezza: il portato emozionale relativo alle decisioni sulla sicurezza è fondamentale per portare una persona ad adottare la giusta dose di attenzione ai comportamenti sicuri.
Infatti, le decisioni non sono solo frutto di calcoli logici, ma l’esito di un complesso processo in cui cognizione e emozione giocano un ruolo importante.
Le emozioni sono dominanti in tutti i processi organizzativi, compresi quelli che sottostanno alla sicurezza in contesto lavorativo.
L’obiettivo della convergenza tra neuroscienze e sicurezza è quello di tentare di offrire strumenti per agire sulle forze dinamiche, spesso inconsapevoli, che danno forma ai processi decisionali.
Inail: “La nostra strategia per stare al passo con la trasformazione digitale”
Su “La neurobiologia al servizio della sicurezza” si è tenuto a febbraio il webinar co-organizzato da Inail/Dipartimento per l’innovazione tecnologica e CNR/IBBA di Milano nell’ambito del progetto BRIC “Approcci innovativi alla biosicurezza per la tutela della salute dell’uomo e dell’ambiente” .
Progetto inserito nel percorso di ricerca scientifica Inail “Prevenzione e tutela della salute e dell’ambiente nei laboratori che utilizzano metodiche biotecnologiche avanzate ed innovative”.
Il confronto tra i ricercatori e i professionisti invitati ha permesso di tracciare alcune delle attività innovative del progetto attualmente in fase di realizzazione che trovano una ricaduta e possibile applicazione nell’ambito della sicurezza sul lavoro.
Neuroscienze e sicurezza: le emozioni nella percezione del rischio
Il processo decisionale (decision-making) è una funzione mentale complessa influenzata da molteplici aspetti cognitivi, processi comportamentali ed emotivi.
Sono stati sviluppati diversi compiti che valutano diversi tipi di processo decisionale.
Un processo decisionale “sano” è cruciale per la gestione della nostra vita quotidiana: ci si trova spesso a dover prendere innumerevoli decisioni anche rapidamente e inaspettatamente, il più delle volte in contesti dove non esistono elementi che possano predire l’esito della nostra decisione e quindi senza la possibilità di valutarne i possibili rischi e benefici.
Sono proprio le esperienze personali che, sottoposte ad analisi e studi, possono fornirci informazioni relative ai possibili risultati associati ad una determinata decisione, e proprio attraverso questi studi emerge che le decisioni prese sulla base dell’esperienza coinvolgono fattori emotivi e motivazionali.
Per lungo tempo la valutazione dei disturbi neurodegenerativi si è concentrata su disturbi cognitivi quali memoria, linguaggio, attenzione, percezione visuo-spaziale.
Nell’ultimo decennio, tuttavia, lo studio del processo decisionale nelle malattie neurodegenerative è stato oggetto di numerosi studi e approfondimenti sia clinici sia sperimentali.
La demenza fronto-temporale, caratterizzata dalla degenerazione delle aree cerebrali prefrontali, in particolare la corteccia orbito frontale, già nelle fasi precoci di malattia induce ad un’alterazione del processo decisionale.
Questi soggetti, più di altri, presentano una alterazione della percezione del rischio che li porta ad assumere comportamenti rischiosi.
Neuroscienze e sicurezza: il nudging, la spinta gentile
La sicurezza dipende da un insieme di fattori: le emozioni, la propensione ad obbedire alle regole, la capacità di far fronte al sovraccarico cognitivo e altri fattori che oggi, grazie alle neuroscienze, sono indagabili in modo molto più preciso ed oggettivo di quanto mai accaduto in passato.
Il modello psico-comportamentale “Nudging-gentle push” nel settore della sicurezza e delle applicazioni biotecnologiche risponde in maniera trasversale alle regole d’oro di Vision Zero: 2-6 e 7.
I ricercatori del labVIII del Dipartimento dell’Innovazione Tecnologica dell’INAIL hanno studiato diversi approcci metodologici per le attività di formazione/informazione e sensibilizzazione dei giovani lavoratori, nel settore della sicurezza nelle applicazioni biotecnologiche.
L’ultimo approccio più interessante e innovativo va oltre la formazione partecipata/interattiva: attraverso l’integrazione del modello psico-comportamentale “Nudging-gentle push” è verificato come si possano produrre piccole modifiche nella percezione delle proprie capacità di scelta e possibilità di compiere cambiamenti significativi dando spazio ed importanza alla propria dimensione emotiva.
Dimensione che è il motore motivazionale per innescare processi di cambiamento.
Il “nudging” è legato ad una logica di cambiamento “dal basso”: è fondamentale il coinvolgimento dei destinatari, in una logica di partecipazione autentica perché mirata e non imposta. La sola forza dell’imposizione, della prescrizione, della pura logica o della punizione non è notoriamente funzionale alla realizzazione di un cambiamento concreto.
È necessaria invece l’adozione di una spinta gentile che può essere adattata e modulata in base allo specifico contesto di attuazione.
A partire dalle attuali conoscenze sul funzionamento della mente nei processi decisionali, è possibile ideare delle strategie creative per allestire un contesto che favorisca il coinvolgimento psicologico (engagement) e solleciti tramite “suggerimenti gentili” la messa in atto di determinati comportamenti nel contesto privato e pubblico, senza coercizione e lasciando libertà di scelta.
La metodologia di trasmissione diretta delle informazioni veicolate dalle emozioni ben si inquadra nel modello “nudge”, di spinta gentile.
La “spinta gentile” quindi può ritenersi utile modello da applicare alle scelte consapevoli dei lavoratori, il cui percorso orientato su un modello educativo, stimoli l’adozione di buone pratiche e comportamenti virtuosi anche nella quotidianità: la metodologia prevede in sintesi il ricorso a semplici, piccoli aggiustamenti, che possono però portare impatti enormi e influenzare le scelte delle persone.
Si basa dunque su tecniche di persuasione a cambiamenti comportamentali.
L’applicazione del modello consente di intervenire sugli atteggiamenti degli individui spingendoli ad adottare azioni orientate verso i migliori risultati prevenzionistici raggiungibili.
Neuroscienze e sicurezza: le attività del progetto Inail
“Prevenzione e tutela della salute e dell’ambiente in caso di impiego di tecniche biotecnologiche avanzate” è un progetto Inail che prevede anche la collaborazione dei ricercatori della Fondazione Santa Lucia IRCCS e l’Istituto di biologia e biotecnologia Agraria del CNR.
Tra gli obiettivi: far accrescere la cultura e le competenze per la prevenzione e la tutela della salute e dell’ambiente in caso di uso confinato di MOGM.
Per raggiungere lo scopo, è stata creata una rete tra i RSPP-Responsabili dei Servizi di Prevenzione e Protezione di atenei, aziende ospedaliere e istituzioni, per un efficace e sistematico confronto sulle conoscenze di base e sulle nuove evidenze lavorative in realtà così “fluide”, in ottemperanza al d.lgs. 206/2001.
Sono stati realizzati appositi strumenti di monitoraggio anche in continuum dell’ambiente di lavoro, e avviati corsi di formazione e sensibilizzazione per le aziende sanitarie, universitarie ed ospedaliere, per assicurare il rispetto della direttiva 2009/41/CE da parte degli utilizzatori di tecniche biotecnologiche.
Le figure coinvolte sono state individuate tra i titolari degli impianti e i ricercatori che utilizzano metodiche biotech nel dipartimento universitario/ospedale, con il compito di avviare un dialogo costruttivo tra gli addetti, Inail e le autorità competenti (Ministero della Salute e Ministero dell’Ambiente) per verificarne esperienze, discuterne aspetti legislativi e approfondire le esigenze specifiche degli utilizzatori.
Tutte le attività sono state mirate alla promozione della sicurezza, intesa come attuazione di un processo sistemico complesso che presupponga incrocio di competenze e tecniche scientifiche, molto diversificate dal punto di vista disciplinare, ma con l’obiettivo comune e non rinunciabile di unire tutti gli sforzi finalizzati alla razionalizzazione ed al miglioramento degli ambienti di lavoro.
Questa modalità di approccio al tema ed il percorso realizzato dai ricercatori coinvolti costituisce un modello operativo estendibile a livello nazionale alla realtà universitaria e ospedaliera.
Sicurezza e biotecnologie in Italia
Il comparto biotecnologico in Italia è in continua crescita: allo stato attuale, si registrano 13.000 addetti e 571 imprese, con circa 500 impianti pubblici e privati per l’applicazione delle metodiche biotecnologiche, autorizzati dal Ministero della Salute secondo il D.Lgs. 206/2001 (Direttiva 2009/41/CE).
Il DL stabilisce che chiunque abbia intenzione di utilizzare MOGM (Microorganismi geneticamente modificati) deve ricevere l’autorizzazione preventiva dall’autorità competente italiana che ha sede presso il Ministero della Salute.
Attraverso un Comitato Tecnico Sanitario di cui fa parte anche l’Inail, l’autorità competente ha il compito di valutare ed autorizzare: gli impianti dove vengono effettuate le attività (di ricerca, di sviluppo e produzione); il tipo di manipolazione genetica; i rischi prevedibili, immediati o futuri che il MOGM o la combinazione di MOGM utilizzati possono presentare per la salute umana, animale e per l’ecosistema.
Le applicazioni delle tecniche di biologia molecolare in campo biomedico rappresentano attualmente il settore nel quale le biotecnologie hanno dato il contributo più significativo sia in termini di prodotti terapeutici che di ricerca e sviluppo.
Le biotecnologie sono uno dei settori di ricerca avanzata in cui maggiormente si è cercato di sviluppare delle linee guida e delle regolamentazioni per la tutela della salute dell’uomo, degli animali e dell’ambiente, spinti, anche, dalla necessità di armonizzare le strutture legislative ed amministrative dei diversi Stati membri dell’UE.
Molti degli impianti autorizzati dal Ministero della Salute sono localizzati presso gli atenei universitari e le Aziende Ospedaliere: anche se la quasi totalità degli atenei ha formalizzato l’approccio sistemico in un regolamento interno, ancora non si registra una piena corrispondenza tra azioni formali ed effettiva attuazione delle azioni operativo-gestionali.
I fattori che ne ostacolano il pieno successo sono legati prevalentemente alla realtà universitaria, che deve coniugare la gestione della prevenzione con una organizzazione molto complessa e flessibile e, per quanto dotata di autonomia, libertà di ricerca e di didattica, deve fare spesso i conti con un elevato turn-over del personale.
Neuroscienze e sicurezza: è il fattore umano che fa la differenza
Le attività di ricerca sul campo prevedevano una sperimentazione condotta all’interno del mondo del lavoro e della scuola, durante la quale si è riscontrato che spesso è il fattore umano a costituire il vero punto debole nei sistemi di sicurezza.
Per contrastare tale fenomeno, è richiesta l’attivazione di un idoneo piano di intervento in grado di migliorare le competenze.
Un percorso mirato di addestramento, istruzione e apprendimento per aumentare la consapevolezza delle conseguenze reali e potenziali, delle proprie attività lavorative, del proprio comportamento e dei benefici derivanti dal miglioramento delle prestazioni personali.
Lo studio sul campo ha evidenziato, ad esempio, come il personale dei laboratori di ricerca (personale precario sottoposto a turnover, studenti universitari, borsisti, tesisti), sia quello molto più esposto ad un rischio professionale, frequentemente sottovalutato dai diretti interessati, che percepiscono l’esistenza di tale rischio solo in caso di incidente.
Ne consegue che la pericolosità degli agenti utilizzati, l’adeguatezza dei dispositivi di protezione e le condizioni delle attrezzature non dovrebbero essere sottovalutati o comunque valutati separatamente, ma come facenti parte di un’unica procedura.
Sono emersi molteplici fattori che influenzano la percezione del rischio: le caratteristiche del rischio stesso, le emozioni, le variabili personali (personalità, caratteristiche psicologiche, esperienze pregresse, background culturale e socioeconomico), le caratteristiche organizzative (clima, comunicazione).
Tutti i fattori di rischio che concorrono ad una determinata attività devono essere identificati allo scopo di definire procedure standard per limitare, quanto più possibile, il rischio correlato.
Per la riduzione del rischio di esposizione risulta infatti di fondamentale importanza la professionalità, l’addestramento, l’esperienza ed il buon senso dell’operatore.
Identificati i fattori di rischio emergono anche gli stili emotivi come la resilienza, la prospettiva, l’intuizione sociale, l’autoconsapevolezza, la sensibilità al contesto che si assumono nell’attività lavorativa e che permettono di indagare sui processi di decision-making legati alla sicurezza.
Biotecnologie e sicurezza: la banca dati molecolare dell’Inail
Il raccordo tra le figure coinvolte ha consentito la realizzazione di una piattaforma digitale, www.biotechsafety.org, come strumento di dialogo tra gli attori della prevenzione e che permette di acquisire, elaborare e proporre materiali informativi relativi alle figure professionali, alle fasi lavorative, ai profili di rischio, alle strategie di prevenzione con particolare riferimento ai settori delle aziende sanitarie, universitarie ed ospedaliere.
L’attività di ricerca del progetto in corso non vuole essere fine a sé stessa ma rappresentare una continuità nel tempo: è orientata alla creazione di reti tra atenei, imprese, aziende ospedaliere e istituzioni finalizzata e alla realizzazione del Primo Network Italiano, che permetta una diffusione della cultura della sicurezza nel settore biotecnologico a volte sottovalutato.
In un tale contesto un ruolo di particolare importanza lo rivestono i dati provenienti dalle varie strutture.
Il Dipartimento per l’innovazione tecnologica della Direzione Ricerca in collaborazione con la Direzione Organizzazione Digitale dell’Inail e l’Università degli studi di Roma “La Sapienza” ha realizzato la prima banca dati molecolare Inail, denominata BiTdata, in assonanza ai Big data.
Si tratta di “dati molecolari BioTecnologici” che fungono quasi da “Biglietto Tecnologico” dell’esposizione occupazionale. La necessità di analizzare l’enorme quantità di dati generati dalle tecnologie “omiche” ha dato un forte impulso alla creazione di nuovi strumenti e metodi bioinformatici, tra i quali lo sviluppo di repository digitali.
Tali repository, pur condividendo tra di loro molte informazioni, presentano parziali ridondanze e non sempre sono accessibili attraverso una interfaccia univoca e di semplice utilizzo da parte del singolo ricercatore.
Una delle sfide più importanti consiste quindi nel rendere fruibili e accessibili i dati depositati, e nello sviluppare strumenti che consentano di effettuare analisi di campioni con caratteristiche biologiche comparabili. Tali approcci sono, ad esempio, particolarmente vantaggiosi nello studio delle diverse esposizioni a vari fattori ambientali, correlati e non a luoghi di lavoro.
L’analisi potrebbe infatti evidenziare quali mutazioni o alterazioni dell’epigenoma siano più frequenti in individui esposti a specifiche condizioni ambientali, fornendo anche potenziali biomarker che potrebbero rivelarsi utili per l’attività di screening e diagnosi precoce in categorie a rischio.
BiTdata prende in esame piattaforme informatiche internazionali che mettono a disposizione dataset completi dei principali cambiamenti genomici in seguito ad esposizione occupazionale ad agenti fisici chimici e biologici. È progettata allo scopo di individuare set di dati rilevanti a fini della prevenzione, rendendo fruibili e accessibili i dati depositati nei “repository” pubblici, e consentirebbe di effettuare “meta-analisi”, analisi di campioni con caratteristiche biologiche comparabili; consentendo una delle più importanti sfide della bioinformatica.
Gli studi del trascrittoma, inoltre, combinati con tecniche di data mining, possono fornire nuove informazioni sulla patogenesi di numerose patologie e possono contribuire all’identificazione di nuovi bio-marcatori candidati con potenziale valore clinico.
Nell’ambito delle attività del progetto sopra descritto, un ulteriore stream di ricerca ha previsto l’impiego di tecnologie cognitive, in collaborazione con il partner tecnologico Inail Direzione organizzazione digitale e Ibm Italia, per facilitare e velocizzare la raccolta delle informazioni per la nuova Banca dati molecolare.
L’attività di raccolta dei dati della BiTdata, è stata automatizzata, attraverso tecnologie di intelligenza artificiale, e viene rinnovata con cadenza regolare al fine di mantenere costantemente aggiornato il database.
Tra i risultati ottenuti dall’impiego di tali tecnologie nel progetto ci sono la riduzione delle attività manuali da parte dei ricercatori, la riduzione degli errori e la velocizzazione delle ricerche nei repository digitali.