diritto e tecnologia

NFT e Metaverso, come gestire la normativa: tutti gli aspetti da chiarire

È acceso il dibattito sulla necessità di adottare nuove regole ad hoc per NFT e Metaverso oppure di interpretare in chiave differente le norme già esistente cogliendo tutte le potenzialità di queste due innovazioni per le imprese e per il mercato: vediamo la situazione

Pubblicato il 22 Ago 2022

Cesare Galli

Avvocato e titolare della cattedra di Diritto industriale nell'Università degli Studi di Parma

extended reality - metaverso

Come è accaduto in molti altri casi, anche con NFT e Metaverso il web si pone all’avanguardia dei cambiamenti nella comunicazione d’impresa e inevitabilmente questo cambiamento non riguarda solo il marketing, ma anche il diritto. Il dibattito che si è aperto al riguardo è tuttavia spesso viziato da una duplice incomprensione: da un lato, si reclamano nuove norme calibrate su singole fattispecie e quindi destinate ad essere rese rapidamente obsolete dall’evoluzione tecnologica e sociale; dall’altro lato si concentra l’attenzione solo sulle applicazioni più clamorose di queste nuove tecnologie, senza coglierne (e valutarne sul piano giuridico) tutte le potenzialità.

NFT e Metaverso sono paradigmatici di questo approccio doppiamente inadeguato, ma al tempo stesso sono anche suscettibili di diventare il banco di prova di una nuova impostazione, capace di dare risposte non solo ai problemi di oggi, ma anche a quelli di domani.

Metaverso industriale, così aiuterà a risolvere i problemi dell’industria reale

NFT e Metaverso, l’esigenza di integrare mondo reale e virtuale

Anzitutto, in questo caso, è bene chiarire di che cosa stiamo parlando. NFT e Metaverso sono infatti comunemente percepiti come legati soltanto alle opere d’arte “virtuali” (gli NFT) e a una sorta di versione tecnologicamente aggiornata di “Second Life” (il Metaverso). Essi sono certamente tutto questo, ma sono anche molto di più e molte di più sono correlativamente anche le esigenze di corretto inquadramento legale dei problemi e delle opportunità che suscitano, che richiedono di integrare virtuosamente (e in modo sicuro) mondo reale e mondo virtuale.

Questa integrazione è evidente anzitutto negli NFT, di regola garantiti attraverso il ricorso alla tecnologia Blockchain, che non sono soltanto utilizzati per rendere riconoscibili (e negoziabili) come tali gli “originali” delle opere d’arte digitali, distinguendoli dalle copie, ma possono diventare – sempre attraverso un’adeguata contrattualizzazione (che frequentemente prevede anche il pagamento di una royalty al titolare dei diritti in caso di cessione del token, secondo un modello che ricorda il diritto di seguito sulle vendite successive delle opere dell’arte figurativa) – veri e propri titoli di credito sui generis, a loro volta negoziabili, rappresentativi (token, appunto) di beni e servizi del mondo reale, magari non ancora prodotti (e che verranno prodotti sulla base della domanda, riducendo gli sprechi), che gli utilizzatori della rete possono scegliere in negozi virtuali e poi ritirare o farsi consegnare nel mondo reale, ed ai quali quindi sono pienamente applicabili le norme in materia di proprietà intellettuale, a cominciare dalla norma recentemente introdotta nell’art. 20 del Codice della Proprietà Industriale (e nell’art. 10 del Regolamento UE n. 2017/1001 sul marchio dell’Unione Europea), che attribuisce al titolare anche il diritto di vietare, salvo proprio consenso, di apporre il segno su “altri mezzi su cui il marchio può essere apposto ovvero di offrire, immettere in commercio, detenere a tali fini, importare o esportare tali mezzi recanti il marchio, quando vi sia il rischio che gli stessi possano essere usati in attività costituenti violazione del diritto del titolare”.

I fan token

Sempre tra gli NFT rientrano altresì i fan token, attraverso i quali il titolare dei diritti sui segni distintivi o sulle immagini o su altri materiali coperti dal diritto d’autore può instaurare un rapporto più stretto e coinvolgente con il pubblico, facendolo sentire parte di una community che si costituisce proprio intorno al valore comunicazionale ed esperienziale di questi oggetti virtuali, tutelato attraverso i diritti della proprietà intellettuale.

Metaverso e contraffazione

In questa stessa prospettiva, anche il Metaverso non è solo un mondo virtuale parallelo a quello reale, bensì può diventare una componente importante della comunicazione d’impresa e della fidelizzazione dei consumatori, riproducendo e integrando le esperienze di shopping del mondo reale ed estendendole a servizi che per il consumatore hanno un valore proprio perché sono in rapporto con questo mondo reale e non perché rappresentano un’alternativa economicamente più accessibile ad esso, aprendo quindi una nuova frontiera alla concorrenza tra imprese, sempre fondata sulla capacità di internalizzare e valorizzare le esternalità positive che si costituiscono intorno ai segni distintivi e dunque allo sfruttamento della funzione pubblicitaria, di comunicazione e di investimento che ai marchi viene oggi riconosciuta, secondo l’insegnamento della Corte di Giustizia europea e che giustificano sempre di più la felice metafora di Stefano Sandri, che già molte anni fa parlava di “marchi personificati”, ossia percepiti dai consumatori come amici, più o meno fidati, che li consigliano e li orientano nelle loro scelte commerciali, culturali e sociali.

Questo strumento perciò non costituisce solo una sfida per le strategie di registrazione e di contrasto alla contraffazione, ma creerà (e anzi sta già creando) anche nuove opportunità per lo svolgimento di attività di licensing e soprattutto di co-branding, dato che consente di creare più facilmente circoli virtuosi di utilizzazioni coordinate di segni distintivi imprenditoriali, ma anche di marchi territoriali e di DOP e IGP, per valersi scambievolmente e in modo reciprocamente profittevole dei rispettivi valori comunicazionali positivi, specialmente per competere su un mercato che resta globale anzitutto perché globale è la rete web.

Conclusione

Anche in questo caso non abbiamo dunque bisogno di nuove norme ad hoc, bensì di un’interpretazione evolutiva delle norme già esistenti, in materia di esclusive e di concorrenza, le une e le altre applicabili senza sostanziali differenze anche al web e ai soggetti che vi operano, anche non imprenditori, in quanto vi svolgano comunque un’attività economica, come nel caso degli influencer della rete (o aspiranti tali, che promuovono comunque se stessi in questo ruolo e quindi non possono sottrarsi alla disciplina delle pratiche commerciali, nel cui perimetro la loro attività incontestabilmente si colloca), attraverso il necessario dialogo e la condivisione delle diverse competenze ed esperienze degli operatori del mercato, dei tecnici, degli esperti di comunicazione, degli economisti e dei giuristi.

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