Dismorfofobia

Come il metaverso ci cambia il rapporto col corpo: nuovi rischi psicologici

Il metaverso di Meta, con i suoi avatar, potrebbe acuire alcune problematiche legate alla tossicità dei social. Nella dismorfofobia, preoccupano il narcisismo e la spettacolarizzazione del corpo. Due esperti, Barbara Collevecchio e Giuseppe Riva ci spiegano perché

Pubblicato il 01 Dic 2021

Mirella Castigli

ScenariDigitali.info

metaverso facebook

Il progetto di reingegnerizzazione dei social media con il Metaverso, introducendo avatar virtuali per interagire, potrebbe influenzare il nostro modo di percepire i nostri corpi.

In meglio, dice Facebook-Meta. Ma forse anche in peggio.

Il progetto Metaverso non solo sarà l’evoluzione dei social ai tempi della realtà aumentata, la visione immersiva di Facebook attraverso i dispositivi di Augmented reality (AR) come Oculus, ma anche l’interazione del mashup fra mondo fisico e digitale. Ci lavora anche Microsoft e altri.

Horizon Workrooms - Remote Collaboration Reimagined

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Tuttavia il Metaverso può avere un forte impatto sugli utenti e sulla loro relazione col proprio corpo, perfino acuendo quelle problematiche che erano già affiorate come la tossicità di Instagram per gli adolescenti e che Facebook aveva cercato di mettere a tacere.

A mostrarci cosa potrebbe avvenire sul Metaverso, con avatar virtuali che ci allontanano da una corporeità vera, sono anche gli studi sulle neuroscienze. Ne parla ad Agendadigitale.eu Barbara Collevecchio, psicologa ad orientamento junghiano, autrice de “Il male che cura” e studiosa anche del narcisismo in politica e leaderismo nella società dello spettacolo: “Oggi grazie alla grande evoluzione delle ricerche scientifiche che sono state portate avanti soprattutto in questo ultimo decennio dove le neuroscienze hanno addirittura aperto un nuovo filone che si chiama neuro psicanalisi, sappiamo che il corpo è fondamentale e il corpo e il cervello sono alla base del collegamento che c’è tra gli esseri umani”. Il rischio che corrono i ragazzi, a cavallo fra reale e virtuale, è anche la dismorfofobia o dismorfismo.

La dismorfofobia ai tempi del Metaverso

La psicologa Barbara Collevecchio mette in risalto l’origine della percezione corporea del sé, illustrando le cause profonde del rischio di dismorfofobia: “Sappiamo addirittura che la giunzione temporo-parietale destra è preposta alla percezione che il soggetto ha del proprio corpo ed è all’origine della sensazione corporea del sé e dipende dallo sviluppo delle aree corticali subcorticali che sono influenzate dalle relazioni primarie.

Le relazioni primarie sono quelle con il nostro care giver quindi con i nostri familiari, soprattutto nei primi due anni, la mamma, e da questo dipende. La relazione madre – bambino, crea un network implicato nell’integrazione multisensoriali delle esperienze di sé e degli altri e quindi questo network e questa capacità di interrelazionarsi con gli altri crea anche la capacità di mentalizzare del bambino e quindi una primaria sintonizzazione intersoggettiva”.

Che cosa significa tutto questo? Significa che “c’è un interrelazione molto importante tra natura, corpo e società e quindi innanzitutto le nostre relazioni primarie sono mediate dal corpo cioè quanto la mamma e quanto i care giver primari sono capaci di relazionarsi a noi e di mediare le esigenze, i bisogni e le pulsioni che derivano dal corpo, che ci arrivano dal corpo.

Se questa intermediazione e interrelazione c’è stata e questa sincronizzazione è stata sana allora noi avremo anche una regolazione degli affetti sana.

Se questo non avviene, abbiamo disregolazioni emotive che si riversano sul corpo, e purtroppo lo vediamo in tanti pazienti borderline o con problemi di dismorfofobia eccetera, dove ci sono somatizzazioni e addirittura dei veri e propri attacchi sul corpo”.

A rivestire un ruolo importante sono il narcisismo e la spettacolarizzazione del corpo, spiega la psicologa Collevecchio. Ecco perché: “Purtroppo stiamo vedendo un aumento incredibile, un incremento quindi di strutture borderline di personalità di attacchi anticonservativi e lesioni autoinflitte sul corpo delle pazienti, come i tagli.

È stato lanciato anche un allarme dal primario di neuropsichiatria dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma: abbiamo veramente un aumento incredibile di giovani adolescenti che hanno questo problema e appunto le nuove ricerche ipotizzano che siano dovute ad un problema di regolazione degli affetti e dalle disfunzioni delle cure primarie di attaccamento, ma le ricerche ci dimostrano anche che appunto il corpo è legato anche al concetto di cultura perché la cultura e i mass-media di un periodo storico raccontano e immaginano un ideale di corpo e anche questo influenza come noi percepiamo il nostro corpo.

Quindi non a caso in questo periodo di grande narcisismo e di spettacolarizzazione del corpo è possibile che queste continue visioni e narrazioni di corpi perfetti, postati sui social media anche dagli adolescenti, tutti questi filtri che possono modificare parti del corpo e deformare l’immagine, insomma tutto questo può acuire e portare ad una dis-percezione del proprio corpo e alla dismorfofobia e nei casi più gravi anche un attacco al corpo, vissuto come non all’altezza degli standard che ci sono”.

Barbara Collevecchio mette in guardia dal pericolo di allontanarsi da una corporeità vera: “Quindi una cosa molto importante è rendersi conto che alla base delle nostre relazioni c’è anche il corpo e le nostre relazioni non possono non essere mediate da una corporeità vera, dove deve esserci un corpo vero, non uno idealizzato o disincarnato”.

Ma il corpo vero è proprio ciò che Mark Zuckerberg vuole superare con l’introduzione degli avatar con cui gli utenti si immergeranno nel prossimo ambiente di realtà aumentata del Metaverso, per interagire a nuovi livelli per fare shopping, meeting virtuali, assistere a spettacoli, sperimentare nuove forme di engagement.

Gli avatar del Metaverso, fra realismo e desiderio

L’idealizzazione dei corpi nell’era social potrebbe avere conseguenze su vari piani. Giuseppe Riva, ordinario di Psicologia della comunicazione all’Università Cattolica di Milano, autore del libro “Selfie. Narcisismo e identità”, evidenzia l’evoluzione che è in corso, nel passaggio dai social al Metaverso: “Il successo dei filtri di Instagram sottolinea il desiderio di moltissimi utenti di mostrare sui social un corpo perfetto.

E la capacità del Metaverso di mostrare corpi esteticamente perfetti, che non sono soggetti all’invecchiamento, potrebbe spingere molti soggetti a decidere di apparire online solo con un corpo digitalmente ritoccato”.

Inoltre, la dismorfofobia potrebbe aprire nuovi mercati: “In Italia esiste già una società che consente di scannerizzare virtualmente il proprio corpoiGood – che poi può essere modificato usando programmi ad hoc. E ovviamente, il mondo dei corpi virtuali apre mercati totalmente nuovi”, conclude Giuseppe Riva.

Turn Scans into Realistic 3D People by Reallusion’s Character Animation Pipeline

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Infatti Gucci, brand del fashion globale con ricavi da 4,4 miliardi di euro, solo a metà 2021, già spera che utenti del Metaverso potrebbero voler vestire il loro avatar, modellato su un corpo passato allo scanner e al ritocco virtuale, con gli outfit dei marchi di moda, spendendo cifre da capogiro nella moda virtuale.

I nuovi mercati del Metaverso

Solo nella moda è in gioco un mercato che potrebbe valere almeno decina di miliardi di dollari. Parliamo del mercato dei capi fashion digitali: vestiti, scarpe, accessori, tutti rigorosamente virtuali. E i nostri avatar si preparano a indossare la moda digitale.

Il mondo del luxury segue i clienti nei suoi percorsi digitali. Se i clienti dei brand del lusso trascorreranno più tempo online, le aziende come Gucci le inseguiranno anche lì. Del resto hanno già inventato le sneaker virtuali, da provare con i visori di realtà aumentata, per vedere che effetto fanno indossate, prima di acquistarle in eCommerce. Il prossimo passo è crearle solo per il mercato AR.

Un utente ha recentemente speso 2.400 dollari per un paio di sneaker virtuali su un gaming mobile chiamato Aglet; un altro ha sborsato 9.500 dollari per un abito digitale che esiste solamente su  Instagram.

Gli stilisti, nell’arco di cinque anni, dovranno creare abiti non solo per le persone fisiche, ma anche per  avatar e per il settore del gaming. La collisione fra fashion e gaming è spiegato dalle cifre del giro d’affari:

  • 2,5 miliardi di gamer nel mondo;
  • trascorrono sette ore a settimana giocando;
  •  hanno 33 anni e fanno parte di quella classe medio-alta cui guardano brand come Gucci, Louis Vuitton, Prada, Off-White e Christian Louboutin;
  • i gamer già spendono 100 miliardi di dollari per acquistare beni virtuali.

La marca di cosmetici Estée Lauder ha già realizzato un gioco per scegliere i suoi popolari prodotti in ambito skincare.

L’idea dei brand della moda consiste nel permettere agli avatar di provare gli outfit prima di procedere all’acquisto, ma l’outfit potrebbe rimanere nelle frontiere del gaming: comprato nel gioco, per indossarlo solo lì, tanto che le Sneaker Garage di Gucci potrebbero essere solo digitali, perfette per essere una “shared experience”, co-create con Gucci, condivise sui social media, senza mai valicare i confini del mondo reale.

Ma poiché il fashion ha soprattutto a che fare con lo storytelling, l’aspetto aspirazionale e lo status, bisogna osservare che gli outfit virtuali avranno almeno un pregio: saranno sostenibili. Finora l’utente acquistava l’outfit per indossarlo una sola volta su Instagram, ora il digital dress eviterà questo spreco di energia e risorse.

Gli avatar del Metaverso e la percezione di sé

L’obiettivo del Metaverso è quello di realizzare avatar realistici e stilizzati, creando un feeling profondo con il nostro modo di presentarci agli altri. Non più le creature pixellate di Super Mario, ma figure sofisticate che ci rappresentano. Come gli utenti useranno i loro avatar è più complicato di quanto s’immagini.

Gli avatar del Metaverso non dovranno giocare, ma partecipare alla nostra vita vera, presenziare in un meeting o partecipare a un’intervista. In palio non c’è un tesoro o una coppa di un gaming, ma il nostro coinvolgimento nella vita reale, dunque gli avatar dovranno rappresentarci. Ma non è affatto facile.

Codec Avatars, un progetto di Reality Labs di Facebook in ambito VR/AR, sta lavorando per rendere  gli avatar foto-realistici, più umani, in grado di esprimere emozioni e con un miglior rendering dell’epidermide e dei capelli. Gli avatar non saranno uguali a noi, ma potranno condividere con noi il nostro modo di indossare gli abiti, di tagliarsi la barba o i capelli, i nostri tatuaggi eccetera.

La via per infondere umanità agli avatar del Metaverso sarà l’iper-personalizzazione realistica. Oppure l’opposto.

Infatti non è detto che gli utenti vorranno una copia di sé stessi, bensì la rappresentazione idealistica di come vogliono rappresentarsi. Ed è qui che, fra whitewashing ed altri stereotipi (non solo sulla razza), potrebbero insorgere le problematiche del Metaverso.

Le tendenze body positivity fanno aumentare l’autostima, ma questa presa di consapevolezza potrebbe essere effimera e svanire al momento della creazione dell’avatar. Molte persone non vogliono un avatar che le rappresenti così come sono, ma preferiscono, per esempio, Kardashian-ificare il proprio “mini-me” digitale.

Ma alterare, filtrare e manipulare la propria identità digitale potrebbe sfociare nella dismorfofobia. Sul Metaverso i problemi, apparsi su Instagram, potrebbero perfino moltiplicarsi, dal momento che ogni engagement sarà basato sugli avatar.

Con il rebranding, Meta potrebbe così portarsi dietro tutti i problemi emersi su Facebook / Instagram, e, questa volta, perfino elevati all’ennesima potenza, a causa del Metaverso.

I Facebook Papers hanno dimostrato che il social media ha piena consapevolezza degli effetti dei suoi prodotti sulla salute mentale degli utenti, anche se poi non è in grado di fare nulla per minimizzare le problematiche, per non dover rinunciare ai profitti. Ora tocca a governi, assistenti sociali, psicologi e comunità capire cosa c’è davvero in gioco con i social media. Proteggere le persone più vulnerabili non solo è etico, ma proprio necessario.

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