Articoli sui giornali più autorevoli, libri, convegni, ci mettono sull’avviso circa le minacce costituite dall’intelligenza artificiale, e in particolare sul rischio di una presa del potere da parte delle macchine o, inversamente, di una trasformazione dell’umano in meccanismo.
Visto che abbiamo una crisi energetica ed ecologica in corso, un riassetto geopolitico che promette guerre tra mondi, e l’evidenza di una umanità sempre più frustrata perché sempre più numerosa e irrilevante, vorrei far notare che mi sembra che siano timori da belle époque, ossia poco seri.
I rischi (veri e presunti) dell’intelligenza artificiale
Visto che il mondo digitale è un mondo fisico, non abbiamo bisogno di aspettare una fusione tra due mondi che sono lo stesso, e i robot del futuro saranno come quelli del passato: talvolta specializzati, come un martello o una vanga, talaltra multifunzione, come una nave, un aereo, un orologio, un cappello. Il rischio che l’intelligenza artificiale porti via il lavoro agli umani è reale, l’automazione è fatta per questo.
Il rischio che prendano il potere è implausibile perché solo gli organismi, dotati di metabolismo e di morte, hanno fini, bisogni e timori, dunque possono aspirare al potere. Nessun tostapane ha timori o desideri, e dal punto di vista ontologico AlphaGo è come un tostapane: si può accendere e spegnere più volte, non sa di giocare a scacchi più di quanto il tostapane sappia di tostare il pane, non ha voglia di giocare a scacchi più di quanto il tostapane abbia voglia di tostare il pane, non è felice, e non sa nemmeno, di aver vinto o perso.
In questo senso, i computer non sono più vicini agli umani di quanto lo sia una ruota, un coltello svizzero, un paio di occhiali: sono sempre con loro, a portata di mano, ma come strumenti per dei fini che vengono dagli umani. La macchina non diventa più simile a noi perché rimane un meccanismo che si accende e si spegne, e non un organismo con urgenze, bisogni, desideri, significati. E noi non diventiamo più simili alle macchine, soprattutto perché ora interessiamo a loro come portatori di preferenze, di comportamenti, di scelte (ossia come umani allo stato puro, e non come portatori di forza, pazienza, attenzione, come avveniva con macchine meno sofisticate).
Un futuro in continuità col passato
Non dimentichiamo, però, che c’è un altro senso in cui noi siamo sempre stati simili alle macchine: tutto il nostro essere umani, il nostro differenziarci dagli animali non umani, dipende dall’uso sistematico di strumenti tecnici, che sin da tempi remotissimi hanno avuto a che dare con l’intelligenza artificiale. Si pensi alle ossa su cui si incidevano dei calendari lunari, ai sistemi di computo e di scrittura, al linguaggio, che è qualcosa di artificiale perché naturalmente gli umani non sanno parlare. Insomma, quando faccio 6 x 8 = 48 sono una intelligenza artificiale, nel senso che nulla, nella mia natura, mi porta a ciò, l’ho imparato alle elementari. La differenza tra intelligenza artificiale e intelligenza naturale è che mentre quest’ultima è piena di intelligenza artificiale, l’intelligenza artificiale non ne ha nemmeno un po’, di intelligenza naturale, perché non è un organismo.
Il futuro, dunque, è molto più in continuità con il passato di quanto non si creda, e il vero problema non è difenderci dalla prepotenza dell’intelligenza artificiale o temere di trasformarci in robot, ma trovare un rimedio all’enorme disoccupazione provocata dalla automazione. Senza rimpianto, perché i lavori che si possono automatizzare non sono mai belli. Ma con attenzione e impegno per il futuro, giacché l’umano ha qualcosa che la macchina non ha, ossia fini, desideri, e soprattutto consumo, ciò che non potrà mai essere automatizzato e che costituisce la ragion d’essere delle macchine.
Non più importanti come produttori, diventiamo importanti come consumatori, cioè come portatori di valori, e occorre che, socializzando l’enorme capitale prodotto dal web, la politica prenda atto di questa trasformazione epocale.