I nuovi chip M1 di Apple basati su architettura Apple meritano una riflessione speciale: perché dicono molto del futuro; non solo quello di Apple ma anche di quello probabile del computing.
L’enfasi dell’azienda è giustificata: è con un evento dedicato dal titolo “One more thing”, citazione della famosa frase con la quale Steve Jobs nel 2007 aveva introdotto la presentazione del primo iPhone, che Apple ha ufficialmente presentato i nuovi chip M1.
Per la prima volta, Apple fa in casa i chip, abbandonando Intel, verso una inedita convergenza tra hardware e software; e tra architettura computer e architettura smartphone/tablet.
Nello stesso evento sono stati presentati i primi computer Mac dotati della nuova architettura: un MacBook Air 13”, un MacBook Pro 13” e un Mac Mini.
I primi test sulla nuova architettura Apple
I primi benchmark di questa architettura hanno evidenziato risultati molto incoraggianti e, sebbene si tratti soltanto di test in modalità single-core e non certamente vere prove sul campo, la prima impressione è di trovarsi di fronte ad un’architettura molto giovane, snella, che consuma molto poco, che ha una potenza per watt molto interessante e, soprattutto, con ottimi margini di miglioramento per il futuro. Infatti, aumentando i watt in ingresso, la potenza di raffreddamento, il numero di core all’interno del chip o facendo nuove ottimizzazioni, sarà probabilmente possibile ottenere prestazioni ancor più interessanti anche in contesti reali nei quali la potenza computazionale rappresenta un fattore determinante, come l’elaborazione video e l’analisi di spazi dati multidimensionali.
Quello che vogliono gli utenti, infatti, è rappresentato da più potenza di calcolo e meno consumi, con questi nuovi chip Apple sembra andare proprio in questa direzione.
Un elemento di particolare interesse è che i nuovi M1 di Apple non sono semplici CPU, ma veri e propri sistemi integrati SOC (System On a Chip) che contengono anche la GPU, la memoria RAM e un NPU (Neural Processing Unit) a 16 core, un potentissimo motore per il machine learning. Si tratta di una soluzione solitamente utilizzata a bordo di dispositivi mobili come smartphone e tablet che oggi viene portata anche su notebook e computer desktop. Tra l’altro, essendo i chip M1 una evoluzione dei chip Ax utilizzati su iPhone ed iPad, Apple promette una rivoluzione anche dal punto di vista della produzione del software che, sulla carta, dovrebbe poter funzionare su tutti i dispositivi senza essere ricompilato, questo comporterà in tempi brevi la possibilità di far girare sui nuovi Mac le app realizzate per iPhone e iPad.
Intelligenza artificiale a bordo
Una delle caratteristiche dei nuovi chip M1 è la presenza, a bordo del chip, di un coprocessore esplicitamente dedicato al machine learning. Secondo Apple questa componente, la NPU, è in grado di eseguire 11 trilioni di operazioni al secondo e di accelerare l’elaborazione di questo tipo di calcoli di circa 15 volte.
La presenza di questa componente è interessante per rendere più efficienti tutte quelle elaborazioni che hanno a che fare con il riconoscimento della voce, la traduzione automatica da una lingua all’altra, l’analisi delle immagini, il riconoscimento automatico dei volti, l’analisi video in tempo reale, i compiti di tipo strategico.
Il futuro dei Mac è il futuro dei computer?
La convergenza di hardware e software tra piattaforme mobile, tablet, notebook e desktop in futuro potrebbe consentire la realizzazione di dispositivi dal forte carattere innovativo, come una nuova generazione di notebook touch convertibili in grado di funzionare con Mac OS quando usati in modalità notebook e convertendo automaticamente l’interfaccia in quella tipica di iPad OS quando usati in modalità tablet, garantendo continuità e coerenza tra le applicazioni che saranno le stesse, ma dotate di doppia interfaccia.
A questo potrebbe aggiungersi la possibilità di utilizzare la Apple Pencil su schermi molto grandi come quelli degli attuali notebook, in modo da avere dispositivi davvero versatili ed appetibili per compiti che oggi vengono svolti in modo diverso.
Certo ora Apple guadagna una indipendenza dalla maggiore azienda di chip, Intel, che è in ritardo sulla nuova generazione di prodotti. Apple non dovrà più sottostare alla tempistica e alle strategie di Intel, insomma.
Consideriamo anche che è sempre meno fisicamente praticabile l’aumento dei transistor sui chip come strategia per aumentarne la potenza e quindi dare un futuro al computing. Grazie alla convergenza hardware software sarà possibile aumentare le prestazioni senza dover fare acrobazie sempre più improbabili sulle dimensioni dei transistor.
Nuovi iPad con Mac OS?
Lo stesso tipo di convergenza si può pensare possa essere portata in futuro anche sui tablet di casa Apple. Gli iPad sono strumenti potentissimi e spesso sottoutilizzati a causa di un sistema operativo che ha approcci differenti rispetto a quelli dei tradizionali computer notebook o desktop, spesso gli utenti di iPad si lamentano di cose che vengono naturali su Mac OS e che invece possono essere complicatissime da svolgere su iPad OS. La disponibilità di un sistema operativo di caratura notebook compatibile con l’hardware degli iPad potrebbe portare in futuro ad una nuova generazione di tablet in grado di funzionare, a discrezione dell’utente, con entrambi i sistemi operativi, potendo godere dei vantaggi di entrambi in funzione dei compiti da svolgere e del contesto, il tutto mantenendo il massimo della maneggevolezza e la trasportabilità tipica di questa classe di dispositivi.
Un nuovo modo di considerare il personal computing
Oggi siamo abituati ad alcuni pattern di interazione tra noi e le varie classi di dispositivi personali. Gli smartphone sono sempre in tasca e vengono utilizzati per fare un po’ tutto, ma con forti limitazioni dovute alla dimensione dello schermo e della tastiera.
I tablet sono un buon compromesso verso la produttività, ma con limitazioni di dimensioni che raramente consentono di andare oltre l’utilizzo di software di office automation, la posta elettronica e la navigazione sul web, a meno che non si utilizzino app molto ben progettate e realizzate.
I notebook rappresentano tendenzialmente una piattaforma utilizzabile anche per svolgere compiti complessi e portano di solito ad avere una buona produttività, aumentata dalle caratteristiche di trasportabilità. I limiti vengono fuori però quando abbiamo bisogno di grande potenza di calcolo, schermi molto grandi o multipli, interazioni con periferiche particolari, in questi ultimi casi il desktop è sostanzialmente obbligatorio nella maggior parte dei casi.
La convergenza hardware e software di cui si parlava in precedenza, unita alla connettività 5G, all’autonomia in costante aumento sui dispositivi mobile ed alla disponibilità di grandi quantità di spazio nel cloud, potrebbe in un prossimo futuro far emergere nuovi pattern molto interessanti.
Il nostro personal computer, inteso come potenza di calcolo e strumento di memorizzazione di software e dati, potrebbe essere incarnato dal nostro smartphone: un iPhone con iPhone OS potrebbe avere a bordo anche una versione di Mac OS da utilizzarsi quando lo smartphone è connesso a schermi, tastiera e mouse esterni, trasformandosi in una vera e propria postazione di lavoro completa. Con questo paradigma potremmo avere sempre in tasca e a disposizione il nostro personal computer e per utilizzarlo non dovremmo far altro che collegarlo ad uno schermo e a qualche dispositivo di input, a casa, in ufficio, in aeroporto o in un co-working, unendo la trasportabilità completa dello smartphone alla disponibilità di un sistema operativo di classe desktop.
Questo modello di interazione è già stato proposto in passato, si pensi per esempio al Dex di Samsung oppure al EMUI Desktop di Huawei, tuttavia non ha avuto grande successo per la mancanza di una reale convergenza ed integrazione tra i sistemi, cosa che invece Apple sta realizzando in modo sempre più coerente, e questo potrebbe fare davvero la differenza.