La storia della protagonista di oggi, Tijana, ha inizio 24 anni fa, a Banja Luka. La città, attuale seconda città della Bosnia ed Erzegovina, contesa durante la guerra balcanica e al centro di sanguinose vicende che sono culminate nel 1995 con l’operazione tempesta, il cui esito furono 2000 morti (soldati e civili serbi) e costrinse più di 200.000 abitanti a lasciare il territorio.
Anni nei quali anche i genitori di Tijana portarono la famiglia in Italia. E seppure parla un italiano perfetto, approdò all’asilo senza conoscere l’italiano, perché i genitori non volevano insegnarle un italiano con errori e cadenza straniera.
La scelta della sua famiglia era temporanea, giusto il tempo di guadagnare e che nel territorio si ristabilisse un clima non pericoloso. L’integrazione italiana in relazioni scolastiche e culturali dei figli era però iniziata, per tanto i genitori decisero di stabilirsi per un periodo più lungo, seppur osservando le loro tradizioni e cultura.
«La forza dei genitori però non basta per mantenere nei figli dei legami forti con il proprio Paese d’origine, perché poi questi crescono ed iniziano ad intraprendere strade diverse, correndo il rischio di allontanarsi dal Paese dal quale provengono, perché la realtà nella quale vivono è un’altra».
Tijana non solo conosce l’italiano come una madre lingua, è e si sente italiana. Ma si sente anche bosniaca, continua a coltivare, a vivere, tutte le relazioni con gli amici e i famigliari rimasti in Bosnia e con quelli che si sono sparsi invece in giro per il mondo.
Prima dell’avvento del web 2.0 le occasioni nelle quali riusciva a parlare con i suoi parenti in Bosnia e in altre parti del mondo erano periodi di lunghe vacanze che passava a Banja Luka, i giorni dei compleanni, gli auguri per le varie festività fatti attraverso il telefono. «Mentre oggi le occasioni di sentirli sono aumentate notevolmente, soprattutto grazie a Skype e a Facebook. Infatti, con la maggior parte dei parenti, prevalentemente quelli giovani (cugini e zie), mi sento circa una volta al mese su Skype, grazie al quale è possibile farsi una bella chiacchierata e mantenersi così molto più aggiornati su tutto quello che succede e che ci riguarda. Ad esempio, con una mia cugina che si è da poco sposata e trasferita in Germania mi sento spesso su Skype per vedere come sta, se si è ambientata e soprattutto per vedere i suoi figli, nati da poco. Non posso nemmeno immaginare come farei se non ci fossero questi nuovi mezzi di comunicazione gratuiti e veloci».
Un altro strumento di comunicazione che utilizza è WhatsApp, grazie al quale invia fotografie, scrive messaggi, invia video o registrazioni. «Diska, la mia cugina, mi invia spesso le registrazioni delle prime parole o frasi che dicono i suoi bimbi, foto simpatiche delle loro giornate e lo stesso faccio io, in modo tale da poterci tenere costantemente aggiornate su quello che facciamo o che ci succede». La presenza, così, a distanza, diventa una costante prossimità comunicativa del quotidiano, è un essere famiglia e insieme, un crescere vicini, giorno dopo giorno, in parti lontane del globo.
«Anche con la mia cugina Maja, che vive in Bosnia, sono abituata a sentirmi su WhatsApp molto più spesso rispetto a quando non c’erano i social network». La cugina le invia foto dei nonni quando li va a trovare o delle zie e Tijana la tiene aggiornata sui suoi studi. Il suo primo giorno di stage presso un’azienda di Trieste le ha inviato una sua foto e la risposta è stato il classico buona fortuna.
Dunbar, l’antropologo che ha fissato il massimo dei contatti gestibili dalla cerchia più intima a quella più periferica delle relazioni in 150, ha stabilito che la variabile determinante è la neocorteccia del cervello. Nel suo studio sostiene che sono le possibilità del linguaggio (connaturate allo sviluppo cerebrale, oltre che degli apparati fonatori) ad aumentare il numero di relazioni che si possono curare simultaneamente: passa dai primati, il cui rapporto con gli altri è dato dalla pratica del grooming (la carezza, il togliersi vicendevolmente i parassiti), agli ominidi dove con le prime forme sonore (non ancora linguaggi) aumenta il raggio di azione della propria presenza comunicativa, fino all’homo sapiens sapiens, il quale, grazie all’articolazione di un linguaggio, organizza gruppi più estesi (le prime comunità stanziali come anche più evolute unità militari). Il famoso numero, secondo Dunbar, rimane 150 anche attraverso le nuove tecnologie per comunicare, ma indubbiamente cambiano le caratteristiche di queste relazioni. Sugli aspetti quantitativi e qualitativi vi sono innumerevoli discussioni scientifiche, non tutte concordano sugli aspetti quantitativi (alcune ad esempio riducono i gradi di separazione di Milgram da 6 a 4,7 – 4,3; altre sviluppano interessanti disquisizioni sull’amplificato potenziale di un capitale sociale che può molto più facilmente essere mantenuto latente attraverso una blanda presenza e monitoraggio delle reciproche esistenze mediali).
Questa è la riflessione di Tijana sulla sua esperienza: «Questo tipo di comunicazione e di coinvolgimento nella mia vita personale non ci sarebbe stato un paio di anni fa, perché non l’avrei mai chiamata per dire che iniziavo lo stage, ma gliel’avrei raccontato una volta in Bosnia. È innegabile il profondo legame che si crea con le persone quando hai la possibilità di sentirle spesso, gratuitamente e senza bisogno di concordarsi sull’orario. Ognuno risponde e scrive quando ne ha l’occasione. Senza questi nuovi strumenti di comunicazione, tutto sarebbe più difficile, come accadeva anni fa, mentre oggi i nostri legami si stanno rafforzando sempre di più, perché la sensazione che ho è che parenti, cugine e amici siano a pochi passi da me, perché comunico con loro proprio come faccio con amiche e parenti che si trovano qui in Italia. I chilometri che ci separano diminuiscono notevolmente grazie a Skype, Facebook e WhatsApp, e tutti noi ne siamo felici».
L’ingaggio con i social media è stato per Tijana all’inizio dubbioso, poi sono iniziate le richieste di amicizia di parenti e amici (non solo dalla Bosnia, ma ad esempio anche dall’Australia). Ha iniziato a riscrivere e così a rivivere momenti fondamentali vissuti in patria, che hanno rappresentato la sua socializzazione alla sua identità bosniaca: rivivendo momenti fondamentali della loro esistenza hanno ricementificato le basi di relazioni intime che sono poi continuate, come una famiglia allargata che vive se non nello stesso tetto, almeno nello stesso quartiere. Ogni giorno in chat, via Skype, è come se le vie di Banja Luka si animassero online: gli spazi online si riempiono di vita vissuta, di aneddoti, di ricordi, di nuove esperienze, che i vecchi concittadini e amici si scambiano tra di loro.
Abbiamo già affrontato a livello di ricerca come Internet possa ricomporre una comunità dopo un disastro, quella di Tijana è la descrizione individuale di questa esperienza che abbiamo visto, nel precedente articolo, è anche collettiva.
È da questi rincontri poi, anche per Tijana, nasce la voglia e la possibilità di organizzare periodi insieme ai suoi vecchi amici nella loro città natale, la quale, così, rivive, ovviamente in nuove forme, riproposte, relazioni, pratiche e presenze di un tempo.
Interessante che uno studio di Fortunati metta in evidenza proprio come le ICT vadano a riempire, colmare, dare nuova vita e impulso, anche per reali e concreti incontri fisici, al vuoto contemporaneo, che, per vari motivi, si creano nella comunicazione in presenza tra le persone.
Lo sguardo di Tijana, in questa disposizione a varcare i confini, è andato molto più in là della Bosnia: è diventata una osservatrice autonoma e critica di quello che avviene al di là degli Urali. La nostra giovane e preparata amica ha studiato Mediazione culturale dei Paesi dell’Europa dell’Est, approfondito le lingue dell’Est, fatto un Erasmus a Praga e, grazie ad un’ottima conoscenza della lingua russa, intrecciato contatti con il mondo russo. Diventa un’assidua frequentatrice di VKontakte*, letteralmente «teniamoci in contatto», il clone russo di Facebook. Da subito affascinato da questa piattaforma, «perché mi permetteva di guardare online film, serie tv russe, ma anche di ascoltare tutta la musica che volevo in tutte le lingue possibili. E’ stato grazie alla lingua russa che ho scoperto il grande legame che c’è tra VKontake e i russi, la maggior parte di loro comunica attraverso questo social network e non con Facebook, come invece accade in Europa e in America.
Oggi si possono contare oltre 160 milioni di iscritti provenienti da tutto il mondo, in particolare 83 milioni sono gli iscritti presenti in Russia e Ucraina. Secondo i dati raccolti da Alexa.com, VKontakte è il sito più popolare dei paesi a lingua russa, infatti si trova al primo posto, nella classifica dei social network più usati, in Bielorussia, al secondo posto, dopo Odnoklassniki, in Russia, sempre al secondo posto in Ucraina e alla terzo posizione in Kazakistan. Inoltre, i dati racconti da Comscore nel marzo 2012 indicano che il social network russo aveva in media molte più visite giornaliere rispetto a Facebook, a dimostrazione del fatto che non viene usato solamente per comunicare, ma anche per guardare film, per ascoltare la musica e per leggere riviste presenti online […] Negli ultimi mesi si sta facendo conoscere un altro social network, ideato sempre da un ragazzo giovane dell’Est Europa, sto parlando di Bogdan Oliyarchuk, ucraino di venticinque anni, che ha fondato il primo social network nazionale, WeUa. info. e promuove l’iniziativa: “We want peace”. Un progetto che unisce la creazione di una nuova rete sociale all’attività benefica, perché all’interno di questo social network è stato indetto un concorso in cui diversi artisti possono postare le loro opere che hanno per oggetto questo tema e tutti i fondi raccolti andranno alle famiglie dei morti durante gli scontri in piazza Maidan, lo scorso 18 febbraio».
Così, dapprima per interesse personale, poi per la tesi di laurea, Tijana inizia a monitorare la situazione Ucraina, incrociando la stampa dell’Est con le informazioni a vivo dei social network, sia da parte dei filo-russi che dei crimei: «Per tenermi informata consulto quotidianamente giornali online come ad esempio “Facty i Kommentarii”, “Den”, “Ukrainska Pravda” e “The Day”, per quanto riguarda i giornali ucraini, mentre “Izvestija”, “Pravda”, “Russia Post” e “The Moscow” Times sono alcuni dei giornali russi che leggo. In questo modo riesco ad avere una visione abbastanza bilanciata di quanto sta accadendo e una mia opinione personale sui fatti. Inoltre, trovo molto utile leggere la rivista “Internazionale”, perché ritengo che sia una delle poche riviste che riesce a rimanere imparziale nei vari articoli, perché questi sono scritti sia da giornalisti russi, sia da giornalisti ucraini».
Incrociando poi dati statistici arriva ad uno dei nodi del problema: «Guardando le statistiche delle popolazioni presenti in Crimea, secondo il servizio statale di statistica ucraino al primo novembre 2013 la popolazione della Crimea ammonterebbe a 1.967.119 abitanti, di cui oltre il 50% di etnia russa, il 24% circa di etnia ucraina, mentre il restante 12% sarebbe composto da tatari di Crimea. Leggendo questi dati non si riesce a capire come durante il referendum si sia potuto arrivare al 97 per cento di voti favorevoli, quando la popolazione russa nel 2013 costituiva poco più del 50% della popolazione della Crimea. Questo evento rappresenta una delle tante incognite che tormenta il conflitto Russia/Ucraina».
La sua osservazione ovviamente continua: «Molto interessanti sono per me i post e i commenti che pubblicano i miei amici russi e ucraini […] In questi giorni sono molte le mail che mi sto scambiando con alcuni amici per capire come stanno vivendo loro questa situazione e per farmi anche consigliare alcuni link da dove leggere le notizie».
Ma fare luce tra i diversi punti di vista, le informazioni ufficiali e quelle underground ovviamente non è immediato. Lasciamo alla sua imminente tesi di laura, che riprenderemo su queste pagine, le conclusioni.
Special thanks
Tijana Popovic, 24 anni, dottoressa in “Mediazione culturale dei Paesi dell’Europa dell’Est” e in procinto di concludere la specialistica in “Comunicazione integrata per le imprese e le organizzazioni” (Università degli studi di Udine). Il suo sogno è fare l’inviata (o la corrispondente online) giornalistica nei Paesi dell’Est.
Fonti
L’intervista a Teo: www.agendadigitale.eu/competenze-digitali/797_stephanieteo-il-lavoro-su-bitcoin-e-open-source.htm
Sul ricomporre una comunità dopo un disastro: www.agendadigitale.eu/infrastrutture/711_internet-per-le-emergenze-casi-di-studio.htm
Leopoldina Fortunati (2005): www.itu.dk/~christie/mobilspeciale/litteratur/Fortunati,%20Leopoldina%20-%20Is%20Body-to-Body%20Communication%20still%20.pdf
Susanne Shultz and R.I.M Dunbar (2007):www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2274976/