Se è vero che “Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose”, come diceva Albert Einstein, allora il digitale avrà buona fortuna con il Governo del Cambiamento? Il contratto di Governo aveva suscitato qualche dubbio: il digitale sembrava un ospite. Ma non è la quantità di obbiettivi in “digitale” che fa la differenza.
Il digitale e la lotta alla corruzione
In Italia il problema del digitale non è parlarne, ma utilizzarlo, praticarlo. E le cose nel XXI secolo si fanno prima, meglio e più a buon mercato se si fanno in digitale. Su questo nessuno ha più dubbi.
Tra tutti i temi sul tavolo, il tema più delicato è la lotta alla corruzione. In proposito non si può disconoscere il merito del Governo Renzi di avere finalmente dato avvio all’ANAC e di avere portato risultati. Ma neanche si può dire che l’Autorità di Cantone si sia distinta per come ha sfruttato il digitale. Nella lotta alla corruzione il whistleblower e l’agente provocatore sono l’equivalente di una bomba atomica, ma lavorano bene quando operano in sinergia. Tuttavia, mentre un agente provocatore non può essere digitalizzato, un whistleblower affidabile e sicuro non può che essere digitale.
I software per whistleblower
Ci sono molti progetti di software per whistleblower, come GlobaLeaks, che è stato originato da italiani, uno dei più diffusi ed è anche open source. Basta scegliere. Ma il software non vive di solo software. Negli USA c’è un’antica tradizione nel whistleblowing che data addirittura al 1863. Ma proprio l’esperienza americana ci dice quanto siano importanti per il suo successo leggi di accompagnamento per la protezione del whistleblower dalle ritorsioni, specialmente in ambito pubblico. Inoltre, il raccordo con le disposizioni che riguardano l’agente provocatore deve essere molto stretto e i poteri dell’Autorità devono essere adeguati, soprattutto in tema di raccolta delle informazioni.
Rovesciare la prospettiva
Attualmente, gli strumenti di indagine e raccolta delle informazioni dell’ANAC sono il meglio che il Paese può offrire ma sono utilizzati con un’impostazione case by case ed ex post, a cose accadute. Bisognerebbe fare invece un salto logico e rovesciare la prospettiva. Adottare un approccio big data, verificando automaticamente tutte le informazioni e i comportamenti degli attori in tutte le situazioni a rischio, individuando ex ante e notificando i potenziali confitti di interesse, le dichiarazioni false, le ricorrenze “non casuali”, tracciando i movimenti finanziari e i comportamenti opportunistici.
Perché in Italia la corruzione prospera
La corruzione prospera in Italia anche perché lo Stato non riesce a dare la sensazione di potere esercitare anche un minimo di controllo sul fenomeno. In questo modo, invece, darebbe subito un forte segno di presidio, dando automaticamente un forte impulso dissuasivo.
Lo Stato acquista ogni anno circa 135 miliardi di euro di beni e servizi da 2 milioni di fornitori, fa più di 131.000 gare sopra i 40.000 euro per più di 117 miliardi di euro e coinvolge undici “tipologie” di soggetti nella fornitura o raccolta delle informazioni per le gare. Con questi numeri, è impossibile una gestione efficiente e trasparente delle gare senza l’ausilio della tecnologia. Creando i soggetti aggregatori si è fatto un enorme progresso, ma si è appena avviato un processo di cambiamento che è ben lontano dal compiersi.
Un migliore uso delle tecnologie negli acquisti pubblici
E le forze “frenanti”, sempre al lavoro nella nostra economia, sono molto efficaci nello sfruttamento di ogni opportunità per boicottare ogni cambiamento. Ma ogni miglioramento in questo ambito passa per un migliore utilizzo delle tecnologie digitali e, in parallelo, migliori competenze tecniche in materia di acquisti. È l’accoppiata vincente: migliori strumenti e migliori professionalità. Velocizzando il progetto della Banca Dati degli Operatori Economici (BDOE), abilitando per legge l’esclusione del fornitore che non rispetta gli impegni, definendo efficaci regole sulla cybersecurity dei sistemi, abilitando i sistemi di analisi della spesa e l’uso di key performance index per la valutazione dei soggetti aggregatori, introducendo un sistema di obiettivi chiari per gli acquisti nella PA, spingendo gli acquisti ad allontanarsi dai mortiferi criteri di puro costo per andare verso una maggiore innovazione e verso criteri di acquisto che difendano sia il tessuto imprenditoriale locale sia gli spazi di mercato per le startup innovative, le cose possono cambiare profondamente nel nostro Paese. E si può fare meglio e più rapidamente in digitale. Non per niente il tasso di ricorsi negli acquisti digitali è almeno di un ordine di grandezza inferiore.
Lo scorporo delle Rete, un tema improcrastinabile
Purtroppo, non sono soltanto questi i punti di attenzione. Il nuovo Governo avrà sin dal suo primo momento un convitato di pietra: lo scorporo della Rete. È un problema di proporzioni titaniche che non sarà più possibile rinviare. Se riesce, ribalterà una situazione di prostrazione nazionale che dura ormai da troppo e creerà – forse – un campione tecnologico nazionale che possa fare da guida in questo momento storico in cui il valore della tecnologia è così importante. Se non riesce, sarà un disastro irrecuperabile, che segnerà la storia economica italiana per i prossimi decenni, marchiando per sempre tutti coloro che saranno coinvolti. I prodromi non sono promettenti. La discussione sembra tutta finanziaria e giuridica, mentre la natura del problema è tecnica e tecnologica: se la separazione non sarà concepita in modo attento, non ci saranno alchimie finanziarie che permetteranno di recuperare la situazione. Chi pensa di scaricare sui consumatori per l’ennesima volta i costi di una ristrutturazione, evidentemente non ha preso in considerazione l’evoluzione della tecnologia. Le reti di telecomunicazioni già adesso sono in fibra, e molto più capillari di adesso. Le centrali del futuro prossimo saranno dei data center, ma totalmente da rifare. Le telecomunicazioni del futuro saranno pezzi di rete in fibra e di apparati attivi, ma difficilmente separabili. Il futuro del rame che c’è adesso, non esiste più, ed è ormai da reinventare, a meno di non volere condannare interi pezzi di popolazione italiana ad un destino di arretratezza tecnologica. Chi prescinde da queste considerazioni, ne dovrà fare ben presto di più amare.
Industry 4.0, un programma di successo
Il programma di maggiore successo per le imprese degli ultimi anni è stato Industria 4.0: ha spinto finalmente le imprese a tornare a investire e a modernizzarsi. È stato un tentativo ben riuscito da parte dello Stato per tornare a fare politica industriale. Secondo il CERVED, ha già prodotto risultati sensibili sia in termini di investimenti (+9% su base annua) sia di aumento di spesa in R&S (aumenti attesi fra il 10% e il 15%).
Il sistema si è avviato, ma come continuare? Ci sono circa 4,3 milioni di imprese in Italia. Di queste, 1.048 gruppi e 2.496 imprese sono grandi imprese, 140 mila sono PMI, di cui 116 mila piccole e 24 mila medie. Tutto il resto sono microimprese. Le aziende che possono essere oggetto di interventi di rilancio tecnologico sono al più 300 mila (includendo la totalità delle grandi aziende, delle PMI e le microimprese di capitale con almeno 500 mila euro di fatturato) e hanno 8,4 milioni di lavoratori. Non sono tantissime, per loro ci sono molte cose che ancora possono essere fatte ma, a mio avviso, due più importanti e che possono creare crescita economica nel breve periodo:
- Spingerle a continuare a modernizzarsi ed investire
- Aiutarle ad esportare
Mettere mano alle filiere produttive delle PMI
Per il primo punto, la scelta più semplice e più sicura da fare è continuare quel che si è iniziato ma incentivando le singole imprese a fare investimenti tecnologicamente sempre più spinti sulla frontiera tecnologica, ma aiutandole contemporaneamente ad accrescere le proprie competenze. Tuttavia, se si vuole fare compiere un salto al nostro sistema produttivo, occorre fare un altro passo, più coraggioso in termini di politica industriale, e cominciare a mettere mano alle filiere produttive delle PMI. Facendo leva sulla tecnologia, in una logica di Industria 4.0 più pura, si dovrebbe spingere a creare nelle filiere servizi e “meccanismi” basati sul software che riducano lo svantaggio competitivo tipico delle PMI rispetto alle più grandi aziende internazionali.
Innovazione in tutte le sue declinazioni
È una strada difficile perché implica rimboccarsi le maniche ed entrare nel merito dei singoli settori, ma sarebbe anche una svolta epocale, che potrebbe davvero innescare un ciclo di crescita senza paragoni negli ultimi anni per le nostre aziende. La chiave di successo, in questo contesto, è molto semplice: l’innovazione, in tutte le sue declinazioni. Purtroppo, è una via a volte fin troppo stretta per la singola PMI. Ma insieme tutto diventa più agevole.
Over-the-top e opportunità di crescita per le nostre PMI
Per il secondo punto, infine, l’internazionalizzazione più immediata e a basso costo passa per i mercati digitali. In questo ambito, la vera questione è se abbandonare la retorica degli over-the-top come fonte di tutti i mali e cominciare con realismo a chiedersi se le grandi società tecnologiche non offrono, come sembra, opportunità di crescita per le nostre PMI. Se questi colossi sono diventati tali in così poco tempo, è anche perché riescono a creare valore per chi li utilizza. Diamo per assunti tutti i loro difetti, ma Google, Facebook, Amazon, eBay e gli altri per l’Italia sono più una minaccia che un’opportunità, a meno di non restare ancora a subire l’iniziativa di chi ha fatto prima di noi questa riflessione.
Realismo e pragmatismo per spingere la crescita
Un po’di sano realismo, una dose modica di pragmatismo sarebbero però davvero un grande cambiamento e un buon investimento per il futuro del nostro Paese. Ne potremmo avere in cambio un po’ di vera crescita economica e un pezzo di futuro, che è tutto quel che si può augurare in questa situazione alla nostra Italia, non solo al nuovo Governo.