Un messaggio del CCHD (Centro per il contrasto all’odio digitale, un’organizzazione no profit incentrata sull’odio online e sulla disinformazione) che ho da poco ricevuto al mio indirizzo mail denuncia: “Dear Antonino, c’è un’epidemia di odio nascosto su Instagram”. Mi si chiede di agire per fermare l’ennesima “distrazione” dell’app di Meta. Secondo il CCHD, “un DM di Instagram su 15 contiene linguaggio odioso, cyberflashing, abusi sessuali basati su immagini e minacce di violenza”.
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La denuncia del CCHD: Zuckerberg continua a seppellire la testa sotto la sabbia
Il DM (direct message, messaggio diretto), è una delle migliori (??) funzionalità di Instagram. Consente di inviare a chiunque, in privato, foto, video o testi, oppure di rispondere alle storie. In quest’ultimo caso la risposta va nella casella del messaggio diretto. Il testo della mail prosegue: “Instagram, 9 volte su 10, non agisce su chiari esempi di abusi estremi quando vengono segnalati dai destinatari”.
Il CCHD ha potuto constatare quanto denuncia grazie all’accesso ai messaggi diretti di alcune personalità pubbliche: Amber Heard, attrice e campionessa dei diritti umani delle Nazioni Unite; Rachel Riley, attivista e notissima presentatrice televisiva britannica; Jamie Klingler, co-fondatrice di Reclaim These Streets Reclaim the Streets (noto anche come RTS), collettivo che si batte per la proprietà comunitaria degli spazi pubblici; Bryony Gordon, giornalista pluripremiato e attivista per la salute mentale; Sharan Dhaliwal, fondatrice della rivista di cultura dell’Asia meridionale Burnt Roti.
Imran Ahmed, amministratore delegato del CCDH, che firma la lettera, continua usando toni duri, quelli che solitamente indirizza al CEO di Meta: “Mark Zuckerberg non può continuare a seppellire la testa sotto la sabbia. I DM di Instagram sono diventati i “vicoli oscuri digitali” dei social media, dove i maltrattatori agiscono impunemente. Instagram sta deludendo sistematicamente le donne. L’app ha le risorse per far rispettare le proprie regole e ha la responsabilità morale di adottare misure ragionevoli per farlo. Se non lo farà, si renderà necessaria una legislazione che imponga costi alle piattaforme che, non agendo, mettono i profitti prima delle persone”.
La mail si conclude con una chiamata all’azione, che consiste nello spedire all’ineffabile Mark (e ai suoi collaboratori, il capo di Instagram, Adam Mosseri, e il capo della divisione che si occupa della sicurezza delle donne in Meta, Cindy Southworth) un appello-accusa certamente non tenero, che utilizza un linguaggio diretto e ultimativo: “I DM di Instagram sono i vicoli oscuri digitali delle tue piattaforme in cui i malfattori misogini agiscono impunemente. Abusi misogini, cyberflashing, violenza sessuale basata sulle immagini e minacce di violenza sono all’ordine del giorno e tu non agisci. Il nostro recente rapporto ha mostrato:
- non hai agito su 9 su 10 di abusi misogini inviati tramite DM.
- non hai agito su 9 minacce violente su 10 inviate tramite DM.
- non ha agito entro 48 ore su alcun abuso sessuale basato su immagini.
Chiediamo a Meta e Instagram di far funzionare al meglio i sistemi per segnalare abusi tramite DM e affrontare #HiddenHate (l’odio nascosto, n.d.r.) inviato tramite DM di Instagram”.
I problemi sistematici nella funzione DM
I ricercatori hanno identificato una serie di problemi sistematici nella funzione DM di Instagram che minano gravemente la sicurezza degli utenti:
· questi non sono in grado di segnalare eventuali note vocali abusive inviate tramite DM
· per segnalare i messaggi inviati in modalità “scomparsa”, gli utenti sono obbligati a visualizzarli;
· la funzione “parole nascoste” di Instagram è inefficace nel nascondere gli abusi agli utenti
· gli utenti possono incontrare difficoltà a scaricare prove di messaggi offensivi.
Il CCDH ha analizzato 8.717 DM inviati a tre dei cinque personaggi noti coinvolti, ciò in quanto gli altri due, Amber Heard e Bryony Gordon, non sono stati in grado di recuperare i download completi dei dati.
Lo studio ha dimostrato che un DM su 15 (6,67%) ha infranto le regole di Instagram su abusi e molestie. In pratica, sono stati individuati 125 casi separati di abusi sessuali basati su immagini; Instagram non ha agito su ogni singolo esempio di abuso sessuale basato su immagini ancora dopo 48 ore dalla segnalazione; una nota vocale su sette inviata alle donne era violenta; Instagram consente agli estranei di effettuare chiamate vocali a donne che non conoscono.
Il grave problema degli abusi misogini
Le donne hanno parlato a lungo di abusi misogini contenuti nei messaggi diretti di Instagram. Molestie, minacce violente e abusi sessuali basati su immagini possono essere inviati da estranei, in qualsiasi momento e in grandi quantità, direttamente nei DM degli utenti, ciò senza il consenso del destinatario. Le politiche di Instagram garantiscono una celere azione in caso di incitamento all’odio, inclusi misoginia, omofobia e razzismo, nudità o attività sessuale, violenza esplicita, minacce di violenza. La piattaforma ha riconosciuto che “vedere in primo luogo DM offensivi ha un impatto” e nel febbraio 2021 ha annunciato nuove misure volte a “rimuovere gli account delle persone che inviano messaggi offensivi”.
In precedenza, aveva ammesso che la casella di posta delle “richieste” riservata ai messaggi diretti da estranei “è il luogo in cui le persone di solito ricevono messaggi offensivi”. Oltre a promettere di filtrare questi messaggi, la piattaforma ha garantito che sarebbe prontamente intervenuta in caso di segnalazioni di abusi. Ma la nuova ricerca di CCDH rileva che Instagram sistematicamente non riesce a rimuovere gli account che violano le sue regole.
Ad avviso di Imran Ahmed, “Gli spazi digitali forniscono modi sempre più importanti per mantenere relazioni, comunicare e costruire marchi personali. Per le donne, tuttavia, il costo dell’ammissione ai social media sono l’abuso le minacce a sfondo misogino. Instagram ha scelto di schierarsi con gli abusatori creando un terreno in cui essi non si aspettano conseguenze, negando così la dignità delle donne e la loro possibilità di utilizzare gli spazi digitali in piena libertà e senza rischi. C’è un’epidemia di abusi misogini in corso nei DM delle donne. Meta e Instagram devono anteporre i diritti delle donne al profitto”. Dal canto suo, una delle personalità pubbliche che, concedendo al CCHD l’accesso al proprio account, ha consentito di stilare il rapporto, ha dichiarato che “Per le donne sotto i riflettori del pubblico ricevere un flusso costante di messaggi diretti maleducati, inappropriati, e persino offensivi, è purtroppo inevitabile. Mi preoccupa che le donne e le ragazze più giovani e più vulnerabili possano essere esposte a enormi quantità di abusi senza che nessuno lo sappia. Instagram e altre piattaforme hanno il dovere di proteggere le donne che usano i loro siti, ma al momento non si è fatto abbastanza”.
Il precedente: la denuncia di Ella Byworth
Altrettanto forte la denuncia rilasciata già due anni addietro a Metro.co.uk da Ella Byworth, graphic designer e illustratrice angloaustraliana: “Quando ho ricevuto minacce di stupro nei miei DM, Instagram non mi ha offerto alcun aiuto. Mentre i siti di social media ci collegano a idee, filosofie e persone che hanno la capacità di arricchire le nostre vite, offrono anche una piattaforma per gli abusatori per inviare a destinatari ignari foto del loro membro maschile.
All’inizio l’ho presa a ridere. Poi lo stesso uomo ha iniziato a inviare descrizioni esplicite di fantasie sessuali violente che aveva su di me. Ciò includeva stupri vaginali e anali, soffocamento, costringere mia madre e mio padre a guardare. Ho cercato di affrontare la cosa con l’umorismo, criticando la sua capacità di raccontare storie, i buchi della trama nella sua narrativa… persino la sua grammatica. Qualsiasi cosa per prendere le distanze dalla realtà. È un processo che le vittime di molestie sessuali conoscono fin troppo bene: minimizzare gli effetti dell’abuso in modo da poterlo elaborare. Ma quale azione puoi intraprendere contro un account anonimo? Ho segnalato a Instagram quanto mi stava accadendo, e mi è stato chiesto di individuare la mia fattispecie tra molestie o bullismo, minaccia di violenza, nudità o pornografia, incitamento all’odio, promozione di droghe e autolesionismo. Ho scelto ‘minaccia di violenza’, perché sembrava essere la più urgente e la più palese. Instagram ha risposto alla mia segnalazione, informandomi di non aver ritenuto che l’account violasse le linee guida della community e mi ha suggerito di bloccare l’account; l’ho fatto, ma ne ha subito creato uno nuovo e ha continuato. Ho pensato, rassicurandomi, che probabilmente la mia denuncia era stata vittima delle lacune di un sistema automatizzato, incapace di riconoscere piazze contenenti idranti o semafori. Quindi ho fatto un’altra denuncia, scegliendo questa volta “molestie”: nulla di fatto, nessuna azione di Instagram. Stremata, ho deciso di rendere pubblica la mia esperienza pubblicando un post. Il risultato? Mi hanno contattata per rimproverarmi di aver infranto le “linee guida della community” e hanno rimosso definitivamente il mio post!”
L’inaccettabile inerzia delle piattaforme
Sembra una fedele riproduzione della vita reale, dove l’autore la fa franca e la donna è alla fine paga il prezzo per aver parlato. Insomma, anche dalla vicenda messa in risalto dallo studio del CCHD emerge quanto già venuto fuori in altre occasioni: l’elemento che preoccupa e inquieta, ancor più del fatto in sé, di volta in volta ascrivibile all’hate speech, alle fake, o ad altri fenomeni deleteri, è l’inazione delle piattaforme. Il rapporto infatti accusa Instagram di non aver affrontato le segnalazioni di abusi e supportato le lotte fondamentali che le donne devono ingaggiare quando si tratta di utilizzare gli strumenti di sicurezza previsti.
Instagram non ha agito sul 90% degli abusi inviati tramite messaggio diretto alle donne, nonostante siano stati segnalati ai moderatori.
La funzione di messaggio diretto o DM di Instagram funziona come una casella di posta elettronica ed è privata, e per questa ragione è stata ed è un focolaio di odio meno visibile. Mentre la violenza pubblica di genere sulle piattaforme è comune, i messaggi diretti sono monitorati meno, quindi i molestatori possono operare in segreto.
La reazione di Instragram
Instagram ha ovviamente tentato di confutare il rapporto del CCHD.
“Sebbene non siamo d’accordo con molte delle conclusioni del CCDH, lo siamo sul fatto che le molestie nei confronti delle donne siano inaccettabili. Ecco perché non ammettiamo l’odio di genere o qualsiasi minaccia di violenza sessuale e l’anno scorso abbiamo annunciato una protezione più forte per le figure pubbliche femminili”, ha affermato Cindy Southworth, responsabile della sicurezza delle donne di Facebook. “Instagram, un anno addietro, ha lanciato nuovi strumenti per proteggere gli utenti dagli abusi: sanzioni più severe per le persone che inviano messaggi offensivi, nuove funzionalità per bloccare gli account indesiderati, filtri che, una volta attivati, dovrebbero schermare automaticamente le richieste DM contenenti parole e frasi offensive ed emoji. Gli utenti possono anche creare i propri elenchi personalizzati di termini offensivi che possono essere bloccati automaticamente”.
Instagram contesta il rapporto nella parte in cui afferma che l’app non penalizza gli utenti perché non sempre disabilita i loro account. Secondo l’app essi, invece, sarebbero sanzionati con sospensioni, avvisi, blocco della possibilità di inviare messaggi diretti per un certo periodo di tempo.
Conclusioni
Le molestie contro le donne sono già da qualche anno un problema su Instagram. L’anno scorso, il 16% delle giornaliste ha riferito di episodi di violenza online sulla piattaforma, secondo un rapporto dell’UNESCO e dell’International Center for Journalists (ICFJ) sugli attacchi online. Le giovani donne hanno riferito di essere state molestate da “pagine di odio” sull’app, create appositamente per trollarle. Nel 2020, un sondaggio condotto dal gruppo per i diritti delle donne Plan International ha rilevato che gli abusi online stanno spingendo le ragazze a lasciare le piattaforme di social media tra cui Facebook, Instagram e Twitter, con quasi il 60% di molestie.
Ma sembra che, purtroppo, non ci sia un rimedio praticabile e definitivo. L’iniziativa portata avanti dal CCHD è perciò la benvenuta. Essa, tuttavia, è destinata al fallimento se l’appello lanciato da questa organizzazione si fermerà ai destinatari scelti, che sono poi quelli che da anni nascondono i problemi sotto il tappeto, promettendo interventi che puntualmente rimangono a livello di vuoti proclami smentiti dalla prassi. Si rende necessaria una vera e propria offensiva da parte dei poteri pubblici, legislativi e governativi, per ottenere qualche risultato capace di stroncare pratiche incivili e offensive per tutti, e in primo luogo per le donne.